di Roberta Cristofari ed Eleonora TurliLimen. Oltre il ‘Confine’ Nata dall’incontro di quattro giovani curatrici - Beatrice Ciotoli, Roberta Cristofari (studentessa del master MANT), Irene Iodice, Eleonora Turli - la mostra Limen. Confini tra sé e dentro di sé ha aperto le porte al pubblico dal 9 al 12 novembre 2023 presso la sede culturale romana dell’ExGarage sita nel quartiere di Tor Sapienza. L’esposizione ha proposto un viaggio sul tema del “Limen” (confine), inteso come concetto trasversale. L’area espositiva dell’ExGarage si è presentata nella sua natura di vero e proprio spazio liminale, in cui la sua essenza di non luogo e di zona di transito, attraverso l’atto creativo degli artisti, è diventata un campo metaforico nel quale porsi in ascolto del sé; un limbo fatto di stimoli attivati dalle opere d’arte, che hanno invitato il fruitore a varcare nuove soglie e raggiungere una maggiore consapevolezza del proprio stato, oltre che a riflettere sul concetto di limite come linea, in alcuni casi, divisoria. Un confine oltre il quale l’estensione di un movimento o di uno stato percettivo non può spingersi rimanendo, così, sospeso in uno spazio di mezzo aleatorio e sconosciuto. Calati in un’atmosfera disorientante, sono dodici le opere che alcuni degli artisti protagonisti della scena romana contemporanea hanno esposto reinterpretando il concetto di liminale in maniera del tutto originale e personale. Le opere Antonio Anzalone con l’opera Vedute Emozioni, ha reso possibile la discesa nella profondità strutturale del colore e delle emozioni ad esso collegate, esplorabili dall’osservatore interagendo fisicamente un display posto davanti ad esso. In una stanza che nell’ambientazione ha voluto restituire quella di un ufficio, è stata proiettata la videoinstallazione di Matteo Bussotti e Francesco Seu che ha riflettuto sul luogo di lavoro come spazio ostile creato dall’umano, messo a confronto con la condizione primordiale dalla quale ci siamo progressivamente allontanati: la natura. Quante volte sono morto si addentra nello spazio liminale tra vita e morte. Attraverso il racconto vocale di una condizione esistenziale, coadiuvato da un video che ri-proietta la performance poetica degli artisti all’interno di un campo da golf computerizzato. Cecilia Carmine nella performance A tentoni ha invitato il visitatore ad entrare con lei in uno spazio chiuso e a muoversi al suo interno guidato solo da stimoli luminosi fluorescenti attivati dall’artista con l’aiuto di una torcia UV che ha caricato i colori fotoluminescenti. Con il passare dei secondi il pigmento ricaricato ha perso la sua potenza luminosa, così che ogni esperienza di transito è stata unica e personale in un ciclo continuo che mai ha mostrato la sua completezza. La luce blu di Fragili Soglie di Francesca Romana Cicia ha avvolto l’osservatore in una dimensione intima, sospesa e totalizzante. In un ambiente suggestivo costituito da sei teli acetati dipinti che, nelle sue proiezioni, hanno richiamato gli abissi marini. L’osservatore si è trovato in un ambiente immersivo, in contatto con le proprie sensazioni ed emozioni interiori; costretto a navigare tra i meandri di una realtà profonda e cerebrale, accompagnato da note d’infanzia di un ricordo non vissuto. Partendo da un elettroencefalogramma dell’artista, la videoinstallazione interattiva Pillola di Matteo Costanzo ha cercato di fissare, proiettadola sul soffitto, quella rara condizione liminale della coscienza che si scatena poco prima di una crisi epilettica, restituendo momenti vissuti da un corpo che non ne ha più memoria. Solo la ri-proiezione dell’osservatore all’interno dell’opera gli ha permesso di entrare in prima persona in contatto con quello stato labile e fugace in cui spazio e tempo diventano mutevoli sfumature, mentre il corpo e la mente si abbandonano all’ignoto. Nell’opera relazionale Ab - Solve et Coagula, di Emanuele Fasciani sono state richiamate le originarie pratiche alchemiche del XVI secolo che, tramite la trasmutazione di elementi vili in nobili, innescavano un processo di trasformazione interiore al fine di purificare l’animo di chi la praticava. L’installazione è stata pensata con l’intenzione di far ri-percorrere allo spettatore le fasi della trasmutazione esoterica, permettendogli così di immergere le proprie mani in un recipiente dorato contenente acqua e di abbandonare, grazie a questo gesto purificatorio, le maschere con le quali si convive quotidianamente. La videoinstallazione interattiva di Alberto Gennaro, Interim ha ripreso e trasmesso con un lag temporale i movimenti dei visitatori, creando una connessione dilatata nel tempo attraverso l’elaborazione di immagini e astrazioni cromatiche e morfologiche. L’opera ha creato uno spaesamento al visitatore, generato dall’ambiguità creatasi tra la percezione di sé nello spazio fisico e la percezione della propria presenza all’interno di uno spazio mediato dalla tecnologia. Attirati dai rami luminosi blu e viola e da un piccolo acquario posto al di sotto di essi, l’installazione Aere di Maura Prosperi ha invitato a varcare la soglia di uno spazio meditativo, nel quale trattenersi e contemplare. Nell’installazione la transitorietà degli elementi legati alla caducità delle loro esistenze, eppure bloccati in un limbo apparente, hanno dato all'osservatore l’impressione di essere eterni. Le due grandi tele poste una davanti l’altra e intitolate La luce che si vive di notte di Giulia Romolo hanno bloccato l’osservatore in un limbo che lo ha portato a chiedersi se la vita scandita dalla luce naturale, che da sempre caratterizza la rinascita e il risveglio, non sia in realtà la fine di un capitolo all’interno di una nuova dimensione esistenziale: quella della notte artificiale. Come un altare sacrale si pone alla fine di una navata, così l’installazione Là dicono che non si muore di Caterina Sammartino si è svelata con una visione sacra e ancestrale agli occhi del visitatore. L’opera ha rappresentato il viscerale e infattibile desiderio dell’essere umano di tornare al locus amoenus in cui ha vissuto in armonia e simbiosi con le creature naturali. Una radice arborea che dal soffitto è giunta a terra fino a sfiorare un recipiente colmo d’acqua ha voluto simboleggiare il limite dell’uomo, incapace di attingere alla fonte vitale, mentre la presenza di vertebre animali disperse intorno al tessuto dipinto con colori naturali e pigmento oro, hanno rappresentato l’inevitabile destino a cui l’essere umano non può sottrarsi: la morte. L’installazione Resilienze di Tanek, costituita da un groviglio di scale alte circa tre metri, ha proposto questo strumento come ponte metaforico, dove ogni piolo ha rappresentato un passo da compiere e un equilibrio da rompere per avanzare verso l’ignoto in una sequenzialità scandita dalla composizione ritmica delle scale, nella pratica impercorribili. Progetto espositivo a cura di: Beatrice Ciotoli, Roberta Cristofari, Irene Iodice, Eleonora Turli Fotografie di: Roberta Cristofari, Mila Jonis, Eleonora Turli.
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L'artista italiano noto come Quayola (Davide Quagliola) oggi vive a Londra e fa parte del gruppo "Post YBA". Le opere di quest'ultimo sono caratterizzate da una chiara leggibilità e comprensione immediata.
Con "Laocoön #D20-Q1" non solo si analizza il capolavoro dell’arte, ma si esplora la tensione esistente tra l’esperienza diretta e il punto di vista mediato dalla tecnologia. L’immagine generata al computer è il punto di partenza, perciò non si tratta di una replica dell'opera esistente ma della ricostruzione digitale dell’archetipo classico. Il soggetto sviluppato nel lavoro deriva dal Laocoonte, che fu ritrovato sul colle Esquilino a Roma nel 1506. La scultura è stata riprodotta sia da tanti artisti in passato sia attualmente attraverso le tecnologie moderne. Ancora oggi si considera fondamentale il modello classico originale del Laocoonte a cui si ispirano le giovani generazioni di studenti dell'Accademia di Belli arti. Così, il Laocoonte è diventato una delle forme archetipiche più durature dell'arte europea, una vera metafora del potere creativo dell'arte stessa. L’opera è stata esposta durante la Quadriennale d’arte contemporanea di Roma nel 2016 nella sezione “Cyphoria”, a cura di Domenico Quaranta. Sezione che tende ad indagare quel modo in cui la contemporaneità si riflette nel lavoro di alcuni artisti italiani e raccoglie appunto artisti che indagano le conseguenze personali introdotte dall’iperconnessione e dal nuovo equilibrio tra dimensione pubblica e dimensione privata, nella quale viviamo. Quayola parte da un modello 3D della scultura originale per sviluppare le conseguenze estetiche della sua digitalizzazione e la conversione in bit. La scultura è il risultato di simulazioni digitali ed esperimenti condotti con tecnologie di prototipazione virtuale e fisica. L'opera è realizzata da uno scanner 3D e da una resina che è fatta colare sulla statua di marmo; una volta asciutta si ottiene il calco della statua. Il progetto è stato realizzato con la collaborazione di ingegneri e programmatori e con l'organizzazione "Factum Arte", il cui scopo è quello di rivelare il legame tra nuove tecnologie e competenze artigianali nell'ambito della conservazione dei beni culturali. A questo proposito Claire Bishop ha scritto un discusso articolo sulla rivista "ARTFORUM": “...Se molti artisti usano la tecnologia digitale... quanti ne fanno il proprio tema, o riflettono profondamente su come facciamo esperienza della digitalizzazione della nostra esistenza e siamo alterati da essa?”. Il processo della creazione si può osservare qui. di Simona Di Stefano
La Reggia di Versailles ha aperto le sue porte dal 14 Settembre al 12 Dicembre 2010 alla mostra di Takashi Murakami, il più famoso artista contemporaneo giapponese. Nella reggia seicentesca l'artista giapponese ha esposto ventidue opere, la metà delle quali inedite. Il percorso inizia nel salone di Ercole con l'opera “Tangari-Kun”, scultura con simboli che provengono dal buddismo tibetano e dalla cultura maya. L'esposizione continua nel salone dell'Abbondanza dove vi è esposto un buddha d'argento, per poi arrivare al salone di Venere con la presenza di due grandi guerrieri: Kaikai e Kiki. Prima di raggiunger il giardino della reggia vi è l'incontro con lampade, quadri e cartoni animati dove i protagonisti sono fiori dai volti sorridenti. La mostra di questo artista si conclude infine con la scultura di un Buddha di bronzo e di foglie d'oro, alto più di cinque metri. Prima che la mostra ebbe inizio, l'artista Takashi Murakami ha esposto il suo punto di vista: «Penso che non sarò criticato quanto Koons. Quelli che vengono a Versailles sognano di immergersi in un universo fantastico. Mi piacerebbe partecipare a questo sogno, spingerlo agli estremi. Per i giapponesi, incluso me, la Reggia di Versailles è uno dei grandi simboli della cultura Occidentale, emblematico per eleganza e ambizione artistica che la maggior parte di noi possono soltanto sognare. Così è normale che Versailles nella mia immaginazione sia cresciuta e si sia trasformata fino a diventare una sorta di mondo surreale a parte. Questo è il fenomeno che ho cercato di catturare in questa mostra. Io sono lo Stregatto che dà il benvenuto ad Alice nel Paese delle Meraviglie con il suo sogghigno diabolico e blatera mentre lei vaga nella Reggia». Questa mostra è stata, come di routine, oggetto di molti dibattiti in quanto si sono incontrate nello stesso edificio due epoche completamente diverse. Il gruppo “Mon Amour” lancia una petizione contro l'evento e contro il principio di esporre opere di arte contemporanea in luoghi storici, che ricevette moltissime firme di consenso: «Siamo contro l’allestimento di arte contemporanea all’interno della reggia, è uno shock per la cultura. Nella esposizione ci sono fiori finti, mentre qui nella reggia ci sono bellissimi fiori veri», ha affermato la portavoce di Mon Amour Anne Auger, all’agenzia di stampa tedesca Dpa. L'associazione Mon Amour era già nata nel 2008, proprio per contrastare un'altra importantissima mostra di arte contemporanea nel medesimo posto: la mostra di Jeff Koons. L'idea di base dell'evento era quello di rendere vivo un luogo troppo statico, sia per attirare nuovi spettatori, sia persone in cerca di nuovi motivi per ritornare nella Reggia di Versailles. Il “Sole 24 ore” recensisce questa mostra e afferma: «Si potrebbe pensare che Versailles non abbia bisogno di un surplus di attenzione, ma il suo gusto raffinato oggi risulta di fatto stucchevole a chi non sia appassionato di storia o di architettura. Anche i siti più belli hanno bisogno di risvegliare l'attenzione e lo fanno come possono». L'operazione di mettere il contemporaneo a contatto con il passato risulta sempre più vincente, tanto che negli ultimi anni questo tipo di mostre si sono moltiplicate. Il contatto con la notorietà di Takashi Murakami e l'importanza delle opere contenute nella reggia, ci fa riflette su come delle opere contemporanee possano dialogare benissimo con l'arte antica e viceversa. Il curatore della mostra Laurent Le Bon, direttore del Centre Pompidou-Metz afferma: «Se esiste un luogo in cui si devono correre dei rischi per creare la vera espressione della nostra era e non soltanto un'imitazione, che spesso è la cosa più facile da fare, quello è Versailles». I pareri su questa mostra sono stati contrastanti, per esempio Maddalena Rinaldi, collaboratrice di cattedra all'Università La Sapienza di Roma, spiega: «Murakami stupisce con le sue sculture e dona nuova vita a Versailles. Le sue opere interpretano, valorizzandole, le classiche bellezze della storica reggia donandole l’aspetto di un luogo creativo e propulsivo capace di emozionare anche oggi, non meno di ieri». Il New York Times, invece, scrive: «Per noi, "Murakami Versailles" si presenta come un allegro prolungamento del patrocinio notevole di Luigi XIV delle arti. C'è qualcosa di quasi ereditario circa l'aspetto di queste sculture in questo luogo. Sono trionfi del barocco populista incorniciato dal barocco regale. Si può venire a guardare il lavoro di Murakami, ma le sue sculture vi costringono a rivolgere la vostra attenzione a Versailles». Di parere completamente opposto sono i due autori del libro “Contro le mostre”, Tomaso Montanari e Vincenzo Trione, che condannano tutto questo e affermano che il museo, luogo sacro di contemplazione del passato, oggi si stia trasformando in una specie di luogo per il tempo libero. Le opinioni di Montanari e Trione rispecchiano una chiusura totale per quanto riguarda queste mostre, che invece, che stanno conquistando il pubblico di tutto il mondo. Murakami sente la nostalgia del museo; questo sentimento si risolve con un provocatorio accostamento delle proprie opere a contesti museali: egli sentiva il bisogno di essere consacrato dentro un museo. Ricordiamo inoltre che la mostra di Takashi Murakami nella Reggia di Versailles si è svolta da Settembre a Dicembre e una volta finita il castello del Re Sole tornò esattamente come prima, senza nessun deterioramento e senza nessun cambiamento di alcun tipo. BIBLIOGRAFIA https://artcontemporainetpatrimoine.wordpress.com/2015/03/14/lexposition-de-takashi-murakami- au-chateau-de-versailles/ http://leganerd.com/2010/09/14/takashi-murakemi-alla-reggia-di-versailles/ http://opere.teknemedia.net/magazine_detail.html?mId=8165 http://www.nytimes.com/2010/10/31/opinion/31sun4.h |
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