di Cetty Barbagallo Le “passeggiate del Direttore” sono un’iniziativa che da tempo viene proposta dal Museo Egizio di Torino. Si tratta di un incontro mensile, riservato a un gruppo ristretto di circa trenta persone che, previa prenotazione, vengono guidate davanti ai reperti dell’antico Egitto direttamente da Christian Greco, direttore del Museo. In tale occasione, i visitatori sono ammessi a porte chiuse a passeggiare insieme al Direttore tra le sale del museo, per scoprire alcuni dei capolavori che di volta in volta vengono scelti, a sorpresa, secondo il tema del giorno. Per effetto del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri emanato l’8 marzo 2020 per contrastare e contenere la diffusione del virus Covid-19, tutti i luoghi e istituti di cultura italiani sono stati chiusi. Il Museo Egizio ha dunque deciso di reinventare la sua iniziativa riproponendola in versione digitale. Come? Due volte la settimana, il giovedì ed il sabato, sul canale YouTube (https://www.youtube.com/channel/UCu0NN4cZekeB2KKha2XwYyQ) il museo mette a disposizione un nuovo video, ognuno della durata di circa 10 minuti. In ogni videotour è sempre il direttore del Museo a condurre gli spettatori/visitatori tra le sale, illustrando alcune delle opere e condividendo, quindi, le sue spiegazioni con la comunità intera del web. L’obiettivo di questo progetto, come dichiarato dallo stesso Greco, è di aprire il museo verso il mondo esterno: «da anni dichiariamo che il museo è di tutti, è la casa di tutti, e da oggi lo vogliamo rendere ancora più visibile regalando a chiunque voglia una passeggiata con il direttore». Così, attraverso la promozione dell’hashtag #laculturacura, il Museo Egizio ha potuto sviluppare un progetto che già da tempo era partito, non solo per raccontare la prestigiosa collezione, ma anche per avvicinare l’istituzione alla collettività Il Trailer dell’iniziativa è disponibile al seguente indirizzo internet:
https://www.youtube.com/watch?v=I-QxzdwQnQo&list=PLg2dFdDRRClGtp33i7xqUwFO82TEVnMz2 Episodio 1 - L’Egitto e i Savoia Il primo oggetto che si incontra entrando nel museo, il ritrattomonumentale di Ramses II, in granito rosa, è una delle prime statue faraoniche che hanno raggiunto l’Europa. È arrivata a Torino nel 1759, grazie a Vitaliano Donati, il quale era stato mandato in Egitto dai Savoia. Episodio 2 - Sekhmet, i colossi di Memnon e la Iside di Copto Vitaliano Donati, professore di botanica all’Università di Torino, inviato in Egitto per conto dei principi di Savoia, riportò con sé circa seicento oggetti, tra cui due statue monumentali oltre a quella di Ramses II: i coloddo della dea Sekhmet e della dea Iside. Episodio 3 - L’Epoca dei Consoli Nel 1798 Napoleone organizzò la famosa campagna militare in Egitto, portando con se centosessantasette studiosi, per documentare tutto ciò che vedono. La documentazione prodotta confluirà poi in un’opera monumentale, intitolata Description de L’Égypte, il cui primo volume, pubblicato nel 1809, farà divampare una ondata di egittomania. Episodio 4 - Il libro dei Morti di Iuefanhk Il Museo Egizio ha deciso di esporre il papiro di Iuefanhk, lungo oltre 19 metri, noto come «Libro dei Morti». Esso contiene una serie di formule che permetteranno al defunto di superare gli ostacoli che gli si presenteranno dopo la morte, per potere proseguire la vita nell’aldilà. Episodio 5 – Le sale storiche e il Canone Regio Le statuette funerarie lignee esposte in questa sala appartengono alla collezione che fu formata da Carlo Vidua durante il suo viaggio in Egitto intorno al 1819. Acquistata da Vittorio Emanuele I, la collezione giunse nel Palazzo delle Scienze (quello che oggi ospita il Museo Egizio) nel 1824. Nel 1832 si decise di unirla alla collezione conservata presso l’Università per dare vita al Regio Museo di Antichità ed Egizio. Episodio 6 - Ernesto Schiaparelli, la M.A.I e il Partage Nel 1894 assunse la direzione del Regio Museo Ernesto Schiaparelli, il quale comprese subito che bisognava acquisire nuovi reperti, ma anche promuovere delle campagne di scavo che permettessero di raccogliere informazioni sul contesto archeologico da cui gli oggetti provenivano. Nel 1903 venne fondata la MAI (Missione Archeologica Italiana) che fino al 1920 riucì a realizzare dodici fondamentali campagne di scavo, che permisero di documentare e scavare vari siti, nonché di incrementare la collezione. Schiaparelli porterà oltre 35.000 reperti a Torino riuscendo a trasformare il museo Egizio da un museo antiquario a un museo archeologico. Episodio 7 - Rituali e sepolture nel predinastico Uno degli argomenti più affascinanti della cultura dell’antico Egitto riguardava la preservazione del corpo dopo la morte, giacché dopo la vita terrena iniziava una nuova vita. Il video presenta una serie di esempi di mummificazione del corpo, con particolare attenzione alle grandi sepolture dell’antico Regno. Episodio 8 - La Tomba di Ignoti La tomba scoperta nel 1911 da Virginio Rosa, che ne lasciò una documentazione estremamente minuziosa, si trova integralmente ricostruita nel Museo Egidio di Torino. Episodio 9 - La tomba di Iti e Neferu Nel 1911 viene ritrovata e scavata la tomba di Iti e Neferu, sita a 30km a sud di Tebe, una tomba semi-rupestre con sedici pilastri che delimitavano un corridoio interno, da un lato del quali si aprivano poi una serie di cappelle. Questa tomba aveva una peculiarità molto importante: le pareti erano decorate da pitture che furono strappate e portate a Torino. Lo studio degli archivi fotografici e dei documenti conservati nell’archivio storico del museo ha permesso di ricostruire l’originario contesto archeologico della tomba.
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di Valeria Gentili Anche il Museo Egizio di Torino, il più antico museo al mondo dedicato all’arte egizia, aperto dal 1832, in questo difficile momento storico ha dovuto chiudere i battenti, lasciando sprofondare nel silenzio le sue inestimabili, antichissime opere. Ma non lasciandole in solitudine. Infatti, senza interrompere le sue attività culturali, il museo adesso offre a tutti la possibilità di accedere comunque nelle proprie sale, attraverso un Tour Virtuale dedicato all’“Archeologia Invisibile”. Questo è il titolo della mostra temporanea che è in programma nel museo fino al 7 giugno 2020, a cura dell’egittologo Entico Ferraris, in collaborazione con numerose istituzioni scientifiche e culturali italiane, europee ed internazionali. La mostra espone al pubblico alcuni tra i reperti egizi più importanti del museo torinese, ma lo scopo dell’iniziativa non si esaurisce nell’esposizione virtuale degli oggetti: il percorso intende infatti accompagnare gli utenti, secondo diverse prospettive didattiche e attraverso adeguati espedienti narrativi, alla scoperta di una civiltà come quella Egizia lontanissima dalla nostra, da cui gli oggetti musealizzati provengono. L’allestimento della mostra vuole dunque far luce sul mondo che anticamente ruotava attorno ad ognuno dei reperti esposti, visibili oggi all’interno di teche e vetrine da museo. Per poterci riuscire, è stato necessario dar voce a diversi studiosi di egittologia, le cui attività di ricerca vengono raccontate in maniera facilmente comprensibile a tutti i visitatori del Tour virtuale. In modo semplice ed efficace, così, sono illustrate le fasi della ricerca archeologica (dallo scavo fino all’esposizione), per far capire anche ai non addetti ai lavori quali sono gli strumenti di indagine, dai quelli tradizionali a quelli più innovativi, che ci permettono di ricostruire un quadro di civiltà in tutti i suoi aspetti: molti dei quali aspetti, ormai, è possibile far rivivere solo attraverso l’utilizzo di sofisticati strumenti di osservazione e di misurazione, facendo affidamento anche alle competenze chimiche, fisiche o radiologiche. In tal senso la mostra si propone di guidarci per mano attraverso i reperti, insegnandoci a “guardare oltre”, al di là del visibile. Da qui, il titolo della mostra: “Archeologia invisibile”. Il tour si articola in quattro sezioni: 1) la documentazione dello scavo; 2) le analisi diagnosticheL; 3) il restauro; 4) la conservazione. La documentazione dello scavo. Lo scavo è il primo momento di conoscenza del reperto archeologico. L’archeologo è il primo che ne entra in contatto dopo milioni di anni. Non basta avere la fortuna di trovare il posto giusto in cui scavare ma bisogna avere le giuste capacità per capire come scavare. Ogni strato di terreno che si è posato sul reperto per secoli è fonte inesauribile di informazioni, ragion per cui non lasciare accurata testimonianza delle fasi di scavo potrebbe comportare la perdita di preziose informazioni circa il contesto in cui quell’oggetto è stato creato. Bisogna quindi documentare ogni strato di terreno che viene rimosso e osservare se al suo interno possano esserci altri manufatti da mettere in relazione tra loro. Questo studio scientifico prende il nome di stratigrafia. I procedimenti di ripresa fotogrammetrica che documentano tali osservazioni si prestano bene alla fruizione virtuale, così da rendere accessibile non solo agli studiosi i dati ricavati dallo scavo. Le analisi diagnostiche. Dopo avere ritrovato un oggetto in uno scavo ed aver fatto una prima analisi visiva, entrano in gioco tutte quelle indagini scientifiche che negli ultimi anni, con il progresso tecnologico, hanno visto un’evoluzione molto importante. Servendosi delle tecniche di indagine archeometriche (analisi chimiche, analisi fisiche, radiografie) si riesce a conoscere, per ogni oggetto, ciò che si cela dietro l’apparenza. Conservazione e restauro. Le analisi diagnostiche forniscono anche tutta una serie di dati scientifici utili per capire, in base allo stato di conservazione del reperto, se poterlo esporre in pubblico e seguendo quali accorgimenti. In definitiva, si tratta di una mostra che ha scommesso molto sull’utilizzo della tecnologia come strumento di conoscenza e comunicazione storica, artistica e culturale. Tutto questo è stato possibile anche grazie agli studenti del corso di laurea in Ingegneria del cinema e con la collaborazione del Politecnico di Torino, nonché di Robin Studio. Utilizzando una semplice fotocamera a 360° sono state riprese le sale espositive, le teche ed i pannelli didattici. Sono stati inseriti degli hotspot in corrispondenza delle sale, in prossimità dei reperti esposti. Attraverso di essi si può accedere alle informazioni sull’oggetto, tramite l’apertura di menu a tendina che conducono a video esterni (archiviati su youtube) che descrivono e mostrano le indagini diagnostiche. Particolarmente notevole, la possibilità di osservare un gioiello rivenuto tra i corredi di una sepoltura, riprodotto in 3D. Insieme, si può esplorare l’interno di una mummia e assistere alle operazioni di restauro di un papiro. Disponibile su youtube anche un “dietro le quinte” dell’allestimento della mostra: https://www.youtube.com/watch?v=VChiu00pv8U#action=share Sitografia:
https://museoegizio.it/esplora/mostre/archeologia-invisibile/ https://www.archeostorie.it/archeologia-invisibile-le-mummie-ai-raggi-x/ https://djedmedu.wordpress.com/2019/03/13/archeologia-invisibile-la-nuova-mostra-del-museo-egizio-di-torino-racconta-la-biografia-degli-oggetti-grazie-alla-scienza/ https://www.lastampa.it/rubriche/la-marziana/2019/05/26/news/archeologia-invisibile-1.33704669 https://www.artribune.com/mostre-evento-arte/archeologia-invisibile/ https://www.mentelocale.it/torino/articoli/78565-archeologia-invisibile-museo-egizio-torino-umanesimo-scienza-insieme-ricerca.htm http://www.torinoggi.it/2019/11/25/leggi-notizia/argomenti/eventi-11/articolo/archeologia-invisibile-prorogata-fino-al-giugno-2020-la-mostra-al-museo-egizio.html https://www.guidatorino.com/eventi-torino/archeologia-invisibile-mostra-museo-egizio-torino-2019-2020/ https://www.torinofan.it/eventi/larcheologia-invisibile-al-museo-egizio-di-torino/ di Manuel Mohaddere Nel 2016 la Biennale di Venezia, in un progetto realizzato in collaborazione con il Victoria & Albert Museum, intitolato ‘A World of Fragile Parts’ curato da Brendan Cormier, ha affrontato il tema della riproduzione digitale delle opere d’arte e di tutte le questioni che la tecnologia apre rispetto alle nuove modalità di fruizione, di osservazione, di interpretazione. D’altronde la produzione di copie si sta rivelando in molti casi come un mezzo per ridurre i rischi che l’esposizione pubblica di un’opera comporta. I musei in tal senso hanno una lunga tradizione nella produzione di copie, proprio a partire dal Victoria & Albert Museum di Londra che nel 1867 lanciò una prima campagna internazionale per promuovere la riproduzione di calchi di gesso, fotografie ed elettroformature di opere d'arte. Da allora le copie hanno acquisito una nuova funzione: quella di documentare lo stato di conservazione di un’opera d’arte oltre a quella di preservarla ai rischi dell’esposizione pubblica. Ne è un esempio il busto di Nefertiti la cui sofisticatissima riproduzione digitale ha destato molto clamore a livello internazionle. Si tratta di un capolavoro dell’arte egizia, riportato alla luce un secolo fa in Egitto, appunto, e trasferito in Germania. Le autorità egiziane ne hanno richiesto la restituzione fin dalla sua presentazione a Berlino al pubblico nel 1924. Oggi esiste una dettagliata scansione tridimensionale del busto, al Neues Museum, che però non è stata ancora resa disponibile al pubblico. In risposta a ciò gli artisti Nora Al Badri e Nikolai Nelles hanno inscenato un furto d'arte ‘etico’, che hanno chiamato #NefertitiHack, che è consistito nello scansionare segretamente il busto usando un controller Kinect per Xbox. Il file digitale del busto è stato caricato in rete e reso di dominio pubblico sotto forma di file torrent. Gli artisti hanno esposto così l'esatta copia 3d del busto in Egitto per la prima volta. Dal febbraio 2010 è proibito scattare foto, una misura cautelativa per proteggere i pigmenti colorati, rovinati dai troppi flash. La scultura è comunque da tempo una delle opere dell'Antico Egitto più imitate, non di rado per scopi commerciali illeciti. Grazie ai dati diffusi online dai due artisti è ora possibile realizzare una riproduzione della testa regale precisa al centesimo di millimetro. Nel giro di 24 ore dalla pubblicazione ci sarebbero stati più di 1000 downoload del torrent originale e una copia sarebbe stata realizzata anche dall'Università Americana del Cairo. Secondo Al-Badri e Nelles le nuove frontiere tecnologiche offrono ai musei l'opportunità di restituire ai legittimi proprietari e alla loro identità storica milioni di reperti archeologici, che possono essere sostituiti da rappresentazioni digitali (sfruttando ad esempio le potenzialità della realtà virtuale) o duplicati con la stampa 3D. Partendo dalla mappatura, la paleo-artista Elisabeth Daynes ha ricostruito poi il volto in 3D della regina: un processo meticoloso che ha richiesto circa 500 ore di lavoro. Infine, i designer dell'atelier Dior hanno completato il lavoro progettando per Nefertiti gioielli fatti a mano, partendo delle illustrazioni geroglifiche che la ritraggono. Il risultato è stupefacente, ma non sono mancate le polemiche: l'imaging 3D infatti ha riprodotto perfettamente la struttura facciale della mummia, ma non l'incarnato e il colore degli occhi, affidati all'interpretazione dell'artista. Alcuni hanno così criticato la scelta di riprodurre Nefertiti con la pelle così chiara. Nonostante le critiche, la straordinaria scultura fornisce una rappresentazione accurata del suo aspetto andando ad aggiungere un altro tassello nella storia delle dinastie egiziane. Nefertiti è ricordata come una delle donne più belle della storia, ha governato durante uno dei periodi più prosperi del mondo antico. Ma come molte delle figure femminili più importanti della storia, la sua eredità è stata oscurata. La regina egizia ha governato a fianco del marito Akhenaton dal 1351 a.C al 1334 a.C. Il suo nome significa “la bella è arrivata” ed esso si riferisce alla funzione divina della regina, che è vista come l’incarnazione di una dea lontana, ritornata per poter donare il suo amore al Faraone. Durante il loro regno, i due coniugi cercarono di imporre una religione di stampo enoteistico, la quale prevedeva la superiorità del dio Aton nei confronti di tutti gli altri dei. Il busto originale di pietra calcarea non riporta alcuna iscrizione in geroglifici. Ha potuto tuttavia essere identificato come il ritratto di Nefertiti sulla base della caratteristica corona, che Ludwig Borchardt definiva "parrucca", in analogia con altre raffigurazioni. La scultura appartiene al periodo del re Akhenaton, perciò alla diciottesima dinastia (Nuovo Regno). Nell'ambito del periodo di Amarna, la creazione dell'opera, sulla base delle sue caratteristiche formali, è attribuita alla cosiddetta "tarda fase di Amarna", che coincide con gli ultimi anni del regno di Akhenaton. |
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