Riflessioni sui neologismi nella critica artistica: il ruolo delle tecnologie e dei nuovi media.30/1/2024 a cura di Sabrina PasqualeIl 29 e 30 novembre 2023 si è svolto il Convegno “Neologismi nella critica artistica contemporanea. Nuovi media, nuove tecnologie, nuove prospettive metodologiche”, ormai giunto alla seconda edizione, curato da Federica Bertini (Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”), Emanuela Garrone (l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione) e Rosalinda Inglisa (Università Telematica San Raffaele Roma). Il Convegno fa parte del progetto “Neologismi nell’arte contemporanea” avviato nell’ambito di un accordo ufficiale stipulato tra l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD). I lavori della prima giornata sono stati presentati da Carlo Birrozzi, Direttore dell’ICCD, e da Carmelo Occhipinti, Responsabile del corso di studi magistrali in Storia dell’Arte presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e del master MANT “Nuove tecnologie per la comunicazione, il cultural management e la didattica della storia dell’arte: per una fruizione immersiva e multisensoriale dei Beni Culturali”. Durante il suo intervento introduttivo, Carlo Birrozzi ha sottolineato l’importanza di questa collaborazione per condividere i lavori di ricerca che i due enti stanno conducendo sui lessici della storia dell’arte. L’ICCD è stato infatti impegnato, negli ultimi tre anni, in alcune ricerche riguardanti le modalità descrittive del patrimonio artistico al fine di mettere in evidenza il rapporto che si crea tra le opere e il contesto in cui esse nascono e vengono fruite. Inoltre, dal 2017, è in atto una collaborazione con l’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR per la creazione di specifiche ontologie sui beni culturali, soprattutto in riferimento al lessico dell’architettura. Il Direttore ha concluso l’intervento sottolineando l’importanza della condivisione di una metodologia sia nell’ambito della catalogazione che nella formazione di vocabolari controllati. Carmelo Occhipinti, che da anni è impegnato con il suo gruppo di lavoro nella digitalizzazione di trattati storiografici italiani, relativi agli anni compresi tra il Cinquecento e l’Ottocento, dedicando una specifica collana monografica della rivista di Storia dell’arte Horti Hesperidum, chiamata “Lessico artistico”, ha incentrato la sua analisi sull’elaborazione di un lessico storico della critica d’arte italiana, dall’età rinascimentale ai nostri giorni. Lo studioso ha citato il significativo lavoro del linguista Gianfranco Folena che, già nel 1976 ne La scrittura di Tiziano e la terminologia pittorica Rinascimentale aveva sottolineato la necessità di un lavoro sulla terminologia delle arti figurative e dell’architettura. Questo argomento è stato anche affrontato dalla storica dell’arte e docente presso la Scuola Normale Superiore di Pisa Paola Barocchi, che nel 1983 con l’intervento “La Crusca, nella tradizione letteraria linguistica italiana” pronunciato durante il Convegno dell’Accademia “Commercio internazionale” organizzato per il quarto centenario di questa Istituzione, ha sottolineato l’importanza del confronto tra le fonti letterarie e il linguaggio tecnico degli artisti e delle botteghe. Occhipinti ha concluso invitando a riflettere sull’etimologia ed evoluzione delle parole come una storia della disciplina, una storia dei modi di vedere che cambiano senza ridurre questo lavoro alla creazione di un compendio, un prontuario di termini, come si fa per i linguaggi tecnici, della medicina o dell’ingegneria. Nel Convegno, prima degli interventi dei relatori, le curatrici, Federica Bertini, Emanuela Garrone e Rosalinda Inglisa, hanno illustrato le tappe che hanno permesso la realizzazione del progetto. Federica Bertini, nel 2019, ha avviato un lavoro di ricerca sui neologismi relativi all’arte contemporanea, con particolare attenzione ai nuovi media e alle nuove tecnologie, questi ultimi impiegati nella creazione e nello sviluppo di nuovi modelli espositivi, di fruizione e di comunicazione. Parte di questo lavoro è stato approfondito nel volume “Heritage 5.0. Tramandare l’eredità culturale, una sfida per il XXI secolo”, pubblicato nel 2023 e curato da Federica Bertini e Valentino Catricalà, studioso dei rapporti fra arte, cinema e media, curatore e critico d’arte contemporanea. In questo volume è stato pubblicato un primo glossario, nel quale i vocaboli sono stati analizzati partendo dal significato che essi assumono relativamente agli ambiti della fruizione e a quelli della produzione artistica, citando anche casi studio esemplari. Significativo impulso per questa ricerca è stato dato nel novembre 2022, quando è stata organizzata la prima edizione del Convegno internazionale dal titolo “Neologismi nella critica artistica contemporanea Nuovi media, nuove tecnologie, nuove prospettive metodologiche”. Inoltre, è rilevante considerare che lo studio sul lessico è strettamente collegato al lavoro di elaborazione di una scheda sperimentale di catalogazione dei linguaggi artistici legati alla Street art e all’Arte urbana, ideata da Simonetta Baroni, testata per la prima volta nel 2019 nell’ambito del progetto universitario “Street Art in provincia”, ideato da Federica Bertini con la collaborazione di Francesca Colonnelli.
Lo studio dei neologismi e la schedatura di opere d’arte contemporanea sono diventati i temi di un più ampio progetto condiviso con l’ICCD, in cui grazie al lavoro svolto da Maria Letizia Mancinelli, i diversi modelli di catalogazione utilizzati nella prima scheda sperimentale (OAC, BDM e la schedatura Critic Art Data, ideata da Eugenio Battisti nel 1989) sono stati rivisti in base alle nuove norme e modelli di schedatura, a cui si aggiungono anche gli importanti contributi di Federica Bertini e Emanuela Garrone in relazione all’aggiornamento e all’ampliamento del lemmario dei linguaggi artistici contemporanei con una particolare attenzione ai termini legati agli aspetti digitali e tecnologici dell’arte. Nel corso di queste due giornate di studio si sono alternati studiosi ed esperti provenienti da diversi atenei italiani ed enti di ricerca che hanno analizzato una serie di termini: Metamuseo del costume cinematografico (Elisabetta Bruscolini), Itinerario digitale (Olga Concetta Patroni), Pittura provvisoria ( Alessandro Ferraro), Op Art ( Marta Previti), Data sculpture/Data painting (Claudia Bottini), Tecnosocialità ( Chiara Canali), Aptico (Valentina Bartalesi), Phygital ( Davide Silvioli), Storage (Williams Troiano), Storytelling (Barbara D’Ambrosio), Comunicatore museale (Lidia Abenavoli) , Site- specific /time- specific ( Costanza Meli). L’ultima sessione del Convegno è stata dedicata alla presentazione di alcuni studi condotti dagli studenti del corso di “Nuove tecnologie per la fruizione delle opere d’arte e per l’accessibilità del Patrimonio Culturale” (tenuto da Federica Bertini e Simonetta Baroni) del Master MANT del Dipartimento di Studi letterari, filosofici e di storia dell’arte dell’Università degli studi di Roma “Tor Vergata”, coordinato da Carmelo Occhipinti. Conclusioni È importante sottolineare che durante il Convegno è emersa un’interessante riflessione sull’esigenza di conoscere il lessico dell’arte creando occasioni di confronto diretto con gli artisti. Si tratta di un contatto necessario per rispondere alla complessità dei linguaggi artistici contemporanei strettamente legata al rapido sviluppo e utilizzo delle nuove tecnologie e delle innovazioni digitali. Per completare questa operazione Simonetta Baroni e Federica Bertini hanno proposto una serie di incontri che precederanno la prossima edizione del Convegno “Neologismi nella critica artistica contemporanea. Nuovi media, nuove tecnologie, nuove prospettive metodologiche”, previsto per il mese di novembre 2024, e che coinvolgeranno artisti, curatori e storici dell’arte. Gli incontri saranno divisi in quattro aree tematiche: 1- Arte, media e tecnologia; 2- Arte, territorio e ambiente; 3- Arte e sensorialità; 4- Arte e socialità. Si tratta di una prima classificazione utile al momento per iniziare un’indagine su specifici settori in relazione ai temi dell’arte contemporanea, della musealizzazione, della curatela, dell’allestimento, dell’illuminazione, della fruizione e della comunicazione. Questa operazione diventa pertanto centrale nella conoscenza e uso di nuovi termini che andranno ad arricchire e ampliare il lemmario.
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Alcuni studi dedicati a Cento, la città del Guercino, hanno portato a riflettere sul tema del viaggio e di come siano cambiati i viaggiatori nel corso del tempo. Il mutamento è avvenuto, gradualmente, sotto ogni aspetto: la pianificazione, l’attrezzatura, le motivazioni. Qualcosa però resta invariato, come un istinto primordiale e non soltanto come abilità cognitiva, ossia l’esigenza di orientarsi nel tempo e nello spazio. Non a caso, il più delle volte, siamo accompagnati da una guida, un’applicazione, mentre i nostalgici e gli alpinisti da una cartina o una bussola alla scoperta di nuovi territori, oltre che di se stessi. Per decenni abbiamo acquistato nelle librerie delle guide tascabili che ci potessero accompagnare durante i nostri viaggi per conoscere il loro patrimonio storico artistico, senza tralasciare le tradizioni, i prodotti autoctoni, gli alloggi e i locali caratteristici. Nei secoli precedenti, anche i cosiddetti forestieri scelsero l’ausilio di questi libretti, i quali erano ricchi di nozioni su luoghi ed edifici, specialmente di culto, con le opere più importanti, i restauri, gli aneddoti sulle famiglie più importanti. Oggigiorno questi libretti sono diventati principalmente materiale di studio per gli storici e gli storici dell’arte poiché il viaggiatore ormai è abituato a consultare blog, siti internet, applicazioni. Ultimamente si cercano le informazioni nelle pills o reel, della durata di sessanta secondi, lasciati dagli utenti su Instagram o Tik Tok. Il mercato delle guide non si è arrestato, ma sicuramente con l’avvento delle mappe satellitari è in netto calo. Restano poi gli amanti della storia, sognatori in viaggio che con le guide storiche nello zaino cercano di scoprire quel territorio, come se avessero tra le mani una macchina del tempo, consapevoli delle trasformazioni urbanistiche e ambientali, accrescendo la consapevolezza dell’importanza nel preservare i territori. Questa modalità di approccio con le guide antiche è stata ampiamente sfruttata dalla televisione britannica con il programma Trans Europe Express, condotto da Michael Portillo. Il conduttore ha realizzato un documentario per la BBC effettuando dei viaggi in treno per l’Europa continentale con l’ausilio della Bradshaw’s Guide, la celebre raccolta di guide per il turismo ferroviario creata da George Bradshaw a partire dal 1839, ripercorrendo i luoghi della guida e analizzando le differenze con il mondo contemporaneo. È stato un programma di enorme successo. In realtà molti dei nuovi ausili sono inscindibili dalle fonti antiche, in quanto la stessa applicazione aggiornata e ricca di contenuti, molto spesso non è altro che la presentazione finale di un back-end composto da una squadra di studiosi e specialisti che hanno realizzato i contenuti da trasmettere in modo digitale, cercando di essere efficaci ed efficienti. Una simpatica cittadina, ben costruita, di circa cinquemila abitanti, produttiva, linda, vivace, posta in una pianura coltivata a perdita d’occhio. […] A Cento il nome di Guercino è sacro, sulla bocca dei piccoli come dei grandi. Mi piacque molto il quadro che rappresenta l’apparizione del Cristo risorto alla Madre. Il Caso di Cento Molte città sono state descritte nelle Guide de’ Forestieri e in questa circostanza sembra utile mettere in luce il caso di Cento. Difatti, durante le ricerche storiografiche e cartografiche, si è iniziato a confrontare le varie guide della città: Memorie delle cose di Cento di Biagio Bagni, il primo storiografo di sua patria agli inizi del Seicento; Girolamo Baruffaldi nel Settecento con la Visita alle Pitture della Terra di Cento per istruzione del Passeggere e de’ Dilettanti del Dissegno; le Pitture di Cento [1] di Camillo Orazio Righetti nato Dondini del 1768; il Sunto storico della Città di Cento [2] di Gaetano Atti del 1853; le famose guide del Touring Club, uscite per la prima volta nel 1914; la recente e preziosa guida del 2012 di Valeria Tassinari, Cento, conoscerla, amarla; fino all’applicazione e sito internet Cento città del Guercino [3] realizzata dal Comune di Cento in collaborazione con l’Università di Bologna. Per esempio, il testo di Righetti, su cui vertono le mie ricerche, invita il lettore a servirsi di questo libretto ricco di annotazioni, dichiarando nel prologo che per redigerlo prese le parole da: Carlo Cesare Malvasia, Giovanni Baglione, Pellegrino Antonio Orlandi, Francesco Algarotti, Giovanni Paolo Lomazzo, per citarne alcuni. Gaetano Atti si ispirò a Righetti, ma aggiunse nuove informazioni, come la descrizione della pinacoteca comunale, costituita soltanto nel 1839 all’interno del palazzo del Monte di Pietà dove furono riunite numerose opere provenienti da vari edifici di culto soppressi in età napoleonica. Le guide edite dal Touring Club uscirono, a partire dal 1914, sotto forma di Guide di Italia, famose per la copertina rossa e divise per regioni, per rivalutare l’ambiente urbano e naturale e per sensibilizzare la popolazione senza tralasciare l’aspetto cartografico. Nel volume dedicato all’Emilia Romagna, troviamo il tragitto da Modena a Cento: qualche accenno alla storia dei nomi della città e dei personaggi illustri, primo tra tutti Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino; una breve panoramica dei luoghi di maggiore interesse con approfondimenti sulla Pinacoteca civica e sulla Chiesa del Rosario. Oggi, in questa quarta rivoluzione digitale, grazie all’applicazione Cento città del Guercino, realizzata dal laboratorio di ricerca FrameLab [4] (Multimedia & Digital Storytelling), le preziose informazioni di base si sono trasformate in storymaps e audioguide, nelle quali è possibile orientarsi attraverso una mappa per vedere i luoghi dell’artista: la casa, l’Accademia del Nudo, le chiese, le opere conservate in pinacoteca. Inoltre, i luoghi non registrati nelle stories si possono fotografare con il proprio dispositivo e una volta caricate le immagini nell’applicazione, questa fornirà agli utenti le informazioni sulla foto inserita appagando quell’esigenza dell’individuo di orientarsi, di contestualizzare quei luoghi, soddisfacendo il proprio bisogno di conoscenza e curiosità. Invece il sito internet accompagna lo studioso o il turista appassionato di Guercino alla scoperta delle sue opere. La città di Cento, che l’anno scorso ha ricordato il decennale del terremoto del 2012 – evento sismico che provocò la perdita di alcune persone e ingenti danni al patrimonio culturale – si è risollevata grazie alla tecnologia e il Comune ha potuto di nuovo accogliere i forestieri ricostruendo gli itinerari guerciniani [5]. Dopo il terremoto è stata organizzata soltanto la mostra Emozione Barocca nel 2019, mentre la Pinacoteca civica è ancora in fase di restauro e verrà riaperta verso la fine del 2023 [6]. Temporaneamente è stata allestita una pinacoteca dedicata al Guercino con poco più di dieci opere, all’interno della chiesa sconsacrata di San Lorenzo di proprietà della Fondazione Patrimonio degli Studi.
Sitografia [1]https://books.google.it/booksid=3IwlGQAACAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false [2]https://archive.org/details/suntostoricodell00atti/page/n5/mode/2upq=guercino&view=theater [3] https://centocittadelguercino.unibo.it/index.php/scarica-lapp/ [4] https://centocittadelguercino.unibo.it/index.php/credits/ [5] https://www.guercinoacento.it/itinerario-guerciniano/ [6]https://www.guercinoacento.it/pinacoteca-civica-il-guercino/ di Davide Silvioli Avvalorando la tesi secondo cui «la pratica curatoriale contemporanea, soprattutto quando opere provviste di una radice tecnologica significativa sono il suo epicentro, sembra essere in bilico fra il tentativo di inserire tali lavori nella fenomenologia della storia dell’arte e quello di trovare per gli stessi, vie d’espressione efficaci che possono però finire per escluderli ancora di più dalle modalità canoniche di esposizione e di documentazione»[1], questo studio mira a registrare le ragioni a fondamento del verificarsi crescente di un’attitudine distintiva dell’attualità, nel merito del campo disciplinare della curatela d’arte contemporanea. Si fa riferimento al dato che vede la pratica curatoriale odierna chiamata a interfacciarsi, con una ricorrenza sempre maggiore, con ricerche artistiche che qualificano la rete internet quale elemento costitutivo; sia che si tratti di opere totalmente informatizzate, dunque concepite e realizzate per essere fruite – a prescindere dagli strumenti utilizzati per farlo – esclusivamente nel web, che di lavori dalla formazione ibrida, perciò in grado di riunire nella propria articolazione tanto la dimensione fisica quanto quella online. In questo confronto, si assiste, non affatto di rado, all’avvalersi da parte dell’attività curatoriale di espedienti tecnologici, impugnati poiché ritenuti indispensabili per restituire nel modo più attinente possibile la natura estetica delle opere incluse in un progetto espositivo della fattispecie. A partire da tale constatazione, suffragando la convinzione secondo cui «la curatela non può essere dissociata dai cambiamenti sociali e tecnologici della civiltà del network»[2] e del proprio presente storico, la prosa ragiona su questa specifica flessione dell’andamento coevo della curatela d’arte contemporanea, al fine di rilevare l’entità della sua relazione con la categoria artistica identificata dalla nozione di “Internet-based”, dalla prospettiva dell’uso della tecnologia. Così strutturata nell’impianto concettuale, la trattazione si sofferma sull’osservazione delle motivazioni e delle modalità tramite cui la curatela d’arte contemporanea stia ricorrendo alla tecnologia, nella configurazione di progetti di mostre fisiche con opere internet-based. A tale proposito, poggiando sulla convinzione che «non intercorra incompatibilità fra la curatela e le tecnologie informatiche»(3), si argomenta che l’intenzione di impostare il focus dello scritto su una fra le nuove frontiere della curatela, la problematica “Internet-based”, è protesa a scrutare alcune soluzioni che l’esercizio curatoriale ha elaborato rispetto a come trattare realizzazioni di tale tipologia, fra le più avanguardistiche della contemporaneità, nonché già peculiare del presente storico-artistico. Un’accentuazione speculativa del genere, secondo un modello solitamente molto meno percorso, trasferisce il punto di vista dell’analisi dell’uso della tecnologia dalla sfera della ricerca artistica a quella della curatela, sulla base di come la stessa stia attraversando e risolvendo la questione “Internet-based”. Questo schema coincide, collateralmente, pure con il proponimento di monitorare l’aumento delle soluzioni che la professione del curatore, in sincronia con l’evoluzione di altri settori scientifici, è in potere di conseguire. Ciò termina nell’attribuire al testo un margine di novità, quindi anche d’incertezza o d’incompletezza, da dover soppesare. Quest’ultimo aspetto, sebbene possa sembrare conflittuale, rispecchia la difficoltà, endemica della critica d’arte contemporanea, implicita nel tentativo di mettere a fuoco i fenomeni culturali in assenza della dovuta distanza cronologica per farlo in maniera completamente nitida. Sul significato di Internet-based Difatti, l’espressione “Internet-based” si ritrova spesso associata indiscriminatamente e in modo indebito alle definizioni di “Net Art”, “Digital Art”, “Browser-based Art”, “Software Art”, “Internet Art”. Nei casi più generici, essa è utilizzata in sostituzione di queste denominazioni, come se fra tali accezioni non sussistessero livelli di differenza decisivi oppure come se le stesse fossero deliberatamente intercambiabili. Se, da un lato, il riscontro della vaghezza di tale condizione critica decreta la disomogeneità con cui la teoria dell’arte si è occupata del termine in esame, ciò, dall’altro, è dimostrazione della proprietà più evidente di questa nozione; ovvero la trasversalità. Nondimeno, persiste il problema che l’appellativo “internet-based” viene simultaneamente adoperato per una pluralità di ambiti e di esiti rispettivi della ricerca artistica, talvolta anche molto eterogenei, al punto di causare un disorientamento interno alla disciplina stessa. Allora, per circoscrivere il raggio di pertinenza del suo significato, risulta proficuo far appello alla natura del suo etimo, che va a indicare solamente la qualità costitutiva rivestita dalla rete internet nella fisica, quindi nell’estetica, di un’opera d’arte. Quanto ora desunto descrive null’altro che il vincolo di necessità, racchiuso nell’aggettivo “based” (da interpretarsi come “fondato”), che prevede il collegamento alla rete internet tra le componenti essenziali di un dato lavoro. Pertanto, dal momento che, oltre al ruolo irrinunciabile ricoperto dalla connessione web, nel termine non vi è alcun tipo di allusione riconducibile a medium, a tecniche, a procedimenti o a finalità, ogni qualvolta esso viene assimilato a discendenze di categorie che, invece, comportano prescrizioni di tal sorta, lo stesso diviene materia di un accostamento improprio. Al fine di marcarne il margine d’autonomia da altre nomenclature, si veda come un lavoro internet-based può non coincidere necessariamente con un’opera d’arte digitale, non corrispondere sempre a un’operazione artistica svolta internamente alle funzioni di un computer o a quelle della stessa rete internet, non deve per forza essere vincolato alle prestazioni di un software, di un browser o neppure di un algoritmo. A ogni modo, si sottolinea che questa autosufficienza non ne rinnega a priori una possibile appartenenza, a ragione, alle terminologie già citate, anche a più di esse al contempo. Tale statuto polimorfo è un derivato della mutualità che contrassegna queste convenzioni critiche, che, a loro volta, riflettono la poliedricità della tecnologia che le determina. Un ordine di contenuti così prospettato, per non risultare irrelato a quanto la curatela stia effettivamente conseguendo in termini di proposte espositive, induce a conferire non meno rilievo ai precedenti offerti dalla praxis, intesa come pensiero critico tradotto in azione, registrando l’assunzione di mezzi innovativi e la messa a punto di soluzioni inedite. Con la consapevolezza che «qualsiasi spazio entro cui si compie un’operazione curatoriale diviene essenzialmente uno spazio virtuale, perché la ridefinizione di significato di un ambiente che l’attività curatoriale termina nel restituire non è già incorporata nella realtà materiale del luogo»[4], l’investigazione è andata a supporre, cercando di renderne visibili le ragioni fondanti, un insieme sintetico e volutamente eterogeneo di trascorsi recenti, costituito da operazioni curatoriali che hanno trattato interventi dal carattere ibrido, dove connessione alla rete internet e parzialità fisiche si integrano reciprocamente, tanto nell’opera d’arte quanto nell’organicità del progetto. Su questa linea, si evince che l'impiego della tecnologia, relativamente alla curatela, risulta idoneo solo se è in potere di coniugarsi, con coerenza, al pensiero critico, all’allestimento nello spazio, ai modi di fruizione delle opere, fino a suggerire una «corrispondenza fra il rapporto dell’osservatore con le interfacce web e lo spazio fisico, cercando di stabilire coesione fra modi diversi di espressione, di fruizione e di esposizione»[5]. Pertanto, è costruttivo che pratica curatoriale e tecnologia siano correlate da un principio di complementarità, di interoperabilità, tale da consentire sia di esprimere che di esperire una condizione estetica che i soli apparecchi tecnologici o la curatela più ordinaria, singolarmente, non riuscirebbero a restituire. Laddove, per converso, la tecnologia non viene risolta in tal senso appare aliena al contesto a cui essa, al contrario, dovrebbe dare voce, finendo nell’avvertirsi come sterile, superflua, fuorviante. Allo stato dei fatti, si può dare per assodato che «le tecnologie digitali e i nuovi media influenzano e continueranno a modificare radicalmente lo scenario espositivo. Questa tendenza induce la curatela a problematizzare e a sfidare tanto i concetti quanto le metodologie curatoriali convenzionali»[6]. È anche da considerare che il cambiamento ora indicato si verifica sempre in risposta al mutare degli esiti offerti dalla ricerca artistica, che solo in tempi relativamente recenti ha iniziato a metabolizzare questa inclinazione operativa. È per questa motivazione che la classe rappresentata dall’arte internet-based costituisce un contesto speculativo, nonché un territorio di confronto fra visioni differenti, dotato di indubbia profondità d’indagine e di evidente attualità. Note [1] Papadaki 2019, p. 1 [2] Kraysa 2006, p. 10 [3] Weinberg 2014, p. 230 [4] Ivi, p. 231 [5] Ghidini 2015, p. 137 [6] Pan 2021, p. 48 Bibliografia Kraysa 2006 = J. Kraysa (a cura di), Curating Immateriality: The Work of the Curator in the Age of Network Systems, Autonomedia, Brooklyn 2006. Weinberg 2014 = L. Weinberg, Curating Immateriality: in serch for spaces of the curatorial, Goldsmith University press, Londra 2014. Ghidini 2015 = M. Ghidini, Curating web-based art exhibitions: mapping their migration and integration with offline formats of production, Sunderland University press, Sunderland 2015. Papadaki 2019 = E. Papadaki, Between the Art Canon and the Margins: Historicizing Technology-Reliant Art via Curatorial Practice, Indiana University press, Bloomington 2019 Pan 2021 = P. Pan, Curating multisensory experiences: the possibilities of the immersive exhibitions, OCAD University press, Toronto 2021. Il Convegno internazionale “Neologismi nella critica artistica contemporanea. Nuovi media, nuove tecnologie, nuove prospettive metodologiche”, curato dalle dott. sse Federica Bertini e Rosalinda Inglisa sotto il coordinamento scientifico del prof. Carmelo Occhipinti, è il secondo evento di un programma pluriennale organizzato congiuntamente dall’Università degli studi di ‘Tor Vergata’ e dall’Università telematica San Raffaele Roma. Rivolgendosi a studiosi e ricercatori che operano sul territorio nazionale ed internazionale, esso rappresenta un utile momento di riflessione e di analisi dei neologismi di più recente acquisizione nell’ambito della critica artistica contemporanea, con particolare riguardo ai nuovi linguaggi dell’arte, ai modi di comunicazione, agli approcci interpretativi e descrittivi e agli innovativi strumenti messi a disposizione dall’impiego delle tecnologie e del digitale. Le analisi dei neologismi verranno condotte proponendo un confronto tra alcune delle attestazioni che si trovano negli scritti storiografici, nella letteratura e nella critica artistica. Il Convegno si inserisce all’interno delle attività di ricerca sulla storiografia artistica e sul lessico dell’arte che da molti anni sono condotte presso il Dipartimento di Studi letterari, filosofici e di storia dell’arte dell’Università degli studi di Roma “Tor Vergata” sotto il coordinamento del prof. Carmelo Occhipinti. Gli incontri si svolgeranno il 25 Novembre, sia in presenza presso l’Università telematica San Raffaele Roma (in via Val Cannuta 247, 00166 Roma) che in modalità telematica, a partire dalle ore 9:00, e il 26 Novembre in modalità esclusivamente telematica, a partire dalle ore 9:30. Il convegno si aprirà con i saluti istituzionali del prof. Carmelo Occhipinti, coordinatore del corso di Laurea in Storia dell’Arte dell’Università degli Studi di Roma ‘Tor Vergata’, e della prof.ssa Stefania Supino, Direttrice del Dipartimento di Promozione delle Scienze Umane e della Qualità della Vita, Università Telematica San Raffaele Roma. I RELATORI DEL CONVEGNO
Alla discussione interverranno Valentino Catricalà (SODA Manchester), Davide Silvioli (Curatore, Museo di Palazzo Collicola - Spoleto), Ottavio De Clemente (Università degli Studi di Roma 'Tor Vergata’), Angela Savino (Università degli Studi di Roma 'Tor Vergata’), Fabio Viola (curatore, mostra PLAY Reggia Venaria), Cinzia Dal Maso (Giornalista e scrittrice, direttrice di Archeostorie), Andrea W. Castellanza (autore e co-founder di NWFactory.media), Martina Germano, Michele Trimarchi (Tools for Culture), Anna Cipparrone (Museo multimediale Consentia Itinera), Eva Pietroni, Noemi Orazi, Alessandra Chirivì, Patrizia Schettino, Fulvio Mercuri (CNR), Carmelo Occhipinti (Università degli Studi di Roma 'Tor Vergata'), Eleonora Minna (Accademia di Belle Arti di Frosinone), Emanuela Garrone (ICCD, GNAM), Floriana Conte (Università degli studi di Foggia), Roberta Cristofari (Università degli Studi di Roma ‘Tor Vergata’), Marina Cafà (Università degli Studi di Roma ‘Tor Vergata’), Elia Fiorenza (Università della Calabria), Patrizia Genovesi (Open Studio – Libera Università del Cinema’), Serena Nardoni (Università degli Studi di Roma 'Tor Vergata’), Monica Mongelli (INWARD - Osservatorio Nazionale sulla Creatività Urbana), Simonetta Baroni, Federica Bertini (Università degli Studi di Roma 'Tor Vergata’), Fedele Di Nunno (Università degli Studi La Sapienza), Armando De Mare (Università degli Studi di Roma 'Tor Vergata’), Giulia Brandinelli (Alma Mater Studiorum Università di Bologna), Sara Buoso (University of the Arts London), Giulio Latini (Università degli Studi di Roma 'Tor Vergata’), Olga Concetta Patroni (Università degli Studi di Roma 'Tor Vergata’), Maria Assunta Sorrentino (Palazzo Barberini), Donatella Caramia (Università degli Studi di Roma 'Tor Vergata’), Andrea Lauria (Università degli Studi di Roma 'Tor Vergata’), Maria Cristina Fortunati (Università degli Studi di Roma 'Tor Vergata’), Veronica Budini (Università degli Studi di Roma 'Tor Vergata’). Modereranno gli interventi Federica Bertini, Nicolette Mandarano, Rosalinda Inglisa, Federico Giordano, Carlotta Sylos Calò e Giulio Latini. Comitato scientifico Carmelo Occhipinti, Simonetta Baroni, Federica Bertini, Valentino Catricalà, Floriana Conte, Giorgio Fornetti, Rosalinda Inglisa, Anna Maria Marras. Di seguito i link d’accesso alla piattaforma: 25 novembre 2022 - Riunione di Microsoft Teams: link: urly.it/3q-48 26 novembre 2022 - Riunione di Microsoft Teams: link: urly.it/3q-44 *Cliccare o incollare il link in un browser per partecipare. È necessaria l’iscrizione alla piattaforma TEAMS. Per info e supporto contattare: Federica Bertini - [email protected] Rosalinda Inglisa - [email protected] Di Simonetta Baroni All’origine era il telefono analogico: un apparecchio per trasmettere a distanza voci e suoni per mezzo della trasformazione delle vibrazioni acustiche in oscillazioni di corrente elettrica, costituito da un microtelefono composto da un trasmettitore e un ricevitore e da una cassa al cui interno si trovano congegni elettromeccanici[1]. Questo rivoluzionario strumento di comunicazione, che ha radicalmente modificato le relazioni sociali, è entrato nel mondo dell’arte del Novecento, rappresentato per l’estetica della sua forma ma anche per la sua funzione. Proprio quest’ultimo aspetto ha sollecitato l’interesse di alcuni artisti che hanno voluto sfruttare la comunicazione attraverso l’ascolto della voce. Tra questi significativo è il progetto, Dial-a-poem[2], nato nel 1968 e terminato nel 1971, del poeta e performer newyorkese John Giorno (1936-2019)[3], che ideò un servizio di poesia pubblica, in cui era stata selezionata una raccolta enciclopedica di testi poetici, letti e scritti da importanti personalità del modo della cultura, che furono ascoltati, grazie all’uso del telefono analogico fisso, da oltre cinque milioni di persone. Questa innovativa operazione artistica venne presentata dal primo novembre al 14 dicembre 1969 alla rassegna Art by Telephone[4] di Chicago. Questa modalità artistica permetteva di stabilire una relazione tra mezzi di comunicazione e fruizione di massa che sembra anticipare la nostra realtà ipertecnologica. Nel 2020 questo format di J. Giorno ha trovato una nuova versione nel servizio come app mobile della Nottingham Trent University e dell'Arts and Humanities Research Council. Proprio la capacità di far dialogare la tecnologia con la cultura umanistica diventa, in questo contesto, lo spunto per recuperare e ridare valore all’ascolto, sottraendo così l’opera dalla sua mera riproduzione visiva fotografica e virtuale. Nel rapporto concettuale tra la parola e l’oggetto artistico non si può prescindere dal contatto fisico con esso da parte del fruitore, che, non dovendo più recarsi in un luogo preciso per alzare un ricevitore per ascoltare o comunicare il proprio messaggio, può porsi di fronte all’opera, sperimentato quella ritrovata empatia inscindibilmente legata al recupero dell’unità percettiva dei nostri sensi. Inoltre bisogna tener presente che la voce umana associata alle parole si trasforma in un dirompente strumento di comunicazione. In ogni smartphone e anche nei telefoni digitali è presente l’opzione “viva voce”, che consente di comunicare dall’interno di un ambiente la conversazione anche ad altre persone che si trovano nel medesimo luogo, trasformando così la personale e circoscritta condivisione in un momento collettivo e relazionale. Questi sono alcuni aspetti che sono emersi analizzando la funzione del telefono all’interno di un’indagine artistica, affrontati e sviluppati nel 2019 anche nella mostra torinese Artissima Telephone [5], in cui si sottolinea come lo smartphone sia diventato "un device di intrattenimento e auto espressione”[6], una porta di accesso e di connessione costante alla rete, e abbia perso gradatamente la sua primaria ed esclusiva funzione di comunicazione vocale. Tra gli artisti presenti alla manifestazione torinese è interessante la figura di Francesco Pedraglio[7], di cui si analizzerà l’installazione, esposto al MACRO alla sezione Retrofuturo, dal titolo Maziar Firouzi, +39 02 8295 4344, realizzato nel 2020.2022, in cui per la sua completa fruizione è necessario chiamare il numero telefonico riportato nel titolo e inciso su una degli elementi scultorei che formano la sua composizione. Digitando il numero telefonico è possibile ascoltare le storie narrate da Pedraglio partecipando al suo personale racconto suggerito dai luoghi evocati dalle sculture, piccoli frammenti architettonici chiamati palcoscenici, teatri di avventure che se condivise acquistano, come precisa l’artista, «un senso nella testa di chi ascolta o di chi guarda». Questa operazione sembra puntualmente racchiudere quegli aspetti finora analizzati sottolineando le potenzialità comunicative dell’ascolto, come pratica estetica e non solo informativa, in rapporto all’opera d’arte e all’intervento del fruitore, che ha il compito di attivare questo dispositivo. L’opera è stata scelta e inserita nel percorso tattile-sensoriale, rivolto alle persone non vedenti e ipovedenti, dal titolo Racconto sensoriale al Museo per l’Immaginazione Preventiva: un percorso inclusivo[8], che comprende altri tre lavori [9] della Collezione del MACRO, ideato e realizzato durante il corso-laboratorio, Didattica Museale Inclusiva[10], promosso dall’Università di Roma Tor Vergata, che si è svolto da ottobre-novembre del 2021 con la partecipazione di un gruppo di studentesse universitarie (Marina Baldari, Roberta Cristofari, Maria Gatti, Martina Marrocco, Benedetta Paris, Eleonora Turli, Alessandra Ulisse). Bisogna ricordare che l’ascolto è una pratica che per le persone non vedenti è stata ed è ancora uno strumento indispensabile per conoscere il mondo circostante e che nella tradizione orale era associata a «moduli mnemonici…bilanciati a grande contenuto ritmico […] per un facile apprendimento e ricordo»[11]. Non distratti da immagini è possibile apprezzare il suono delle parole e riscoprire quella lentezza e “intimità” sensoriale che sembra ripetere i tempi lunghi necessari per una corretta esplorazione tattile. Pertanto, il racconto attraverso il telefono o smartphone, affidato esclusivamente alla voce, diventa un convincente ed efficace strumento di affabulazione, come ricordato anche dal titolo del libro di Gianni Rodari, Favole al telefono, scritto nel 1962. Proprio la riconquista di questo modo di ‘toccare e sentire con le parole’ forse aiuterebbe a scongiurare il rischio dell’incomunicabilità che l’uso compulsivo e la continua connessione con una dimensione virtuale globale provocano nella persona soggetta ad un estraniante isolamento, dimensione esistenziale suggerita anche da Michelangelo Pistoletto in una serie di opere dal titolo Comunicazioni [12] in cui l’uomo e la donna colti mentre fissano lo schermo del cellulare concentrati nelle loro conversazioni ignorano le persone che attraversano il loro spazio specchiante. È proprio dall’esperienza della mostra al MACRO che nasce questa riflessione, in cui alcune esperienze artistiche sono diventate lo spunto per elaborare nuove strategie per avvicinare le diverse tipologie di pubblico all’arte. L’effettuare la chiamata e collegarla al sistema di una segreteria, permetterebbe di poter registrare diversi contenuti: dalle parole dell’artista, alle storie, ai testi descrittivi e informativi ma anche poesie, brani letterari, musicali e teatrali, pre-testi per attivare la comprensione dell’oggetto attraverso molteplici livelli di lettura e stabilendo con esso sempre un contatto fisico. Questa formula comunicativa è applicabile in contesti artisti, territoriali e naturali e può rivelarsi a volte più efficace del QR in quanto digitare un numero telefonico, stampato anche a caratteri aumentati per gli ipovedenti e in braille, permette un accesso facilitato a tutti, compresi i bambini. Pedraglio con le sue opere ha dimostrato come nei Musei questo sistema “parlante” possa rivelarsi coinvolgente e possa essere efficace anche per illustrare ai passanti le opere di Street Art raccontando le storie del territorio e dei suoi abitanti e per costruire un dialogo con gli spazi naturali. È spesso trascurato il ruolo delle sedute in spazi museali e delle panchine in luoghi pubblici, parchi e giardini, che, concepite come luogo d’incontro ma anche di soste solitarie, diventano funzionali alla fruizione delle opere artistiche e naturali. Si ricordano le panchine realizzate da street artisti[13]; l’installazione romana del 2021 di Michelangelo Pistoletto che utilizza 100 panchine per rappresentare il simbolo del Terzo Paradiso; le panchine a tema letterario, artistico e quelle trasformate in testimoni “colorati” di battaglie sociali[14]; le otto panchine, che nel 2011 il National Trust ha sparso in tutto il Regno Unito per il progetto «Bench Mate»[15] concepite per favorire un contatto con la natura, dotate di un dispositivo che permettere a chi si siede di ascoltare cinque minuti la voce di personaggi celebri. Interessante questo ultimo progetto ma troppo invasivo, se per evitare l’inconveniente di ascoltare le voci registrate si deve cambiare panchina. Rimane sicuramente più efficace l’uso del numero telefonico, che potrebbe essere riportato sulle panchine da usare esclusivamente se si vuole accedere ai contenuti registrati, affidando la scelta dell’interazione all’occupante. Nei parchi giochi inoltre si potrebbero prevedere numeri telefonici da riportare su elementi ludici per incrementare l’ascolto di filastrocche e favole. Nei vari casi citati, questo semplice espediente tecnico potrebbe produrre quella rivoluzione culturale preannunciata negli anni Sessanta proprio da J. Giorno. Note
[1] La voce “ Telefono” è tratta dal dizionario online Hoepli. [2] Alla nascita di questo progetto probabilmente contribuì anche l’incontro con uno dei maggiori scrittori statunitensi, William Seward Burroughs ( 1914-1997), vicino, come J. Giorno, al movimento della Beat Generation. Il progetto Dial-A-Poem venne installato per la prima volta nel gennaio 1969 all' Architectural League di New York; nel novembre dello stesso anno trasferito al Museum of Contemporary Art di Chicago e nel luglio del 1970 al Museum of Modern Art di New York. L’installazione era costituita da quattro telefoni, ognuno contenente registrazioni di 80 poeti che leggono 200 poesie proposte in maniera casuale all’ascoltatore. Alcuni articoli sull’argomento pubblicati nel 2019 in occasione della scomparta dell’artista:: https://www.artribune.com/dal-mondo/2019/10/e-morto-a-82-anni-john-giorno-poeta-artista-e-attivista-americano/; https://www.exibart.com/arte-contemporanea/si-e-spento-john-giorno-a-new-york-2; e nel 2020 /https://www.harpersbazaar.com/it/cultura/a32902602/john-giorno-poesia/. Per approfondire:: Di Genova, Arianna, John Giorno, l’artista che regalava poesie al telefono, in https://ilmanifesto.it/john-giorno-lartista-che-regalava-poesie-al-telefonoIn Italia questo dispositivo è stato allestito alla Galleria nazionale di arte moderna, in occasione della mostra You got to burn to shine (febbraio-aprile 2019), curata da Teresa Macrì, il cui titolo: Per risplendere devi bruciare, è ripreso dalla celebre raccolta di poesie di J. Giorno. [3] John Giorno ebbe contatti con artisti della Pop Art. Oltre a Bob Rauschenber e Jasper Johns, conobbe Andy Warhol e frequentò il mondo della Factory diventando l’attore di un suo film del 1963 dal titolo Sleep. [4] La mostra di Chicago fu una manifestazione dedicata a M. Duchamp e a G. Cage e si ispirò ai "quadri telefonici" dell’artista ungherese Laszlo Moholy-Nagy, che dettava al telefono a un fabbricante il progetto per la realizzazione delle sue opere. [5] La mostra, curata da Vittoria Martini e ideata da laria Bonacossa, si è svolta a Torino dal 31 ottobre al 3 novembre nel complesso industriale in collaborazione con le OGR – Officine Grandi Riparazioni . [6] Vedi: https://www.artissima.art/artissima-telephone/ [7] L’artista, nato a Como nel , 1981;, vive a Città del Messico. Lavora con la scrittura, la performance, il video e l’installazione. Le sue mostre personali più recenti sono state ospitate da: Norma Mangione Gallery, Torino (2019); Kettle’s Yard, Cambridge (2018); Museo Leonora Carrington, San Luis Potosí (2018). Tra le collettive si segnalano quelle ospitate da: Casa Tomada, Città del Messico (2018); Kunstverein Munich, Monaco (2017); PAKT, Amsterdam (2017). All’inizio del 2021 uscirà per Book Works (Londra) la collezione di testi performativi Battles (Vol. 1). Dal 2016 dirige il progetto editoriale Juan de la Cosa / John of the Thing insieme a Tania Pérez Córdova con cui nel 2018 ha pubblicato il libro Spoken Sculptures.Notizie tratte da: https://www.museomacro.it/it/retrofuturo/francesco-pedraglio-breve-storia-del-mostrare-e-dellessere-mostrati/ [8] Sito dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”: http://urania-artetecnologia.com/ [9] Margherita Raso, Untitled (2016), Ruth Beraha, I’ll tell you the story i know (2021, Gianluca Concialdi, Santissima pizzeria (2020). [10] IL corso -laboratorio è da me condotto e rivolto agli studenti della magistrale. [11] Walter J. Ong, Oralità e scrittura. La tecnologia della parola, Bologna, 2014 [12] Dal 22 al 24 settembre 2020 un gruppo di quadro della serie Comunicazioni,è esposta nella Galleria Giorgio Persano nel nuovo spazio all’interno del cortile di Via Stampatori 4 a Torino. [13] Vedi: La via delle panchine parlanti realizzate nel novembre del 2020 dallo street artista Massimiliano Bernardi secondo un progetto di riqualificazione del quartiere Montagnola di Roma. [14] Vedi: le panchine rosse contro la violenza sulle donne. [15] Vedi articolo: Marchetti, Simona, Le panchine che raccontano la natura. Le voci di attori e celebrità per rilassarsi all'aria aperta, 31 maggio 2011 in https://www.corriere.it/ambiente/11_maggio_31/panchine-parlanti-marchetti-regno-unito_7e505b48-8b98-11e0-93d0-5db6d859c804.shtml La tecnologia può aiutarci a cogliere il grande mistero dell’arte, solo se degli strumenti che essa ci offre sappiamo servirci consapevolmente, mettendoli al servizio di progetti didattici “umanistici” e ritrovando un dialogo tra scienza e umanesimo di cui sentiamo oggi un fortissimo bisogno. Lo dimostra bene, negli ultimi anni, la collaborazione tra uno storico dell’arte e un fisico, Carmelo Occhipinti e Giorgio Fornetti, all’Università di Roma “Tor Vergata”.
Il 12 agosto 2021, in occasione di Dabar Estate, organizzato dall’Arcidiocesi di Gaeta, sono state per la prima volta presentate al pubblico, in un contesto straordinariamente suggestivo come quello della Terrazza del Campanile del Duomo, le spettacolari riproduzioni 3D del ciclo decorativo della Cappella Dorata. |
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