di Mariateresa Palazzo L’immatériel est l'idée grande L’introduzione della categoria dell’immateriale nella critica artistica contemporanea è sintomo di un cambiamento profondo che sta interessando la percezione dell’arte. È un concetto che porta a ridefinire i criteri di approccio all’arte contemporanea segnando il superamento delle proprietà fisiche tradizionalmente ritenute caratterizzanti di un’opera: un’operazione ossimorica, apparentemente contraddittoria e per questo affascinante. La parola ‘immateriale’, nella sua più ampia accezione, deriva dal latino ‘immaterialis, -e’ e indica qualcosa che manca di materia. Nel passaggio dal latino classico al volgare italiano la radice viene mantenuta, segnando una continuità provata dalla presenza sia di ‘materia’ che del corrispondente aggettivo ‘materiale’ nel primo dizionario della lingua italiana, il Vocabolario della Crusca del 1612(1). Materiale/Immateriale nella critica artistica. Alcuni esempi Tra il Cinquecento e il Seicento l’arte è profondamente ancorata al concetto di materialità. Il termine materia ricorre – ad esempio – ne Le vite(2) di Giorgio Vasari, nelle Rime di Michelangelo, nella corrispondenza tra pittori, scultori e intellettuali, anche in relazione al famoso ‘paragone’ tra le arti, oppure nel frontespizio del Vocabolario toscano dell'arte del disegno di Filippo Baldinucci [fig. 1]. L’aggettivo ‘immateriale’ compare nel 1691 all’interno del Vocabolario degli accademici della Crusca, con l’accezione di non materiale(5); nel 1923, sempre nello stesso vocabolario, esso viene citato nella sua accezione di sostantivo(6). Per lo più legato agli aspetti religiosi e spirituali, il termine viene affiancato a concetti estetici in uno scritto del filosofo Gioberti sul Bello(7), riportato nella citata edizione del 1923 del Vocabolario tra gli esempi relativi alla voce ‘immateriale’. È nell’Ottocento che si può registrare un considerevole aumento di attestazioni del termine ‘immateriale’ in relazione all’arte, anche se l’assenza di questo termine nei maggiori dizionari di arte del Novecento comprova una certa fatica della sua affermazione a livello di critica artistica(8). A metà dello stesso secolo si afferma quella che viene definita come arte immateriale. L’artista francese Yves Klein è il primo a sviluppare una vera e propria filosofia artistica dell’immateriale che mostra nell’esposizione parigina del 1958, soprannominata Il Vuoto, e la formalizza nella Conferenza alla Sorbona del 1959, intitolata L’evoluzione dell’arte verso l’immateriale(9). L’artista è il primo a considerare l’immateriale un oggetto d’arte, realizzabile, descrivibile, esponibile, vendibile. Klein vende delle Zone di sensibilità pittorica immateriale, in cambio della più alta quantità del compenso materiale: un lingotto d'oro puro. La compravendita con Dino Buzzati e le contaminazioni con artisti italiani come Piero Manzoni e Lucio Fontana, testimoniano la comprensione e la ricezione pressoché immediata della rivoluzione immateriale. Fontana, suo lungimirante estimatore, aveva compreso che «L'arte diventerà infinito, immensità, immateriale, filosofia»(10). Molti artisti hanno continuato le proprie sperimentazioni sul percorso inaugurato da Yves Klein. Tra i tanti esempi possibili Salvatore Garau è arrivato ad esporre, come nel caso di Afrodite piange, e a vendere, come nel caso di Io sono [fig. 2], il nulla più totale delle sue sculture immateriali. Sul significato di patrimonio culturale immateriale Nel 2007, l’Italia adotta la Convenzione Unesco del 2003 per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale(11): si tratta di patrimonio che comprende tutte le tradizioni trasmesse dai nostri antenati, espressioni orali, conoscenze, pratiche sociali, artigianato, riti e feste. A cavallo del nuovo millennio, un significativo aumento di attestazioni del termine si rivolge alle più svariate e spesso contraddittorie espressioni: dal patrimonio culturale immateriale a nuovi generi artistici che nascono grazie al digitale. Tra le prime mostre(12) [fig. 3] e le prime piattaforme dedicate all’immateriale - ne è un esempio Immaterial(13)[fig. 4] di Marina Abramovic (2014) - il vocabolo continua la sua diffusione in rete e permea tutti gli strati linguistici attraverso i nuovi mezzi d’informazione di massa. Note bibliografiche
(1) Accademia della Crusca, Vocabolario degli Accademici della Crusca, Firenze 1612, p. 514. Per una ricostruzione completa della storia del termine sono stati consultate le voci ‘materia’, ‘materiale’ e ‘immateriale’ dei seguenti dizionari italiani e latini: A. Forcellini, Lexicon Totius Latinitatis, Padova 1771; N. Tommaseo, B. Bellini, Dizionario della lingua italiana, Torino 1861; S. Battaglia, Grande dizionario della lingua italiana, Torino 1961; Oxford University Press, Oxford Latin Dictionary, Oxford 1982; A. Castiglioni, M. Mariotti, Grande Dizionario Italiano/Latino - Latino/Italiano, Torino 2005; T. De Mauro, Il nuovo De Mauro, edizione online https://dizionario.internazionale.it/. (2) G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori, e architetti, Firenze 1550 e 1568. Nell’edizione Giuntina 1568 ‘materia’ è citata 90 volte, a fronte delle 27 volte nella Torrentiniana 1550. (3) In particolare sono state prese in esame alcune le lettere che il pittore Agnolo Bronzino e lo scultore Francesco da Sangallo inviano a Benedetto Varchi: entrambi tentano di dimostrare la maggiore nobiltà della propria arte, introducendo paragoni che in larga parte dipendono dai diversi materiali di cui le due arti si servono. Le lettere sono consultabili sulla piattaforma Memofonte https://www.memofonte.it/. (4) F. Baldinucci, Vocabolario toscano dell'arte del disegno, Firenze 1681, p. i, frontespizio. (5) Accademia della Crusca, Vocabolario degli Accademici della Crusca, Firenze 1691, vol. 2, p. 833. (6) «Ciò che è immateriale, cosa immateriale; Parte, Principio, Natura o simile, immateriale, di chicchessia». Accademia della Crusca, Vocabolario degli Accademici della Crusca, Firenze 1923, vol. 8, p. 124. (7) «Resta adunque che il Bello sia un non so che d’immateriale e di obbietivo che si affaccia allo spirito dell’uomo e a sé lo rapisce». V. Gioberti, Del Bello, Capolago 1849, p. 10. (8) La categoria di ‘arte immateriale’ non compare in L. Grassi, M. Pepe, Dizionario dei termini artistici, Milano 1994; M. Corgnati, F. Poli, Dizionario d’arte contemporanea: dal 1945 a oggi, Milano 1994 e Dizionario dell'arte del Novecento, Milano 2001. (9) Y. Klein, Conférence à la Sorbonne. L’évolution de l’art vers l’immatériel 1959, traduzione di G. Prucca in Yves Klein. Verso l'immateriale dell'arte, Milano 2009, pp. 17-44. (10) L. Fontana, Intervista a Lucio Fontana, in G. Prucca, Yves Klein. Verso l'immateriale dell'arte, Milano 2009, pp. 107-109. (11) UNESCO, Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, Parigi 2003. (12) Per le prime mostre dai titoli ‘immateriali’: Franca Lanni: materialità dell’immateriale, catalogo della mostra a cura di L. T. Liveri, Napoli 2005 e Marc Didou: l’immateriale della materia, catalogo della mostra a cura di G. B. Martini, Genova 2005 (13) https://mai.art/immaterial. Bibliografia: ADC 1691 = ACCADEMIA DELLA CRUSCA, Vocabolario degli Accademici della Crusca, Firenze 1691. ADC 1923 = ACCADEMIA DELLA CRUSCA, Vocabolario degli Accademici della Crusca, Firenze 1923. CRISTALDI 2003 = M. CRISTALDI, Materia immateriale: identità, mutamenti e ibridazioni dell'arte nel nuovo millennio, Livorno 2003. ENCICLOPEDIA TRECCANI 2012, voce consultabile online https://www.treccani.it/enciclopedia/ambiente-digitale_(Lessico-del-XXI-Secolo)/ FERRARO, MONTAGANO 2000 = A. FERRARO, G. MONTAGANO, a cura di, La scena immateriale. Linguaggi elettronici e mondi virtuali, Ancona 2000. FONTANA = L. FONTANA, Intervista a Lucio Fontana, in G. Prucca, Yves Klein. Verso l'immateriale dell'arte, Milano 2009, pp. 107-109. GATTI 2022 = G. GATTI, Nft: balocchi deluxe degli Uffizi, in «Il Giornale dell’arte», 2022. GIOBERTI 1849 = V. GIOBERTI, Del Bello, Capolago 1849. KLEIN 1959 = Y. KLEIN, Conférence à la Sorbonne. L’évolution de l’art vers l’immatériel 1959, traduzione di G. Prucca in Yves Klein. Verso l'immateriale dell'arte, Milano 2009, pp. 17-44. Marc Didou: l’immateriale della materia, catalogo della mostra a cura di G. B. Martini, Genova 2005. LANNI 2005 =FRANCA LANNI: materialità dell’immateriale, catalogo della mostra a cura di L. T. Liveri, Napoli 2005. MARTANO 1970 = G. MARTANO, Yves Klein: il mistero ostentato, Torino 1970. PARETO 1861 = R. PARETO, Considerazioni generali sull’arte, in «Il Politecnico», vol. 9, 1861, pp. 302- 340. RESTANY 1961 = P. RESTANY, Il nuovo realismo del colore 1961, traduzione di G. Prucca in Yves Klein. Verso limmateriale dell'arte, Milano 2009, pp. 103-106. TOMMASEO, BELLINI 1861 = N. TOMMASEO, B. BELLINI, Dizionario della lingua italiana, Torino 1861. UNESCO 2003 = UNESCO, Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, Parigi 2003.
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Riflessioni sui neologismi nella critica artistica: il ruolo delle tecnologie e dei nuovi media.30/1/2024 a cura di Sabrina PasqualeIl 29 e 30 novembre 2023 si è svolto il Convegno “Neologismi nella critica artistica contemporanea. Nuovi media, nuove tecnologie, nuove prospettive metodologiche”, ormai giunto alla seconda edizione, curato da Federica Bertini (Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”), Emanuela Garrone (l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione) e Rosalinda Inglisa (Università Telematica San Raffaele Roma). Il Convegno fa parte del progetto “Neologismi nell’arte contemporanea” avviato nell’ambito di un accordo ufficiale stipulato tra l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD). I lavori della prima giornata sono stati presentati da Carlo Birrozzi, Direttore dell’ICCD, e da Carmelo Occhipinti, Responsabile del corso di studi magistrali in Storia dell’Arte presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e del master MANT “Nuove tecnologie per la comunicazione, il cultural management e la didattica della storia dell’arte: per una fruizione immersiva e multisensoriale dei Beni Culturali”. Durante il suo intervento introduttivo, Carlo Birrozzi ha sottolineato l’importanza di questa collaborazione per condividere i lavori di ricerca che i due enti stanno conducendo sui lessici della storia dell’arte. L’ICCD è stato infatti impegnato, negli ultimi tre anni, in alcune ricerche riguardanti le modalità descrittive del patrimonio artistico al fine di mettere in evidenza il rapporto che si crea tra le opere e il contesto in cui esse nascono e vengono fruite. Inoltre, dal 2017, è in atto una collaborazione con l’Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR per la creazione di specifiche ontologie sui beni culturali, soprattutto in riferimento al lessico dell’architettura. Il Direttore ha concluso l’intervento sottolineando l’importanza della condivisione di una metodologia sia nell’ambito della catalogazione che nella formazione di vocabolari controllati. Carmelo Occhipinti, che da anni è impegnato con il suo gruppo di lavoro nella digitalizzazione di trattati storiografici italiani, relativi agli anni compresi tra il Cinquecento e l’Ottocento, dedicando una specifica collana monografica della rivista di Storia dell’arte Horti Hesperidum, chiamata “Lessico artistico”, ha incentrato la sua analisi sull’elaborazione di un lessico storico della critica d’arte italiana, dall’età rinascimentale ai nostri giorni. Lo studioso ha citato il significativo lavoro del linguista Gianfranco Folena che, già nel 1976 ne La scrittura di Tiziano e la terminologia pittorica Rinascimentale aveva sottolineato la necessità di un lavoro sulla terminologia delle arti figurative e dell’architettura. Questo argomento è stato anche affrontato dalla storica dell’arte e docente presso la Scuola Normale Superiore di Pisa Paola Barocchi, che nel 1983 con l’intervento “La Crusca, nella tradizione letteraria linguistica italiana” pronunciato durante il Convegno dell’Accademia “Commercio internazionale” organizzato per il quarto centenario di questa Istituzione, ha sottolineato l’importanza del confronto tra le fonti letterarie e il linguaggio tecnico degli artisti e delle botteghe. Occhipinti ha concluso invitando a riflettere sull’etimologia ed evoluzione delle parole come una storia della disciplina, una storia dei modi di vedere che cambiano senza ridurre questo lavoro alla creazione di un compendio, un prontuario di termini, come si fa per i linguaggi tecnici, della medicina o dell’ingegneria. Nel Convegno, prima degli interventi dei relatori, le curatrici, Federica Bertini, Emanuela Garrone e Rosalinda Inglisa, hanno illustrato le tappe che hanno permesso la realizzazione del progetto. Federica Bertini, nel 2019, ha avviato un lavoro di ricerca sui neologismi relativi all’arte contemporanea, con particolare attenzione ai nuovi media e alle nuove tecnologie, questi ultimi impiegati nella creazione e nello sviluppo di nuovi modelli espositivi, di fruizione e di comunicazione. Parte di questo lavoro è stato approfondito nel volume “Heritage 5.0. Tramandare l’eredità culturale, una sfida per il XXI secolo”, pubblicato nel 2023 e curato da Federica Bertini e Valentino Catricalà, studioso dei rapporti fra arte, cinema e media, curatore e critico d’arte contemporanea. In questo volume è stato pubblicato un primo glossario, nel quale i vocaboli sono stati analizzati partendo dal significato che essi assumono relativamente agli ambiti della fruizione e a quelli della produzione artistica, citando anche casi studio esemplari. Significativo impulso per questa ricerca è stato dato nel novembre 2022, quando è stata organizzata la prima edizione del Convegno internazionale dal titolo “Neologismi nella critica artistica contemporanea Nuovi media, nuove tecnologie, nuove prospettive metodologiche”. Inoltre, è rilevante considerare che lo studio sul lessico è strettamente collegato al lavoro di elaborazione di una scheda sperimentale di catalogazione dei linguaggi artistici legati alla Street art e all’Arte urbana, ideata da Simonetta Baroni, testata per la prima volta nel 2019 nell’ambito del progetto universitario “Street Art in provincia”, ideato da Federica Bertini con la collaborazione di Francesca Colonnelli.
Lo studio dei neologismi e la schedatura di opere d’arte contemporanea sono diventati i temi di un più ampio progetto condiviso con l’ICCD, in cui grazie al lavoro svolto da Maria Letizia Mancinelli, i diversi modelli di catalogazione utilizzati nella prima scheda sperimentale (OAC, BDM e la schedatura Critic Art Data, ideata da Eugenio Battisti nel 1989) sono stati rivisti in base alle nuove norme e modelli di schedatura, a cui si aggiungono anche gli importanti contributi di Federica Bertini e Emanuela Garrone in relazione all’aggiornamento e all’ampliamento del lemmario dei linguaggi artistici contemporanei con una particolare attenzione ai termini legati agli aspetti digitali e tecnologici dell’arte. Nel corso di queste due giornate di studio si sono alternati studiosi ed esperti provenienti da diversi atenei italiani ed enti di ricerca che hanno analizzato una serie di termini: Metamuseo del costume cinematografico (Elisabetta Bruscolini), Itinerario digitale (Olga Concetta Patroni), Pittura provvisoria ( Alessandro Ferraro), Op Art ( Marta Previti), Data sculpture/Data painting (Claudia Bottini), Tecnosocialità ( Chiara Canali), Aptico (Valentina Bartalesi), Phygital ( Davide Silvioli), Storage (Williams Troiano), Storytelling (Barbara D’Ambrosio), Comunicatore museale (Lidia Abenavoli) , Site- specific /time- specific ( Costanza Meli). L’ultima sessione del Convegno è stata dedicata alla presentazione di alcuni studi condotti dagli studenti del corso di “Nuove tecnologie per la fruizione delle opere d’arte e per l’accessibilità del Patrimonio Culturale” (tenuto da Federica Bertini e Simonetta Baroni) del Master MANT del Dipartimento di Studi letterari, filosofici e di storia dell’arte dell’Università degli studi di Roma “Tor Vergata”, coordinato da Carmelo Occhipinti. Conclusioni È importante sottolineare che durante il Convegno è emersa un’interessante riflessione sull’esigenza di conoscere il lessico dell’arte creando occasioni di confronto diretto con gli artisti. Si tratta di un contatto necessario per rispondere alla complessità dei linguaggi artistici contemporanei strettamente legata al rapido sviluppo e utilizzo delle nuove tecnologie e delle innovazioni digitali. Per completare questa operazione Simonetta Baroni e Federica Bertini hanno proposto una serie di incontri che precederanno la prossima edizione del Convegno “Neologismi nella critica artistica contemporanea. Nuovi media, nuove tecnologie, nuove prospettive metodologiche”, previsto per il mese di novembre 2024, e che coinvolgeranno artisti, curatori e storici dell’arte. Gli incontri saranno divisi in quattro aree tematiche: 1- Arte, media e tecnologia; 2- Arte, territorio e ambiente; 3- Arte e sensorialità; 4- Arte e socialità. Si tratta di una prima classificazione utile al momento per iniziare un’indagine su specifici settori in relazione ai temi dell’arte contemporanea, della musealizzazione, della curatela, dell’allestimento, dell’illuminazione, della fruizione e della comunicazione. Questa operazione diventa pertanto centrale nella conoscenza e uso di nuovi termini che andranno ad arricchire e ampliare il lemmario. di Davide Silvioli Avvalorando la tesi secondo cui «la pratica curatoriale contemporanea, soprattutto quando opere provviste di una radice tecnologica significativa sono il suo epicentro, sembra essere in bilico fra il tentativo di inserire tali lavori nella fenomenologia della storia dell’arte e quello di trovare per gli stessi, vie d’espressione efficaci che possono però finire per escluderli ancora di più dalle modalità canoniche di esposizione e di documentazione»[1], questo studio mira a registrare le ragioni a fondamento del verificarsi crescente di un’attitudine distintiva dell’attualità, nel merito del campo disciplinare della curatela d’arte contemporanea. Si fa riferimento al dato che vede la pratica curatoriale odierna chiamata a interfacciarsi, con una ricorrenza sempre maggiore, con ricerche artistiche che qualificano la rete internet quale elemento costitutivo; sia che si tratti di opere totalmente informatizzate, dunque concepite e realizzate per essere fruite – a prescindere dagli strumenti utilizzati per farlo – esclusivamente nel web, che di lavori dalla formazione ibrida, perciò in grado di riunire nella propria articolazione tanto la dimensione fisica quanto quella online. In questo confronto, si assiste, non affatto di rado, all’avvalersi da parte dell’attività curatoriale di espedienti tecnologici, impugnati poiché ritenuti indispensabili per restituire nel modo più attinente possibile la natura estetica delle opere incluse in un progetto espositivo della fattispecie. A partire da tale constatazione, suffragando la convinzione secondo cui «la curatela non può essere dissociata dai cambiamenti sociali e tecnologici della civiltà del network»[2] e del proprio presente storico, la prosa ragiona su questa specifica flessione dell’andamento coevo della curatela d’arte contemporanea, al fine di rilevare l’entità della sua relazione con la categoria artistica identificata dalla nozione di “Internet-based”, dalla prospettiva dell’uso della tecnologia. Così strutturata nell’impianto concettuale, la trattazione si sofferma sull’osservazione delle motivazioni e delle modalità tramite cui la curatela d’arte contemporanea stia ricorrendo alla tecnologia, nella configurazione di progetti di mostre fisiche con opere internet-based. A tale proposito, poggiando sulla convinzione che «non intercorra incompatibilità fra la curatela e le tecnologie informatiche»(3), si argomenta che l’intenzione di impostare il focus dello scritto su una fra le nuove frontiere della curatela, la problematica “Internet-based”, è protesa a scrutare alcune soluzioni che l’esercizio curatoriale ha elaborato rispetto a come trattare realizzazioni di tale tipologia, fra le più avanguardistiche della contemporaneità, nonché già peculiare del presente storico-artistico. Un’accentuazione speculativa del genere, secondo un modello solitamente molto meno percorso, trasferisce il punto di vista dell’analisi dell’uso della tecnologia dalla sfera della ricerca artistica a quella della curatela, sulla base di come la stessa stia attraversando e risolvendo la questione “Internet-based”. Questo schema coincide, collateralmente, pure con il proponimento di monitorare l’aumento delle soluzioni che la professione del curatore, in sincronia con l’evoluzione di altri settori scientifici, è in potere di conseguire. Ciò termina nell’attribuire al testo un margine di novità, quindi anche d’incertezza o d’incompletezza, da dover soppesare. Quest’ultimo aspetto, sebbene possa sembrare conflittuale, rispecchia la difficoltà, endemica della critica d’arte contemporanea, implicita nel tentativo di mettere a fuoco i fenomeni culturali in assenza della dovuta distanza cronologica per farlo in maniera completamente nitida. Sul significato di Internet-based Difatti, l’espressione “Internet-based” si ritrova spesso associata indiscriminatamente e in modo indebito alle definizioni di “Net Art”, “Digital Art”, “Browser-based Art”, “Software Art”, “Internet Art”. Nei casi più generici, essa è utilizzata in sostituzione di queste denominazioni, come se fra tali accezioni non sussistessero livelli di differenza decisivi oppure come se le stesse fossero deliberatamente intercambiabili. Se, da un lato, il riscontro della vaghezza di tale condizione critica decreta la disomogeneità con cui la teoria dell’arte si è occupata del termine in esame, ciò, dall’altro, è dimostrazione della proprietà più evidente di questa nozione; ovvero la trasversalità. Nondimeno, persiste il problema che l’appellativo “internet-based” viene simultaneamente adoperato per una pluralità di ambiti e di esiti rispettivi della ricerca artistica, talvolta anche molto eterogenei, al punto di causare un disorientamento interno alla disciplina stessa. Allora, per circoscrivere il raggio di pertinenza del suo significato, risulta proficuo far appello alla natura del suo etimo, che va a indicare solamente la qualità costitutiva rivestita dalla rete internet nella fisica, quindi nell’estetica, di un’opera d’arte. Quanto ora desunto descrive null’altro che il vincolo di necessità, racchiuso nell’aggettivo “based” (da interpretarsi come “fondato”), che prevede il collegamento alla rete internet tra le componenti essenziali di un dato lavoro. Pertanto, dal momento che, oltre al ruolo irrinunciabile ricoperto dalla connessione web, nel termine non vi è alcun tipo di allusione riconducibile a medium, a tecniche, a procedimenti o a finalità, ogni qualvolta esso viene assimilato a discendenze di categorie che, invece, comportano prescrizioni di tal sorta, lo stesso diviene materia di un accostamento improprio. Al fine di marcarne il margine d’autonomia da altre nomenclature, si veda come un lavoro internet-based può non coincidere necessariamente con un’opera d’arte digitale, non corrispondere sempre a un’operazione artistica svolta internamente alle funzioni di un computer o a quelle della stessa rete internet, non deve per forza essere vincolato alle prestazioni di un software, di un browser o neppure di un algoritmo. A ogni modo, si sottolinea che questa autosufficienza non ne rinnega a priori una possibile appartenenza, a ragione, alle terminologie già citate, anche a più di esse al contempo. Tale statuto polimorfo è un derivato della mutualità che contrassegna queste convenzioni critiche, che, a loro volta, riflettono la poliedricità della tecnologia che le determina. Un ordine di contenuti così prospettato, per non risultare irrelato a quanto la curatela stia effettivamente conseguendo in termini di proposte espositive, induce a conferire non meno rilievo ai precedenti offerti dalla praxis, intesa come pensiero critico tradotto in azione, registrando l’assunzione di mezzi innovativi e la messa a punto di soluzioni inedite. Con la consapevolezza che «qualsiasi spazio entro cui si compie un’operazione curatoriale diviene essenzialmente uno spazio virtuale, perché la ridefinizione di significato di un ambiente che l’attività curatoriale termina nel restituire non è già incorporata nella realtà materiale del luogo»[4], l’investigazione è andata a supporre, cercando di renderne visibili le ragioni fondanti, un insieme sintetico e volutamente eterogeneo di trascorsi recenti, costituito da operazioni curatoriali che hanno trattato interventi dal carattere ibrido, dove connessione alla rete internet e parzialità fisiche si integrano reciprocamente, tanto nell’opera d’arte quanto nell’organicità del progetto. Su questa linea, si evince che l'impiego della tecnologia, relativamente alla curatela, risulta idoneo solo se è in potere di coniugarsi, con coerenza, al pensiero critico, all’allestimento nello spazio, ai modi di fruizione delle opere, fino a suggerire una «corrispondenza fra il rapporto dell’osservatore con le interfacce web e lo spazio fisico, cercando di stabilire coesione fra modi diversi di espressione, di fruizione e di esposizione»[5]. Pertanto, è costruttivo che pratica curatoriale e tecnologia siano correlate da un principio di complementarità, di interoperabilità, tale da consentire sia di esprimere che di esperire una condizione estetica che i soli apparecchi tecnologici o la curatela più ordinaria, singolarmente, non riuscirebbero a restituire. Laddove, per converso, la tecnologia non viene risolta in tal senso appare aliena al contesto a cui essa, al contrario, dovrebbe dare voce, finendo nell’avvertirsi come sterile, superflua, fuorviante. Allo stato dei fatti, si può dare per assodato che «le tecnologie digitali e i nuovi media influenzano e continueranno a modificare radicalmente lo scenario espositivo. Questa tendenza induce la curatela a problematizzare e a sfidare tanto i concetti quanto le metodologie curatoriali convenzionali»[6]. È anche da considerare che il cambiamento ora indicato si verifica sempre in risposta al mutare degli esiti offerti dalla ricerca artistica, che solo in tempi relativamente recenti ha iniziato a metabolizzare questa inclinazione operativa. È per questa motivazione che la classe rappresentata dall’arte internet-based costituisce un contesto speculativo, nonché un territorio di confronto fra visioni differenti, dotato di indubbia profondità d’indagine e di evidente attualità. Note [1] Papadaki 2019, p. 1 [2] Kraysa 2006, p. 10 [3] Weinberg 2014, p. 230 [4] Ivi, p. 231 [5] Ghidini 2015, p. 137 [6] Pan 2021, p. 48 Bibliografia Kraysa 2006 = J. Kraysa (a cura di), Curating Immateriality: The Work of the Curator in the Age of Network Systems, Autonomedia, Brooklyn 2006. Weinberg 2014 = L. Weinberg, Curating Immateriality: in serch for spaces of the curatorial, Goldsmith University press, Londra 2014. Ghidini 2015 = M. Ghidini, Curating web-based art exhibitions: mapping their migration and integration with offline formats of production, Sunderland University press, Sunderland 2015. Papadaki 2019 = E. Papadaki, Between the Art Canon and the Margins: Historicizing Technology-Reliant Art via Curatorial Practice, Indiana University press, Bloomington 2019 Pan 2021 = P. Pan, Curating multisensory experiences: the possibilities of the immersive exhibitions, OCAD University press, Toronto 2021. Di Simonetta Baroni All’origine era il telefono analogico: un apparecchio per trasmettere a distanza voci e suoni per mezzo della trasformazione delle vibrazioni acustiche in oscillazioni di corrente elettrica, costituito da un microtelefono composto da un trasmettitore e un ricevitore e da una cassa al cui interno si trovano congegni elettromeccanici[1]. Questo rivoluzionario strumento di comunicazione, che ha radicalmente modificato le relazioni sociali, è entrato nel mondo dell’arte del Novecento, rappresentato per l’estetica della sua forma ma anche per la sua funzione. Proprio quest’ultimo aspetto ha sollecitato l’interesse di alcuni artisti che hanno voluto sfruttare la comunicazione attraverso l’ascolto della voce. Tra questi significativo è il progetto, Dial-a-poem[2], nato nel 1968 e terminato nel 1971, del poeta e performer newyorkese John Giorno (1936-2019)[3], che ideò un servizio di poesia pubblica, in cui era stata selezionata una raccolta enciclopedica di testi poetici, letti e scritti da importanti personalità del modo della cultura, che furono ascoltati, grazie all’uso del telefono analogico fisso, da oltre cinque milioni di persone. Questa innovativa operazione artistica venne presentata dal primo novembre al 14 dicembre 1969 alla rassegna Art by Telephone[4] di Chicago. Questa modalità artistica permetteva di stabilire una relazione tra mezzi di comunicazione e fruizione di massa che sembra anticipare la nostra realtà ipertecnologica. Nel 2020 questo format di J. Giorno ha trovato una nuova versione nel servizio come app mobile della Nottingham Trent University e dell'Arts and Humanities Research Council. Proprio la capacità di far dialogare la tecnologia con la cultura umanistica diventa, in questo contesto, lo spunto per recuperare e ridare valore all’ascolto, sottraendo così l’opera dalla sua mera riproduzione visiva fotografica e virtuale. Nel rapporto concettuale tra la parola e l’oggetto artistico non si può prescindere dal contatto fisico con esso da parte del fruitore, che, non dovendo più recarsi in un luogo preciso per alzare un ricevitore per ascoltare o comunicare il proprio messaggio, può porsi di fronte all’opera, sperimentato quella ritrovata empatia inscindibilmente legata al recupero dell’unità percettiva dei nostri sensi. Inoltre bisogna tener presente che la voce umana associata alle parole si trasforma in un dirompente strumento di comunicazione. In ogni smartphone e anche nei telefoni digitali è presente l’opzione “viva voce”, che consente di comunicare dall’interno di un ambiente la conversazione anche ad altre persone che si trovano nel medesimo luogo, trasformando così la personale e circoscritta condivisione in un momento collettivo e relazionale. Questi sono alcuni aspetti che sono emersi analizzando la funzione del telefono all’interno di un’indagine artistica, affrontati e sviluppati nel 2019 anche nella mostra torinese Artissima Telephone [5], in cui si sottolinea come lo smartphone sia diventato "un device di intrattenimento e auto espressione”[6], una porta di accesso e di connessione costante alla rete, e abbia perso gradatamente la sua primaria ed esclusiva funzione di comunicazione vocale. Tra gli artisti presenti alla manifestazione torinese è interessante la figura di Francesco Pedraglio[7], di cui si analizzerà l’installazione, esposto al MACRO alla sezione Retrofuturo, dal titolo Maziar Firouzi, +39 02 8295 4344, realizzato nel 2020.2022, in cui per la sua completa fruizione è necessario chiamare il numero telefonico riportato nel titolo e inciso su una degli elementi scultorei che formano la sua composizione. Digitando il numero telefonico è possibile ascoltare le storie narrate da Pedraglio partecipando al suo personale racconto suggerito dai luoghi evocati dalle sculture, piccoli frammenti architettonici chiamati palcoscenici, teatri di avventure che se condivise acquistano, come precisa l’artista, «un senso nella testa di chi ascolta o di chi guarda». Questa operazione sembra puntualmente racchiudere quegli aspetti finora analizzati sottolineando le potenzialità comunicative dell’ascolto, come pratica estetica e non solo informativa, in rapporto all’opera d’arte e all’intervento del fruitore, che ha il compito di attivare questo dispositivo. L’opera è stata scelta e inserita nel percorso tattile-sensoriale, rivolto alle persone non vedenti e ipovedenti, dal titolo Racconto sensoriale al Museo per l’Immaginazione Preventiva: un percorso inclusivo[8], che comprende altri tre lavori [9] della Collezione del MACRO, ideato e realizzato durante il corso-laboratorio, Didattica Museale Inclusiva[10], promosso dall’Università di Roma Tor Vergata, che si è svolto da ottobre-novembre del 2021 con la partecipazione di un gruppo di studentesse universitarie (Marina Baldari, Roberta Cristofari, Maria Gatti, Martina Marrocco, Benedetta Paris, Eleonora Turli, Alessandra Ulisse). Bisogna ricordare che l’ascolto è una pratica che per le persone non vedenti è stata ed è ancora uno strumento indispensabile per conoscere il mondo circostante e che nella tradizione orale era associata a «moduli mnemonici…bilanciati a grande contenuto ritmico […] per un facile apprendimento e ricordo»[11]. Non distratti da immagini è possibile apprezzare il suono delle parole e riscoprire quella lentezza e “intimità” sensoriale che sembra ripetere i tempi lunghi necessari per una corretta esplorazione tattile. Pertanto, il racconto attraverso il telefono o smartphone, affidato esclusivamente alla voce, diventa un convincente ed efficace strumento di affabulazione, come ricordato anche dal titolo del libro di Gianni Rodari, Favole al telefono, scritto nel 1962. Proprio la riconquista di questo modo di ‘toccare e sentire con le parole’ forse aiuterebbe a scongiurare il rischio dell’incomunicabilità che l’uso compulsivo e la continua connessione con una dimensione virtuale globale provocano nella persona soggetta ad un estraniante isolamento, dimensione esistenziale suggerita anche da Michelangelo Pistoletto in una serie di opere dal titolo Comunicazioni [12] in cui l’uomo e la donna colti mentre fissano lo schermo del cellulare concentrati nelle loro conversazioni ignorano le persone che attraversano il loro spazio specchiante. È proprio dall’esperienza della mostra al MACRO che nasce questa riflessione, in cui alcune esperienze artistiche sono diventate lo spunto per elaborare nuove strategie per avvicinare le diverse tipologie di pubblico all’arte. L’effettuare la chiamata e collegarla al sistema di una segreteria, permetterebbe di poter registrare diversi contenuti: dalle parole dell’artista, alle storie, ai testi descrittivi e informativi ma anche poesie, brani letterari, musicali e teatrali, pre-testi per attivare la comprensione dell’oggetto attraverso molteplici livelli di lettura e stabilendo con esso sempre un contatto fisico. Questa formula comunicativa è applicabile in contesti artisti, territoriali e naturali e può rivelarsi a volte più efficace del QR in quanto digitare un numero telefonico, stampato anche a caratteri aumentati per gli ipovedenti e in braille, permette un accesso facilitato a tutti, compresi i bambini. Pedraglio con le sue opere ha dimostrato come nei Musei questo sistema “parlante” possa rivelarsi coinvolgente e possa essere efficace anche per illustrare ai passanti le opere di Street Art raccontando le storie del territorio e dei suoi abitanti e per costruire un dialogo con gli spazi naturali. È spesso trascurato il ruolo delle sedute in spazi museali e delle panchine in luoghi pubblici, parchi e giardini, che, concepite come luogo d’incontro ma anche di soste solitarie, diventano funzionali alla fruizione delle opere artistiche e naturali. Si ricordano le panchine realizzate da street artisti[13]; l’installazione romana del 2021 di Michelangelo Pistoletto che utilizza 100 panchine per rappresentare il simbolo del Terzo Paradiso; le panchine a tema letterario, artistico e quelle trasformate in testimoni “colorati” di battaglie sociali[14]; le otto panchine, che nel 2011 il National Trust ha sparso in tutto il Regno Unito per il progetto «Bench Mate»[15] concepite per favorire un contatto con la natura, dotate di un dispositivo che permettere a chi si siede di ascoltare cinque minuti la voce di personaggi celebri. Interessante questo ultimo progetto ma troppo invasivo, se per evitare l’inconveniente di ascoltare le voci registrate si deve cambiare panchina. Rimane sicuramente più efficace l’uso del numero telefonico, che potrebbe essere riportato sulle panchine da usare esclusivamente se si vuole accedere ai contenuti registrati, affidando la scelta dell’interazione all’occupante. Nei parchi giochi inoltre si potrebbero prevedere numeri telefonici da riportare su elementi ludici per incrementare l’ascolto di filastrocche e favole. Nei vari casi citati, questo semplice espediente tecnico potrebbe produrre quella rivoluzione culturale preannunciata negli anni Sessanta proprio da J. Giorno. Note
[1] La voce “ Telefono” è tratta dal dizionario online Hoepli. [2] Alla nascita di questo progetto probabilmente contribuì anche l’incontro con uno dei maggiori scrittori statunitensi, William Seward Burroughs ( 1914-1997), vicino, come J. Giorno, al movimento della Beat Generation. Il progetto Dial-A-Poem venne installato per la prima volta nel gennaio 1969 all' Architectural League di New York; nel novembre dello stesso anno trasferito al Museum of Contemporary Art di Chicago e nel luglio del 1970 al Museum of Modern Art di New York. L’installazione era costituita da quattro telefoni, ognuno contenente registrazioni di 80 poeti che leggono 200 poesie proposte in maniera casuale all’ascoltatore. Alcuni articoli sull’argomento pubblicati nel 2019 in occasione della scomparta dell’artista:: https://www.artribune.com/dal-mondo/2019/10/e-morto-a-82-anni-john-giorno-poeta-artista-e-attivista-americano/; https://www.exibart.com/arte-contemporanea/si-e-spento-john-giorno-a-new-york-2; e nel 2020 /https://www.harpersbazaar.com/it/cultura/a32902602/john-giorno-poesia/. Per approfondire:: Di Genova, Arianna, John Giorno, l’artista che regalava poesie al telefono, in https://ilmanifesto.it/john-giorno-lartista-che-regalava-poesie-al-telefonoIn Italia questo dispositivo è stato allestito alla Galleria nazionale di arte moderna, in occasione della mostra You got to burn to shine (febbraio-aprile 2019), curata da Teresa Macrì, il cui titolo: Per risplendere devi bruciare, è ripreso dalla celebre raccolta di poesie di J. Giorno. [3] John Giorno ebbe contatti con artisti della Pop Art. Oltre a Bob Rauschenber e Jasper Johns, conobbe Andy Warhol e frequentò il mondo della Factory diventando l’attore di un suo film del 1963 dal titolo Sleep. [4] La mostra di Chicago fu una manifestazione dedicata a M. Duchamp e a G. Cage e si ispirò ai "quadri telefonici" dell’artista ungherese Laszlo Moholy-Nagy, che dettava al telefono a un fabbricante il progetto per la realizzazione delle sue opere. [5] La mostra, curata da Vittoria Martini e ideata da laria Bonacossa, si è svolta a Torino dal 31 ottobre al 3 novembre nel complesso industriale in collaborazione con le OGR – Officine Grandi Riparazioni . [6] Vedi: https://www.artissima.art/artissima-telephone/ [7] L’artista, nato a Como nel , 1981;, vive a Città del Messico. Lavora con la scrittura, la performance, il video e l’installazione. Le sue mostre personali più recenti sono state ospitate da: Norma Mangione Gallery, Torino (2019); Kettle’s Yard, Cambridge (2018); Museo Leonora Carrington, San Luis Potosí (2018). Tra le collettive si segnalano quelle ospitate da: Casa Tomada, Città del Messico (2018); Kunstverein Munich, Monaco (2017); PAKT, Amsterdam (2017). All’inizio del 2021 uscirà per Book Works (Londra) la collezione di testi performativi Battles (Vol. 1). Dal 2016 dirige il progetto editoriale Juan de la Cosa / John of the Thing insieme a Tania Pérez Córdova con cui nel 2018 ha pubblicato il libro Spoken Sculptures.Notizie tratte da: https://www.museomacro.it/it/retrofuturo/francesco-pedraglio-breve-storia-del-mostrare-e-dellessere-mostrati/ [8] Sito dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”: http://urania-artetecnologia.com/ [9] Margherita Raso, Untitled (2016), Ruth Beraha, I’ll tell you the story i know (2021, Gianluca Concialdi, Santissima pizzeria (2020). [10] IL corso -laboratorio è da me condotto e rivolto agli studenti della magistrale. [11] Walter J. Ong, Oralità e scrittura. La tecnologia della parola, Bologna, 2014 [12] Dal 22 al 24 settembre 2020 un gruppo di quadro della serie Comunicazioni,è esposta nella Galleria Giorgio Persano nel nuovo spazio all’interno del cortile di Via Stampatori 4 a Torino. [13] Vedi: La via delle panchine parlanti realizzate nel novembre del 2020 dallo street artista Massimiliano Bernardi secondo un progetto di riqualificazione del quartiere Montagnola di Roma. [14] Vedi: le panchine rosse contro la violenza sulle donne. [15] Vedi articolo: Marchetti, Simona, Le panchine che raccontano la natura. Le voci di attori e celebrità per rilassarsi all'aria aperta, 31 maggio 2011 in https://www.corriere.it/ambiente/11_maggio_31/panchine-parlanti-marchetti-regno-unito_7e505b48-8b98-11e0-93d0-5db6d859c804.shtml Il seminario “Arte e Ambiente: ArtePollino” (17 novembre 2022, ore 10,30 presso l' Edificio B, I° piano – Macroarea Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Roma “Tor Vergata") rientra tra le attività seminariali del corso in “Nuove tecnologie per la fruizione delle opere d’arte e per l’accessibilità del Patrimonio Culturale” (L-Art/04), condotto da Simonetta Baroni e Federica Bertini nell’ambito del master di II livello MANT – “Nuove tecnologie per la comunicazione, il cultural management e la didattica della storia dell’arte: per una fruizione immersiva e multisensoriale dei beni culturali”coordinato dal prof. Carmelo Occhipinti. L’incontro rientra nelle attività del progetto di catalogazione dei diversi linguaggi dell’arte urbana, promosso da Simonetta Baroni e Federica Bertini, attraverso uno specifico modello di schedatura storico-critica, elaborato da Simonetta Baroni, in cui si mettono a confronto diversi sistemi di catalogazione ripresi dall’Istituto centrale per il catalogo e la documentazione (ICCD). Oltre alla scheda OAC è utilizzata anche quella dei Beni demoetnoantropologici che permette di documentare e registrare informazioni sul territorio e sugli abitanti, testimoni dell’identità storica dei luoghi, secondo una visione socio-antropologica indispensabile per una corretta comprensione del progetto culturale dell’Associazione ArtePollino, che da anni promuove operazioni artistiche in forte relazione con gli spazi naturali creando uno stretto legame con la popolazione locali. Parteciperanno al seminario il presidente Gaetano Lofrano e Rosita Forastiere dell’Associazione ArtePollino L’incontro, moderato da Federica Bertini, si terrà presso l’aula del Dipartimento di Studi letterari, filosofici e di storia dell’arte, Ed. B, piano I, dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Sarà possibile seguire l’evento anche su piattaforma TEAMS Uniroma2 scrivendo a [email protected] L’associazione ArtePollino è stata costituita nel febbraio del 2008 allo scopo di favorire la crescita culturale del territorio del Parco Nazionale del Pollino, che con i suoi 180.000 ettari rappresenta l’area protetta più grande d’Italia. ArtePollino ha promosso negli anni numerose operazioni di arte contemporanea coinvolgendo artisti di primissimo piano nel panorama internazionale, organizzando tavoli di lavoro, workshop, eventi e festival. Alla base delle operazioni promosse da ArtePollino c’è la volontà di rileggere il territorio attraverso il linguaggio dell’arte a partire dal confronto diretto tra le opere, gli artisti e l’ambiente. ArtePollino è rientrata tra i 29 Project Leader selezionati dalla Fondazione Matera Basilicata 2019 per realizzare il progetto denominato “KaArt. Per una cartografia corale della Basilicata”. Di Federica Bertini di Rossana Buono I capolavori della Storia dell'Arte vivono in eterno non solo nella ammirazione dei fruitori delle diverse generazioni, ma anche nella reinvenzione degli artisti di epoche successive che ne traspongono su altri piani l’idea generatrice dell’opera. È il caso della Ultima Cena di Leonardo da Vinci la cui immagine è recentemente uscita dalla parete del Refettorio del Convento di S. Maria delle Grazie a Milano per riapparire nell’invaso della cupola della Basilica di S.Maria di Montesanto, detta la Chiesa degli Artisti, in piazza del Popolo a Roma, in occasione della festa del Corpus Domini il 6 giugno 2021. Miracolo della tecnica... e non solo! La visione estatica che rapisce chi è entrato nella chiesa dal 4 al 11 giugno si deve alla geniale invenzione di Armondo Linus Acosta (regista e autore) che ha creato un cortometraggio della durata di nove minuti: già presentato a Milano, nel Palazzo Reale, in concomitanza con l'esposizione dell'arazzo vaticano riproducente il Cenacolo leonardiano (8 ottobre - 17 novembre 2019), The Last Supper: the Living Tableau si rivela di una potenza ipnotica incredibile, per via dei lenti e solenni gesti dei personaggi e della drammaticità della colonna sonora dello Stabat Mater di Rossini. Nella penombra della chiesa la testa va in su per guardare la scena della Sacra Cena sullo sfondo architettonico delle tre finestre che inquadrano il paesaggio esterno, così come Leonardo lo dipinse. Gli apostoli, ripresi in controluce, sono già seduti in gruppi di tre per volta, come nel dipinto leonardesco che viene riproposto nella fedeltà di ogni dettaglio. Lentamente appare la figura di Gesù Cristo che prende posto al centro della tavola imbandita e inizia con lenta e ieratica gestualità a protendersi verso gli apostoli. Tutti i personaggi sono somiglianti, nella fisionomia e nei costumi, in maniera impressionante a quelli dipinti da Leonardo. Non sono attori professionisti ma addetti ai lavori su set cinematografici, notati dal regista per via della loro somiglianza con gli apostoli leonardiani, quindi scelti successivamente per il ruolo. Lo stesso Armondo Linus Acosta si è prestato ad impersonare l'apostolo Taddeo. Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo hanno provveduto ad animare la scena in modo originale, mettendo in opera uno stratagemma che desse una particolare postura e una resa eccezionale dei costumi ai personaggi. Si sono serviti di calchi di gesso in cui calare i corpi degli attori affinché potessero con più facilità mantenere la posizione data e annullare la percezione plastica e naturale dei corpi attoriali. Inoltre Vittorio Storaro ha dato al cortometraggio una impronta di perfezione stilistica che contraddistingue la sua maestria, tra l’altro affermando che la sua intenzione era quella di rendere la pittura viva. La proiezione vive di due momenti distinti: con i fotogrammi in “bianco-nero” durante la reale celebrazione della messa dell’officiante di turno nella sottostante zona absidale della chiesa e poi successivamente col passaggio “a colori” quando, finita la celebrazione, si raggiunge la piena oscurità in tutta la chiesa, a porte chiuse. Con lo sguardo all'insù si viene estaticamente rapiti in un mondo irreale che è alle radici della storia umana e religiosa. Non prevale esclusivamente il sentimento religioso, ma si insinua una serena e suggestiva meditazione sulla condizione umana e sui suoi valori. Parla direttamente al cuore questo living tableau, senza scadere in banali sentimentalismi. Questa opera di Acosta si differenzia nella tipologia e nella finalità dalla Ultima Cena di Peter Greeneway (2008 Milano) che con esperimenti digitali mostra sulla immagine dell’opera leonardesca una sovrapposizione di schemi grafici, giochi di luce e isolamento di particolari come le mani per una lettura critica e scientifica del dipinto. Del tutto differente dall’afflato poetico e magico del Last Supper di Acosta, che è stato proiettato già a Gerusalemme nella Basilica del Santo Sepolcro durante la scorsa Settimana Santa e poi per papa Francesco al Vaticano. In un prossimo tour mondiale l’opera di Acosta riapparirà, di volta in volta in altre sedi, in contesti ambientali imprevedibili. Patrocinio del Dicastero per la Cominicazione della Santa Sede,
Ufficio Comunicazioni Socilai del Vicariato di Roma, Ministero Beni e Attività Culturali del Comune di Roma, Fondazione Film Commission di Roma e del Lazio di Eliana Monaca Principality of Monaco is not just luxury and glamour, but it’s also «a tourist destination with a remarkable heritage»[1]. On the Rocher, (Monaco Town, The Rock) the highest point of view in the Principality of Monaco, there are some of the most attractive places, like the nineteenth-century Cathedral built on the foundations of the thirteenth-century church dedicated to Saint Nicolas; the Palais Princier, the Prince’s Palace a residence since the thirteenth century of the reigning family Grimaldi and the Musée Océanographique (the Oceanographic Museum). In the Monte-Carlo district, between the Larvotto beach and the famous Tunnel of the Formula 1 Grand Prix circuit, there is the Grimaldi Forum built-in 2000. Caravage and the Seventeenth century at Grimaldi Forum The Grimaldi Forum is a congress center, where, thanks to its large spaces, is possible to program exhibitions and events also simultaneously, as in the case of the summer temporary exhibitions, when the Principality welcomes all its visitors (not Monegasque) for the summer holidays[2]. Last year, for example, was held the beautiful exhibition on Salvador Dalì, Dalì, A History of Painting (06th July – 08th September 2019), curated by the director of the Dalì Museums, Montse Aguer, and supported by the Fundacion Gala-Salvador Dalì, to celebrate the thirtieth anniversary of the artist's death, which has garnered widespread acclaim[3]. Two exhibitions were scheduled this year: the first one to celebrate the twenty years of the Grimaldi Forum, Monaco and the Automobile, from 1893 to the present day (11th July – 06th September 2020), now canceled[4], the second one Caravaggio – the power of the light in the Diaghilev Space (17th July – 06th September 2020) postponed[5]. The exhibition Caravaggio – the power of the light was organized by the Monegasque company Gaudio Group, with a highly respected scientific committee chaired by Professor Mina Gregori (student of Roberto Longhi, President of the Foundazione Roberto Longhi, Director of Paragone magazine, member of the Lincei Accademy and the Lègion d’honeur, emeritus professor of History of Modern Art at the University of Florence). Roberta Lapucci (art historian and Chief of Restoration Department of Studio Arts College International School of Florence); Susan Grundy (art consultant); Ubaldo Sedano (Director of Restoration Department of Thyssen-Bornemisza Museum in Madrid); Keith Sciberras (Professor of Art History at the University of Malta). An Honor Committee with Alessandro Cecchi (Director of Museo di Casa Buonarroti); Cristina Acidini Luchinat (former Superintendent of the city of Florence, Director of the Opificio delle Pietre Dure and now President of the Academia delle Arti del Disegno); Antonio Paolucci (Art historian and curator, former Superintendent of the Polo Museale Fiorentino, Director of the Vatican Museums and Minister of Cultural Heritage of Italy); Zerafa Fr Marius (Dominican father art historian, former Director of the Malta Museums) and Vittorio Sgarbi (politician and Art historian)[6]. The focus of the exhibition is the light, extremely important in Caravaggio’s compositions[7]. The Light in the Seventeenth century We know from Caravaggio’s contemporary sources how painters and art writers did not appreciate this absence of "light". Giulio Mancini (1559-1630), the first one who wrote about Caravaggio and his coloring «assai di negro»[8], in his book Considerazioni - composed between 1617 and 1628, but published only between 1956 and 1957 by Adriana Marucchi - remembered how the setting of Caravaggio’s works seemed to be in a room with a single «fenestra con le pariete colorite di negro, che così, havendo i chiari e l’ombre molto chiare e molto oscure, vengono a dar rilievo alla pittura», although the figures were still lacking «di moto e d’affetti, di gratia»[9]. Then there was the memory of the rival Giovanni Baglione (1573-1643) who in his book, Vite of 1642, he wrote that Merisi «con la sua virtù si aveva presso i professori qualche invidia acquistata», and then Federico Zuccari, seeing the Contarelli chapel «mentre io [scil. Baglione itself] era presente, disse: “Che rumore è questo?” E guardando il tutto diligentemente, soggiunse: “Io non ci vedo altro, che il pensiero di Giorgione nella tavola del Santo, quando Cristo il chiamò all’apostolato”; e sogghignando, e maravigliandosi di tanto rumore, voltò le spalle, e andossene con Dio»[10]. The doctor and art expert Francesco Scannelli (1616-1663) in his Microcosmo della pittura of 1657 criticized the darkness in the Contarelli chapel because it didn’t let to well see the paintings: the Calling of Saint Matthew and Saint Matthew and the Angelof 1602[11]. He thought that the Calling of Saint Matthew was «una delle più pastose, rilevate e naturali operazioni, che venga a dimostrare l’artificio della pittura per immitazione di mera verità»[12]. Another important information that Scannelli leaved in his book was about a paint in the collection of the Grand Duke of Tuscany «che fa vedere quando un ceretano cava ad un contadino un dente, e se questo quadro fosse di buona conservazione, come si ritrova in buona parte oscuro e rovinato, saria una delle più degne operazioni che avesse dipinto», the Tooth Puller of 1608 at the Pitti Palace in Florence[13]. Guercino, another painter friend of Scannelli since 1640 when they met in Bologna, explained the reason why «sufficienti e famosi maestri» like Guercino himself, Guido Reni, Rubens, Albani and Pietro da Cortona, changed their style and «poscia nel tempo del maggior grido inclinato il proprio modo di operare alla maggior chiarezza»[14]. Guercino in fact used to study and imitate the Annibale Carracci’s style and then he started to imitate and study the dark manner of Caravaggio. He saw in fact common affinities between the naturalism of Carracci and Caravaggio[15], and he told to his friend Scannelli that «aveva sentito più volte dolersi coloro che possedevano i dipinti della propria sua prima maniera, per ascondere (come essi dicono) gli occhi, bocca ed altre membra nella soverchia oscurità, e per ciò non avere stimato compite alcune parti», so «per sodisfare a tutto potere alla maggior parte, massime quelli che col danaro richiedevano l’opera, aveva [scil.Guercino] con modo più chiaro manifestato il dipinto»[16]. Last but not least it’s important for us to remind what Giovan Pietro Bellori (1613-1696) wrote in his book Vite of 1672. In fact «vecchi pittori assuefatti alla pratica», they had noticed that young painters, «presi dalla novità», celebrated Caravaggio «come unico imitatore della Natura, e come miracoli mirando l’opere sue lo seguivano a gara, spogliando modelli, ed alzando lumi; e senza più attendere studio, e ad insegnamenti, ciascuno trovava facilmente in piazza, e per via il maestro, o gli esempi nel copiare il naturale»[17]. And even if «vecchi pittori» continued to «sgridare il Caravaggio, e la sua maniera, divulgando ch’egli non sapeva uscir fuori dalle cantine, e che povero d’invenzione, e di disegno, senza decoro e senz’arte, coloriva tutte le figure ad un lume, e sopra un piano senza degradarle», they had not been able to slow down «il volo alla sua fama»[18]. Bellori appreciated the influence of Giorgione (saw at Venice) on the young Caravaggio, and he created his first paints «dolci, schiette, e senza quelle ombre, ch’egli usò poi»[19]. Bellori in fact thought that the darkness in Caravaggio’s paints erased the «storia», and every possible reference to the action[20]. However Caravaggio «facevasi ogni giorno più noto per lo colorito, ch’egli andava introducendo, non come prima dolce, e con poche tine, ma tutto risentito di oscuri gagliardi, servendosi assai del nero per dar rilievo alli corpi». In this way, he moved away from the pleasantness of Giorgione[21]. The Principality shelters from Covid-19 Covid-19 has obviously shocked Monaco: on March 19th, the main news agencies in fact beat the news of the positivity of Prince Albert II of Monaco to the Coronavirus[22]. Because of the lockdown imposed however a few day before the news[23], the Grimaldi Forum had to close to visitors and postpone the exhibition Caravaggio – the power of the light (probably on summer 2021). The reason why the Grimaldi Forum decided to close - even virtually - is that the Principality's tourism focus itself between May and September with a lot of Italian (from Lombardy and Piedmont), Arabs and sometimes Russians, who usually spent their vacation in Monaco. During the summer a lot of cruise ships with a huge number of visitors use to arrive at Port Hercule. Usually private buses drive them to the Rocher, where they can visit the Cathedral, the Prince's Palace and the Oceanographic Museum. Probably because of this difference in audience, the Oceanographic Museum has chosen to continue its activity even in this time of health emergency, using their social page on Facebook “Musée océanographique de Monaco”. On the other hand, the Grimaldi Forum is not a museum, but a congress center and thanks to its large space, since May 19th the Ravel Space is one the two centers set up by Monaco’s Government for its Covid-19 resident’s screening campaign[24]. Bibliography: Argan 1968 = Giulio Carlo Argan, Storia dell’arte italiana, III, Sansoni, Firenze 1968. Baglione 1642 = Giovanni Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetta dal pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a’ tempi di Papa Urbano Ottavo nel 1642, Andrea Fei, Roma 1642. Bellori 1672 = Giovan Pietro Bellori, Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, Mascardi, Roma 1672. Borea 1970 = Evelina Borea, Caravaggio e caravaggeschi nelle Gallerie di Firenze, Sansoni, Firenze 1970. Cinotti 1983 = Mia Cinotti, Michelangelo Merisi detto Caravaggio: tutte le opere, Poligrafiche Bolis, Bergamo 1983. Collezionismo mediceo 2002 = Collezionismo mediceo e storia artistica, a cura di P. Barocchi e G. Gaeta Bertelà, I, Da Cosimo I a Cosimo II 1540-1621, 2 voll., Spes, Firenze 2002. Gregori 1991 = Mina Gregori, Michelangelo Merisi da Caravaggio. Come nascono i capolavori, Electa, Milano 1991. Gregori 2005 = Mina Gregori, Tre “cartelle” per tre mostre caravaggesche, in «Paragone, Arte», 56, n. 669, 64, november 2005, pp. 3-24. Gregori 2010 = Mina Gregori, scheda Cavadenti, in Caravaggio e caravaggeschi a Firenze, by G. Papi, Sillabe, Livorno 2010. Guttuso 1967 = Renato Guttuso, L’opera complete del Caravaggio, Classici dell’arte, Rizzoli, Milano 1967. Longhi 1968 = Roberto Longhi, Caravaggio, Ed. Riuniti, Roma 1968. Marangoni 1922 = Matteo Marangoni, Il Caravaggio, Battistelli, Firenze 1922. Marini 2005 = Maurizio Marini, Caravaggio “Pictor praestantissimus”, Newton & Compton, Roma 2005. Occhipinti 2018 = Carmelo Occhipinti, Introduzione alle Vite de’ pittori, scultori e architetti di Giovan Battista Passeri (1772), by M. Carnevali and E. Pica, Fonti e Testi of “Horti Hesperidum”, 18, UniversItalia, Roma 2018, pp. 5-107. Scannelli [1657] 2015 = Francesco Scannelli, Il Microcosmo della pittura 1657, by E. Monaca with an essay by C. Occhipinti, Fonti e Testi of “Horti Hesperidum”, 5, UniversItalia, Roma 2015. Sitography:
[1] https://www.visitmonaco.com/us/place/16/museums. [2] Thanks to the virtual tour on https://www.grimaldiforum.com/en/visite-virtuelle, it is possible to realize how large the spaces of the Grimaldi Forum are, in particular the Ravel Space where the summer exhibition is usually set up. [3] https://www.artlimited.net/agenda/exhibition-dali-a-history-of-painting-monaco-grimaldi/en/7583188 andhttps://www.grimaldiforum.com/en/events-schedule-monaco/dali-une-histoire-de-la-peinture. [4] https://www.grimaldiforum.com/en/events-schedule-monaco/exhibition---monaco-and-the-automobile-from-1893-to-the-present-day. [5] https://www.grimaldiforum.com/en/events-schedule-monaco/exhibition-michelangelo-merisi-the-caravage. [6] https://www.caravaggioexhibition.com/exhibition. [7] https://www.caravaggioexhibition.com/exhibition. [8] Mancini 1956-1957, pp. 139-148 at https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=2&ved=2ahUKEwii_4PSoJjpAhVT6qYKHaqkDI4QFjABegQIBxAB&url=https%3A%2F%2Flettere.aulaweb.unige.it%2Fmod%2Fresource%2Fview.php%3Fid%3D3181&usg=AOvVaw25A4IfgMhXU47Vo0y3QDaR. [9] Mancini 1956-1957, pp. 108-109 at https://it.wikiquote.org/wiki/Giulio_Mancini. [10] Baglione 1642, p. 137. [11] The Calling of Saint Matthew was «il primo germe – ed è lode altissima – di tanta della pittura spagnola e rembrandtiana» (Marangoni 1922, p. 29). For a study on the painting, see Guttuso 1967, pp. 94-95, n. 42; Cinotti 1983, pp. 528-530, n. 61A and Marini 2005, pp. 441-442, n. 36. More information about the Saint Matthew and the Angel, see Guttuso 1967, p. 95, n. 44, Cinotti 1983, pp. 412-416, n. 4 and Marini 2005, pp. 466-467, n. 53. See Argan 1968, III, pp. 275-277 and Longhi 1968, pp. 23-26 for the Contarelli chapel. [12] Scannelli [1657] 2015, p. 268. [13] Scannelli [1657] 2015, p. 269. Modern critics disagreed on Caravaggio autography’s, because Scannelli was the second one to talk about this painting. The first one was Tommaso Guidoni in a letter sent from Modena to Giovan Carlo de’ Medici on November 5th 1649, demanding an exchange of several paintings, like a Raphael’s «Madonna (…) in tondo», a Leonardo’s «Santa Caterina», the Caravaggio’s «Cavadenti», the Cigoli’s «Ecce Homo» and the Bronzino’s «San Giuliano». From a 1652 report in Giornaletto di galleria, it is possible to see that the painting wasn’t moved from Florence because it was «ruinato». The letter is entirely published in Collezionismo mediceo 2002, I, pp. 135-136, note 497, and mentioned in Gregori 2005, p. 14. On the controversial attribution, see Borea1970, pp. III, 12-13; Gregori 1991, pp. 328, 332; Gregori, 2005, pp. 15-16; Marini 2005, pp. 573-574 and Gregori, 2010, p. 122. [14] Scannelli [1657] 2015, p. 193. [15] Occhipinti 2018, p. 72. [16] Scannelli [1657] 2015, p. 193. [17] Bellori 1672, p. 205. [18] Bellori 1672, p. 205. [19] Bellori 1672, p. 202 and Occhipinti 2018, p. 53. [20] Occhipinti 2018, p. 51, n. 125. [21] Bellori 1672, p. 204. [22] https://edition.cnn.com/2020/03/19/europe/prince-albert-monaco-coronavirus-intl-scli/index.html. [23] https://www.hellomonaco.com/news/latest-news/closure-of-creches-and-schools-in-monaco-and-increasing-prudent-restrictions-due-to-coronavirus/. [24] https://www.grimaldiforum.com/en/index/from-may-19th-the-grimaldi-forum-monaco-is-one-of-the-centers-set-up-by-monaco and https://forbes.mc/article/free-covid-19-testing-in-monaco-for-residents-and-employees. “I Tesori Umani Viventi del Mediterraneo:Barbaro Messina, Maestro del Ciclo della pietra lavica”19/6/2020 di Marina Cafà Il documentario dal titolo “I Tesori Umani Viventi del Mediterraneo: Barbaro Messina, Maestro del Ciclo della pietra lavica”, mette in luce la singolare produzione artistica del Maestro Barbaro Messina, inserito nel Registro delle Eredità Immateriali di Sicilia come Tesoro Umano Vivente, poiché autore dell'innovativa tecnica della "ceramizzazione della pietra lavica". Prodotto dall’Associazione Identitas – Servizi Culturali e Fundraising, il documentario è stato ideato e scritto da Marina Cafà, presidente della stessa, impegnata da anni nella valorizzazione delle identità locali, attraverso progetti di comunicazione dedicati all’arte, al turismo culturale e alla didattica museale, per enti pubblici e fondazioni private. Protagonisti del documentario sono l’Etna, la pietra lavica e l’antica arte ceramica (in Sicilia risalente al V secolo a.C.), che hanno ispirato l’estro creativo dell’artista-artigiano Barbaro Messina, il cui merito è quello di aver dato vita alla nuova tecnica e alla nuova materia chiamata “pietra lavica maiolicata o ceramicata”, mediante lo speciale connubio tra la ceramica e il basalto dell’Etna. La presentazione del documentario è avvenuta il 20 giugno 2018 in due sedi: a Nicolosi (CT), all’interno della Scuola-Museo della ceramizzazione della pietra lavica, in occasione della seconda edizione dell’International Meeting & Educational Tour degli editori membri di ICMEA (International Ceramic Magazine Editors Association), e presso il “Museo Archeologico delle Pelagie” di Lampedusa, in occasione della “Giornata Mondiale del Rifugiato”, durante l’inaugurazione della Mostra “Approdi Mediterranei”, curata dalla stessa Marina Cafà. Organizzata nell’ambito del progetto “Snapshots from the Borders”, cofinanziato dall’Unione Europea e con capofila il Comune di Lampedusa, la mostra ha proposto, attraverso trenta sculture tridimensionali in pietra lavica maiolicata realizzate dal Maestro Messina, una riflessione sul fenomeno delle migrazioni. Estratto dal testo critico di presentazione alla mostra: La Sicilia, ombelico del Mediterraneo e frontiera d’Europa, è da secoli regno di porti e terra di approdi. Sagome nere, appena abbozzate, sono quelle dipinte dall’artista Barbaro Messina per raccontare dei numerosi migranti che arrivano sulle assolate coste siciliane: in questo modo, il “maestro del ciclo della pietra lavica” esprime le sfumature della propria interiorità, affidando a colori e pennelli il compito di rappresentare la realtà che, emotivamente, lo coinvolge. Come una melodia dal carattere mite, che si alterna a forti contrasti, la sua pittura rivela gli elementi identitari del paesaggio in cui si staglia il mitico Vulcano, e si dispiega sui materiali utilizzatiin questo territorio fin dalla preistoria: la pietra lavica e la ceramica. Non diversamente sarebbe potuto essere per lui che lavora la creta fin da bambino ed ama definirsi “figlio dell’Etna”. L’intuizione, l’estro creativo, gli studi sulle più antiche tecniche artigianali, le ricerche sulle composizioni chimiche dei manufatti d’epoca greca e romana, hanno portato questo abile artista-artigiano a rivoluzionare il mondo della ceramica, con la creazione della pietra lavica maiolicata. L’inedito connubio tra la lava effusa dal vulcano e la maiolica, ha ben presto destato l’attenzione dei settori dell’artigianato, del design e dell’arredamento, e valso al Maestro Messina numerosi riconoscimenti, tra cui l’iscrizione nel Registro delle Eredità Immateriali di Sicilia, come “Tesoro umano vivente per il ciclo della pietra lavica”, poiché unico detentore delle conoscenze necessarie per la realizzazione degli esclusivi oggetti d’arte, ormai celebri a livello nazionale ed internazionale, ottenuti con la felice unione di questi materiali impiegati tradizionalmente nell’area etnea in ambiti differenti. La pietra lavica, infatti, è stata da sempre alla base del processo costruttivo, e con essa sono state realizzate mura difensive, abitazioni, tombe, edifici di pubblica utilità, oggetti d’uso quotidiano ed elementi di decorazione architettonica, che hanno conferito al paesaggio antropizzato quel caratteristico e inconfondibile colore nero-grigio scuro. La ceramica (dal greco antico kéramos, “argilla”), invece, è stata utilizzata fin dal neolitico per la creazione di utensili e recipienti destinati alla conservazione di alimenti, diventando nei secoli una pregevole espressione dell’artigianato artistico locale. Anche nella cittadina di Paternò, sorta alle pendici dell’Etna presso l’antico abitato siculo di Hybla Gereatis, è attestata la presenza di fornaci per la produzione di manufatti ceramici fin dall’epoca neolitica ed, ancor oggi, sono numerosi gli artigiani che si dedicano a quest’arte, proprio come Barbaro Messina che qui è nato. Nel suo laboratorio “Le Nid”, come un antico aèdo egli dà voce alle tradizioni culturali di Sicilia, attraverso le innovative sperimentazioni tecnico-artistiche che elabora. Castelli, faraglioni, lave affioranti, ginestre ed agrumeti, rivivono sui frammenti di pietra lavica grezza raccolti dallo stesso artista all’interno di grotte vulcaniche, e sulle lastre di lava levigata, che ben si sposano alla ceramica dipinta; e così, il repertorio dell’arte figurativa etnea, con antichi miti, leggende, cavalieri duellanti, sovrani come Federico II di Svevia, e i tipici carretti siciliani, viene rappresentato dal Maestro Messina con l’immancabile sfondo del Vulcano, genius loci che incanta e incute timore, considerato dalle popolazioni che lo abitano una “Grande Madre” e, già dai Greci, chiamato - al femminile - “la Montagna”. La sensibilità di questo originalissimo artista va, però, oltre l’omaggio alla tradizione ed alla contemplazione della natura mitica, bucolica e misteriosa, e raggiunge l’essenza della dimensione umana con la riflessione sulle migrazioni nel Mediterraneo, simbolo di speranza per coloro che lo attraversano per fuggire da ingiustizie e violenze. I paesaggi con i barconi carichi di migranti, che Messina dipinge con luminosi smalti su superfici laviche, aspre e porose o levigate, coinvolgono lo spettatore con i loro contrasti cromatici, e ne amplificano le emozioni grazie al perfetto equilibrio tra luci ed ombre, ed alla forza espressiva del supporto materico. Sono sculture bifacciali, in cui la dimensione pittorica crea un elegante orizzonte naturale, e procede seguendo la forma stessa dei frammenti lavici; il colore assume una connotazione piena, sviluppandosi secondo linee di fuga dorate e luminose, che indicano ai migranti, scuri come ombre, la direzione verso la terra promessa. L’orizzonte è definito dalle eleganti linee di alcune montagne, che rappresentano le anime opposte e complementari del territorio etneo - lava, neve, boschi e fertili campi - e partecipano al sentimento collettivo di chi compie il viaggio verso la speranza, affrontando i pericoli del mare. Nella pittura di Messina il paesaggio diviene, infatti, il soggetto stesso dell'opera, non più sfondo o cornice, non più subordinato alla descrizione di una storia, ma “attore” con un ruolo attivo e precise funzioni comunicative. Link documentario:
https://www.youtube.com/watch?v=UfSdDId9cnU Qualche articolo presente sul web sull’argomento: https://www.sicilianetwork.info/barbaro-messina-lartista-della-lava-e-della-ceramica/ https://www.ilsitodisicilia.it/arte-barbaro-messina-artista-della-lava-e-della-ceramica-in-un-documentario/ |
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