di Donatella Garritano www.parcocolosseo.it, @parcocolosseo, #parcocolosseo Istituito con D.M. 12 gennaio 2017, il Parco archeologico del Colosseo comprende il Colosseo o Anfiteatro Flavio, il Foro Romano, il Palatino e la Domus Aurea. Sul sito ufficiale www.parcocolosseo.it, il ParCo offre un’ampia offerta culturale, ricca di contenuti storico-artistici sui propri monumenti e attraverso i canali social (@parcocolosseo di Facebook, You Tube, Istagram e Twitter), proponendo una serie di attività periodiche relative ad approfondimenti tematici, anche associati ad eventi promossi in collaborazione con il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo. A seguito dell'emergenza CoVID-19 che ha imposto la chiusura di tutti i siti della cultura, Il Parco archeologico del Colosseo ha aderito alla campagna di comunicazione indetta dal Mibact, #La Cultura non si ferma, potenziando la fruizione a distanza dei monumenti antichi, conosciuti a livello mondiale come simbolo identitario di Roma, dell'Italia e dell'intera cultura classica occidentale. È stata inoltre realizzata una pagina collegata al profilo Instagram Colosseofromhome, che sulla scorta delle campagne nazionali e internazionali – #iorestoacasa, #laculturanonsiferma e #museumfromhome – riunisce tutte le iniziative e gli approfondimenti digitali presenti sulle diverse piattaforme online. Il sito web del ParCo si apre con una vista panoramica che esplora tutta l’area dal Foro al Colosseo, passando per le collezioni del Palatino e illustrando le novità multimediali e mirabilia dei siti. Nella homepage che si apre scorrendo la pagina verso il basso, a sinistra della cornice superiore, compare un riquadro contenente i link che permettono l'accesso alle principali informazioni riguardanti la visita al Parco. Data la conformazione territoriale del luogo, accessibile a tutti ma non totalmente agevole e pianeggiante, si segnala la consultazione del Decalogo della buona visita. Il menu in alto a destra indica ulteriori informazioni circa i percorsi di visita dei monumenti, delle mostre ed eventi, con particolare riguardo ad accessibilità, ricerca, didattica, contatti e cartella stampa. Un link denominato Sostieni e partecipa prevede la possibilità di raccogliere, da parte di esterni, sostegni economici in favore dei progetti in corso. Il sito è tradotto in inglese, francese, spagnolo e cinese ed è ricchissimo di immagini in HD, tutte catturabili liberamente. Alcuni contenuti multimediali sono fruibili in video e con podcasts audio per l’accessibilità totale del pubblico on line. Colosseo: numerose foto e un breve video panoramico del monumento più conosciuto al mondo consentono di esplorarlo dai sotterranei fino alla terrazza del Belvedere. È disponibile un'introduzione sulla storia del monumento e sulle attività culturali in corso. Tra le mostre e percorsi in evidenza sulla pagina web, si segnala: “Il Colosseo si racconta: la storia infinita di una icona tra archeologia, filmati e lingue orientali” che illustra la storia dell’esposizione permanente e il ruolo iconico del monumento; La rubrica il Grand Tour propone a un tuffo nel passato, mettendo a confronto la vista attuale del Colosseo con le vedute antiche, tra la fine del Cinquecento e l’Ottocento, quando gli artisti e i viaggiatori di tutta Europa percorrevano l’Italia per fermarsi in particolare a Roma, meta eletta per il perfezionamento della propria formazione culturale. Attraverso il canale You tube del Parco, è raggiungibile ancora per alcune settimane la mostra Carthago. Il mito immortale. A conclusione della mostra, che ha riportato Roma e Cartagine al centro di un acceso dibattito tra gli storici, il 29 marzo 2020 si è svolto il Finissage online: l’evento Facebook – destinato a essere rilanciato ancora per alcune settimane, per consentire a tutti coloro che non hanno avuto modo di visitare la mostra, di conoscerne i materiali – ha ripercorso la storia della mostra con una galleria di immagini e di video della serie “Carthago Diaries“, con interviste ai curatori. Infine, nell’ambito dell’iniziativa Mibact intitolata Gran Virtual Tour, il ParCo offre la possibilità di visionare gli esterni e gli interni del Colosseo, attraverso la piattaforma Google Art and Culture. Foro Romano. Il cuore politico e civile di Roma antica, caratterizzato da una complessa stratificazione di vie, piazze ed edifici offre un panorama archeologico unico al mondo. Il relativo sito internet offre numerose foto e descrizioni dettagliate dei siti che lo caratterizzano. Tra gli eventi in evidenza sulla propria pagina web e sui canali social, Medicina XXXIII è una nuova rubrica che prevede un percorso in cinque tappe. Ognuna di queste propone una diversa riflessione sul culto della dea Febris, invitando a scoprire nella valle del Foro le testimonianze legate alla presenza, sin dall’antichità, di luoghi legati alla pratica dell’ars medica. Punto di partenza, prima tappa del percorso, è la Chiesa di Santa Francesca Romana, dedicata alla Santa che curava i malati; da qui si prosegue verso la Basilica di Massenzio, dove si trovavano gli Horrea Piperataria e il laboratorio del medico Galeno. Si procede con il Tempio di Romolo e la Basilica dei Santi Cosma e Damiano, cosiddetti “santi medici”, per continuare in direzione di San Lorenzo in Miranda, sede del Nobile Collegio Chimico Farmaceutico, arrivando infine alla Fonte di Giuturna, da cui sgorgava acqua considerata curativa e miracolosa. Altra novità è costituita dalle Passeggiate Dantesche legate alla ben nota iniziativa Mibact ed accessibili attraverso il canale You Tube#Dantedì e #IoleggoDante. Intitolate Nel mezzo del Cammin, e realizzate in occasione della ricorrenza dei 700 anni dalla morte di Dante, le Passeggiate Dantesche si propongono di raccontare alcune vicende della storia di Roma Attraverso la lettura e il commento di diverse terzine dantesche. Foro Romano, Palatino e Fori imperiali con la Colonna Traiana sono ancora oggi legate alla memoria di personaggi storici a cui Dante ha dato voce nelle cantiche della Divina Commedia. A guidare il pubblico, lungo quindici tappe, sono le voci degli attori Massimo Ghini, Giuseppe Cederna, Giandomenico Cupaiuolo e Rosa Diletta Rossi. La pagina web del Palatino, il sito che conserva le tracce della fondazione di Roma, permette l'accesso virtuale alle collezioni del Museo Palatino, alle Domus Imperiali, agli Horti Farnesiani, al Criptoportico, all’Arco di Tito. In evidenza si trovano le foto con i dettagli delle eccezionali decorazioni pittoriche e pavimentali, come quelle conservate nella Casa dei Grifi. Le visite nelle Domus sono arricchite dalle istallazioni multimediali e descritte con didascalie e video sul canale You Tube. L’iniziativa “#iorestoacasa e scopro la collezione del Museo Palatino con un click!” permette agli utenti di vedere i reperti e le statue conservate nella rispettiva. L’itinerario nel verde alle pendici del Palatino si snoda dalle Arcate Severiane alle Capanne romulee, dove si localizza il sito della prima fondazione di Roma, fino a ricongiungersi nel Foro all’altezza degli Horrea Agrippiana. Tra le rovine archeologiche, una ricca vegetazione di inflorescenze ed erbe, folti cespugli e macchie arboree con i loro colori e odori contribuisce a rendere la cornice unica al mondo. Attraverso la pagina web, si accede anche al progetto Storie di donne al PArCo, focalizzato sulla figura femminile e sul suo ruolo nella vita sociale e politica di Roma dalle origini all’età Imperiale. Il percorso sul Palatino è descritto e arricchito da alcuni video, dove la stessa Livia e la figlia dell’Imperatore Augusto, Giulia, accompagnano la visita alle Domus. Domus Aurea. Sulla pagina web è presentato il progetto Domus Experience, che consente una visita in situ arricchita dai visori 3D, ma che ora è proposta on line. Si tratta di un'esperienza immersiva incentrata su un videomapping delle grandi superfici della Domus Aurea. Si segnalano inoltre, sui social @parcocolosseo la #Maratonaraffaelonline e #iorestoacasa e aspetto, la grande mostra-evento “Raffaello e la Domus Aurea. L’invenzione delle grottesche” in concomitanza con la celebrazione dei 500 anni dalla morte di Raffaello Sanzio (Urbino, 1483 – Roma, 1520). La mostra, dedicata al tema delle grottesche, propone straordinari apparati interattivi e multimediali, curati da Vincenzo Farinella con Stefano Borghini e Alessandro D’Alessio, che illustrano l’eccezionale vicenda della riscoperta della pittura antica dentro le “grotte” dell’originaria Domus Aurea di Nerone. Sul canale You Tube del #parcocolosseo è visibile inoltre il video sulla recente scoperta della Sala Della Sfinge, presentata da rai 3 e dal Direttore Del Parco Alfonsina Russo, nonchè la presentazione della Domus Transitoria a cura di Studio Aperto e del Funzionario archeologo Alessandro D’Alessio. Eventi on line : #ParcoColosseo partecipa inoltre alla campagna #ArTyouReady con il flash mob fotografico dedicato al #paesaggioitaliano e condivide gli scatti – ricordo postati dai turisti di ogni provenienza nei siti del Parco e che in questi giorni ripercorrono la memoria dei bei momenti vissuti nei mesi appena trascorsi e preannunciano la bellezza della riapertura. Natale di Roma 2020 in occasione del Natale di Roma il Parco archeologico del Colosseo apre virtualmente i suoi cancelli con una speciale visita ad alcuni dei cantieri di restauro e manutenzione in programma nel corso del 2020. Didattica - Il Parco prevede la possibilità di approfondire alcuni contenuti in free download : A tavola con Apicio… oggi cucino con mamma e papà! Una presentazione di alcune ricette di facile realizzazione invita i bambini di tutte le età a sperimentarle e prepararle in famiglia. Un’ esperienza che riporta indietro nel tempo a sedersi a tavola in un banchetto con gli antichi romani, assaporandone prelibatezze e piatti preferiti. “Semplicemente mitico! La leggenda di Tarpea e le nostre origini”, il fumetto realizzato da Silvio Costa, il primo dei tanti Quaderni della Didattica in programma, è scaricabile dal sito. Per finire, il laboratorio “Crea la tua didascalia”, ambientato nel Museo Palatino, prevede la possibilità di creare una propria didascalia. Work in progress: -punti hotspots creati nel Museo Palatino e attivabili da smartphone con QR Code; -progetto sperimentale di tour virtuali in 3d e interattivi, fruibili tramite la piattaforma di Google Art&Culture; -percorso neroniano, una passeggiata nel PArCo in 6 tappe sulle tracce dell’imperatore Nerone. Credits
Concept e realizzazione: Parco archeologico del Colosseo in collaborazione con Electa Layout Design & Web Development: Amaranto Video con drone: Associazione A.S.S.O. o.n.l.u.s. – reworking: Mario Cristofaro Archivio Fotografico Parco archeologico del Colosseo Photo: Luigi Spina; Eugenio Monti; Andrea Jemolo Sitografia di riferimento: https://parcocolosseo.it/en/ https://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/visualizza_asset.html_1239486882.html https://www.rivistasiti.it/colosseofromhome-mille-proposte-da-roma/ https://www.youtube.com/user/MiBACT https://www.facebook.com/parcocolosseo/posts/2704987996400104?__tn__=-R
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di Letizia Fiori In questi tempi straordinari – letteralmente fuori dall’ordinario – in cui tutti noi siamo costretti a stravolgere le nostre abitudini, confinati, per il nostro stesso bene, in casa, non bisogna mai perdere la speranza. Questo è il tempo di reagire. Di sfruttare l’inaspettata quantità di tempo libero che abbiamo a disposizione per impegnarci in qualcosa di costruttivo. In questo la risposta dei musei non è tardata ad arrivare. Si sono moltiplicati, dall’oggi al domani, i tour virtuali tra i capolavori che ora sono, anche loro, confinati in casa. Anche il museo dell’Ara Pacis è sbarcato online, come tutte le istituzioni facenti parte della rete dei Musei in Comune: si offre «un tour virtuale» – come riporta il sito ufficiale – «per una visita a tutto schermo delle sale e per consentire a tutti un'esperienza virtuale che supera i limiti spaziali»[1]. In realtà, il tour del museo dell’Ara Pacis è disponibile già dal 2012, a testimonianza della presa di coscienza dell’utilità di questo strumento molto prima dell’emergenza Covid-19. In pochi, però, ne erano a conoscenza. Forse perché si privilegiava la visita in loco, o perché la frenesia del quotidiano non lasciava sufficiente tempo libero da dedicare a questo tipo di esperienza. Sicuramente oggi è uno strumento prezioso, che ci avvicina a quei luoghi dai quali siamo distanti, almeno fisicamente. Il tour in questione permette la visita del museo simulando una passeggiata virtuale, l’unica che ci è consentita, per esplorare l’interno degli ambienti senza i fastidiosi tempi di attesa che la quantità di visitatori abituali avrebbe inevitabilmente provocato. Grazie al movimento del mouse è possibile ruotare la visuale a 360°, «zoomare fino ad avvicinarsi ai diversi elementi presenti nelle sale, oltre che approfondire la visita con foto e video»[2]. Tutto quello che occorre per la visita virtuale è un pc e un collegamento ad internet. Basterà poi collegarsi al sito http://tourvirtuale.arapacis.it/ita/index.html perchè la magia abbia inizio. Con il plug-in Adobe Flash Player muoviamo i primi passi nella realtà virtuale del museo: la visuale iniziale è esattamente la stessa che avremmo potuto apprezzare se fisicamente lì, in perfetta coerenza con la ‘visita reale’. Utilizzando il mouse e la tastiera, cliccando sugli hotspot inseriti negli ambienti e navigando le mappe interattive, la visita si approfondisce con elementi di contesto: foto, video e testi. Alle nostre spalle, proprio accanto alla porta di ingresso, un pannello e un plastico offrono un’interessante ricostruzione del contesto originario che faceva da cornice all’Ara Pacis: il Campo Marzio settentrionale, così come doveva presentarsi nel 14 d.C., alla morte di Augusto. L’idea del plastico è davvero vincente per restituire un’immagine di come doveva essere la città agli occhi di un civis Romanus dell’epoca, sicuramente molto diversa da quella odierna; d’altronde, sappiamo ormai tutti che le “immagini” sono più efficaci delle parole. Quello che però manca nel tour virtuale è uno zoom, magari dall’alto, proprio sul plastico, che invece risulta virtualmente non apprezzabile, ‘piatto’. Ne intuiamo la presenza ma non l’articolazione. Prima di proseguire verso l’ara, alla nostra sinistra una teoria di busti dei rappresentanti più famosi della gens Iulia, tutti corredati di una “i” soprastante, cliccando la quale si apre una finestra che fornisce brevi informazioni aggiuntive nell’opera, ma non esaustive sul personaggio rappresentato. Data la complessa articolazione della famiglia romana, si sarebbe potuto pensare ad un ulteriore approfondimento che chiarisse il ruolo dei personaggi rappresentati dai busti scelti. A questo proposito, giusta è l’idea di collocare, alla nostra destra, di fronte alla teoria di busti, un pannello trasparente autoportante che ricostruisce la genealogia della gens Iulia, molto utile per fare chiarezza dei rapporti di parentela esistenti ma, purtroppo, slegato dal resto del contesto, dal momento che i nomi non sono accompagnati da un riferimento grafico ai personaggi, seppur rappresentati nei busti presenti di fronte. Risulta complicato e assolutamente non immediato lo spostamento di visuale dal pannello ai busti per tentare di collegare nomi e volti. Dopo questo spazio introduttivo, necessario per inquadrare il contesto storico e paesaggistico, ci concentriamo sull’Ara Pacis, il fulcro di questa avanguardistica struttura museale progettata nel 2006 dall’archistar Richard Meier. Seppur il punto di osservazione iniziale sia distante, con uno zoom progressivo riusciamo ad arrivare ai piedi dell’ara, senza che la qualità e la risoluzione dell’immagine ne risentano minimamente. Purtroppo nessuno strumento di approfondimento è disponibile riguardo il prospetto principale dell’altare, così come, vedremo dopo, per gli altri prospetti. Qualcuno potrebbe obiettare che la magnificenza del monumento “parli” da sé, ed è certamente così, ma si sarebbe potuto pensare di integrare questi zoom con le ricostruzioni dello stesso realizzate con il progetto “L’Ara com’era”, non consultabile online se non attraverso dei brevi video, e la cui iniziativa è terminata lo scorso dicembre 2019. A questo punto il virtual tour ci consente di proseguire solo in una direzione, verso il corridoio ovest. Di nuovo non abbiamo a disposizione alcun approfondimento, anche solo minimo, per esempio riguardo i soggetti rappresentati nel fregio superiore. Un minimo di interattività avrebbe potuto rendere ancora più interessante e coinvolgente la visita. Passiamo al lato nord, il prospetto posteriore dell’ara. Sicuramente la maggiore profondità dello spazio architettonico a disposizione permette un’osservazione omogenea, con un unico colpo d’occhio, come invece non accade per i lati dell’altare, i cui corridoi sono molto più stretti. Ma questa è una considerazione strettamente legata al moderno contenitore. Nulla di più possiamo dire, a livello storico-artistico, su questo prospetto, nemmeno apprezzare, tramite lo zoom, i pannelli che incorniciano l’apertura posteriore perché lo strumento non risulta disponibile. A questo punto possiamo visitare gli spazi sottostanti il lato est dell’ara, che contengono i calchi riferiti alla Tellus e alla dea Roma, finalmente un approfondimento riguardo i due pannelli sul lato secondario. Un’altra sala contiene i frammenti del grande fregio a girali che caratterizza tutta la fascia inferiore dell’altare, come un grande nastro che lo avvolge completamente. Un pannello spiega la grande difficoltà incontrata nella ricostruzione del fregio, data la quantità di frammenti rinvenuti. La sala successiva, cosiddetta Ara Pietatis o Ara Claudii, contiene una serie di frammenti di svariate dimensioni e soggetti diversi. Così termina il tour del Museo dell’Ara Pacis. Grande assente la veduta del lato est dell’altare nonostante la scena più importante e meglio conservata sia proprio su questo fianco, quella con i personaggi della famiglia imperiale in processione, secondo un preciso schema protocollare, legato alla successione al trono concepita da Augusto attorno al 10-9 a.C. Il tour, risalente al 2012, presenta molti punti che potrebbero essere facilmente implementati. Nel 2020 ci si aspetta di più da una visita virtuale immersiva, sia sul fronte della tecnologia che da quello storico-artistico, così come ancora preistorico è l’utilizzo che le istituzioni museali fanno dei canali social. Un salto andrebbe compiuto per avvicinare i musei, formula settecentesca, al nostro tempo. [1] http://www.arapacis.it/it/musei_digitali/tour_virtuali [2] http://www.arapacis.it/it/servizi/news/tour_virtuale_del_museo_dell_ara_pacis di Gabriele Gioni A seguito del DPCM dell’8 marzo del 2020, per il contenimento e il contrasto del diffondersi del virus Covid-19, che ha sospeso tutte le attività dei musei, degli istituti e dei luoghi della cultura di tutta Italia, il Ministro Dario Franceschini ha fatto appello agli operatori culturali di “usare al massimo i loro social e siti” per incoraggiare a non fermare le loro attività. Fortunatamente alcune istituzioni e musei già avevano realizzato degli strumenti che permettono, in questo particolare momento, di continuare a proseguire la loro mission culturale ottemperando allo stesso tempo alle disposizioni governative, come ad esempio i tour virtuali. I Musei Capitolini di Roma, sebbene a volte dimenticati dalle statistiche dei “grandi numeri”, sono da considersi museo per eccellenza: la sua apertura al pubblico avvenuta nel 1734 lo consacrò come il primo museo al mondo, inteso come luogo dove l’arte fosse fruibile da parte di tutti tutti, non solo dai proprietari della collezione. Forse è proprio questa vocazione pubblica che ha spinto la società capitolina Zètema, incaricata della gestione delle attività e servizi culturali e turistici, in collaborazione con HQuadro, a dotare il museo già nel lontano 2010 della possibilità di un tour virtuale, interattivo e multimediale. Un progetto già di per sé molto ambizioso, sia perché è stato fra i primi di questo tipo a essere realizzato nel nostro paese, sia in cosiderazione della vastità della collezione ospitata, nonché degli stessi spazi espositivi che si organizzano in quattro strutture distinte per una complessità di quasi 13 mila metri quadrati. Ne consegue la necessità di operare una selezione degli spazi da digitalizzare, motivata non solo dalla scarsità delle risorse disponibili, ma anche dalla tecnologia utilizzata che, seppur all’avanguardia per l’epoca, non permetteva una fluida ed agevole navigazione tra gli spazi. Infatti è stata la stessa Zètema a sottolineare che il progetto ha dovuto coinvolgere solo una parte dei musei, ovvero 45 sale per un totale complessivo di 71 hot spot o punti di osservazione a 360°. Avviare la visita virtuale dalla home del sito internet dei Musei Capitolini non risulta molto intuitivo; sono infatti necessari diversi click, prima di approdare finalmente al link diretto (http://tourvirtuale.museicapitolini.org/). Una volta caricata la pagina, seppure molto scarna, viene immediatamente richiesto al visitatore di scegliere in che lingua effettuare il tour: possibilità che ancora non è molto diffusa fra gli altri istituti culturali italiani, ma che sicuramente contribuisce a dare maggiore respiro al progetto, rivolgendosi a un pubblico internazionale. La presentazione si apre con una vista mozzafiato: il visitatore virtuale si trova proprio al centro di Piazza del Campidoglio, di fronte alla statua equestre di Marco Aurelio; la visuale a 360° permette al visitatore di ruotare su se stesso, potendo dare un’occhiata verso diversi scorci della Città Eterna, che spesso vengono celati dal trambusto metropolitano. Già tutto questo merita davvero una visita, sicuramente almeno virtuale! La grafica e i comandi di navigazione appaiono fin dall’inizio molto semplici e lineari, contrassegnati da un colore rosso che vorrebbe rimandare al porpora, simbolo cittadino e del sistema museale civico. Nonostante tutto, la modesta veste grafica risulta molto funzionale, sufficientemente intuiva e permette un corretto orientamento lungo il percorso offerto. Garantisce inoltre, grazie ad un menù a tendina posizionato in alto a sinistra, un facile reindirizzamento nei punti di partenza delle visite delle quattro sezioni in cui i musei sono divisi: Palazzo dei Conservatori, Palazzo Nuovo, Tabularium, la galleria lapidaria, oltre a permetterci di riammirare quando vogliamo la Piazza del Campidoglio. In basso a destra invece troviamo una barra con i comandi essenziali per assistere il visitatore al tour: le frecce direzionali, i pulsanti ‘più’ o ‘meno’ per ingrandire o diminuire la visuale, e per passare alla visualizzazione a schermo intero, ed anche un punto interrogativo per chiedere aiuto in caso di difficoltà. Accanto a questa barra troviamo una mappa interattiva dei musei, assolutamente necessaria per comprendere gli spostamenti all’interno delle singole sale e fra i quattro livelli che compongono la superficie espositiva. La mappa permette fin da subito di intuire la vastità del museo e la posizione dei singoli hot spot realizzati, dove però risaltano alcune lacune e carenze che non possono non suscitare alcuni interrogativi: come mai intere sezioni del museo sono state completamente escluse? Perché escludere della visita capolavori come il Ritratto di Carlo I d’Angiò del maestro Arnolfo di Cambio? Perché usare più punti di visualizzazione per certi ambienti del museo rispetto ad altri? Infine, è indubbio come lo strumento utilizzato non sviluppi appieno le sue potenzialità; anzi esso presenta, forse, certe carenze: il museo viene diviso in settori colorati, rispetto ai quali è completamente assente una legenda, né si capisce perché; inoltre, solo in corrispondenza del piano inferiore e del piano terra sono presenti delle icone che indicano, in maniera abbastanza intuitiva, alcuni servizi essenziali del museo che, come nel caso degli ascensori e delle toilette, sono del tutto superflui nel caso di un tour virtuale a distanza. Dopo aver compreso il funzionamento degli strumenti messi a disposizione, l’utente può procedere alla visita vera e propria, seguendo la freccia che indica il Palazzo dei Conservatori e che permette il traghettamento, per così dire, verso il prossimo hot spot all’interno del museo. Emerge però, a questo punto, un aspetto piuttosto sgradevole nella navigazione: una volta che si vuole visitare la sezione successiva, il punto di vista appare come ribaltato, in direzione di ciò che l’osservatore si lascia alle proprie spalle (ad esempio, se dal cortile si vuole salire al primo piano, quello che appare ai nostri occhi non è la Sala degli Orazi e Curiazi, bensì la scalinata vista dall’alto, costringendo ogni volta a girare la visuale per continuare naturalmente la visita). Oltre ad una prospettiva a 360° degli ambienti, si può sfruttare un altro menù che compare in basso a sinistra, che ci accompagnerà nell’esplorazione di ogni sala e permetterà di completare l’esperienza del tour. Nella sezione multimedia si trovano un’audioguida, dei video e delle foto con annesse didascalie legate agli oggetti esposti nella sala, permettendo così di avvicinarsi alle opere che i punti di visualizzazione a volte lasciano in disparte. Purtroppo, durante la visita virtuale risaltano alcuni importanti difetti: le immagini delle opere per sala sono poche; il player dell’audioguida, di cui non sono dotati tutti gli spazi espositivi, una volta avviatosi occupa lo schermo senza permettere né di continuare la visualizzazione a 360° dell’ambiente, né delle immagini proposte; per quanto riguarda i video non si riesce mai a riprodurli. Interessanti restano le foto storiche e le ricostruzioni grafiche che si trovano nei multimedia negli hot spot dell’esedra di Marco Aurelio e del Tempio di Giove Capitolino, un modello che andava sicuramente seguito per tutte le sale e che conferisce sostanza e più dignità ad una visita a distanza. Ultima nota dolente è il punto di osservazione che si trova al primo piano di Palazzo Nuovo dedicato al Gabinetto della Venere che non funziona correttamente, permette la visualizzazione dei file multimediali ma non degli spazi destinati ad ospitare la famosa Venere Capitolina. Diciamo la verità. Il tour virtuale dei Musei Capitolini appare oggi, sicuramente, uno strumento fin troppo datato che, oltre a certe sue deficienze progettuali, non è in grado di reggere il passare del tempo; cosa comunque molto comprensibile, visto il costante sviluppo delle tecnologie digitali che mutano anche nel giro di pochi mesi. Sitografia:
https://www.artribune.com/professioni-e-professionisti/politica-e-pubblica-amministrazione/2020/03/passare-cultura-web-social-franceschini-emergenza-coronavirus/ http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Franceschini-chiusi-in-tutta-italia-cinema-teatri-musei-7d46b967-d366-404b-9a9a-d39ba4b7077a.html http://tourvirtuale.museicapitolini.org/ http://www.museicapitolini.org/it/servizi/news/tour_virtuale_dei_musei_capitolini https://www.hquadro.it/site/?oxy_portfolio_image=musei-capitolini-2 https://roma.repubblica.it/cronaca/2010/07/27/news/musei_capitolini-5868093 di Valeria Gentili Anche il Museo Egizio di Torino, il più antico museo al mondo dedicato all’arte egizia, aperto dal 1832, in questo difficile momento storico ha dovuto chiudere i battenti, lasciando sprofondare nel silenzio le sue inestimabili, antichissime opere. Ma non lasciandole in solitudine. Infatti, senza interrompere le sue attività culturali, il museo adesso offre a tutti la possibilità di accedere comunque nelle proprie sale, attraverso un Tour Virtuale dedicato all’“Archeologia Invisibile”. Questo è il titolo della mostra temporanea che è in programma nel museo fino al 7 giugno 2020, a cura dell’egittologo Entico Ferraris, in collaborazione con numerose istituzioni scientifiche e culturali italiane, europee ed internazionali. La mostra espone al pubblico alcuni tra i reperti egizi più importanti del museo torinese, ma lo scopo dell’iniziativa non si esaurisce nell’esposizione virtuale degli oggetti: il percorso intende infatti accompagnare gli utenti, secondo diverse prospettive didattiche e attraverso adeguati espedienti narrativi, alla scoperta di una civiltà come quella Egizia lontanissima dalla nostra, da cui gli oggetti musealizzati provengono. L’allestimento della mostra vuole dunque far luce sul mondo che anticamente ruotava attorno ad ognuno dei reperti esposti, visibili oggi all’interno di teche e vetrine da museo. Per poterci riuscire, è stato necessario dar voce a diversi studiosi di egittologia, le cui attività di ricerca vengono raccontate in maniera facilmente comprensibile a tutti i visitatori del Tour virtuale. In modo semplice ed efficace, così, sono illustrate le fasi della ricerca archeologica (dallo scavo fino all’esposizione), per far capire anche ai non addetti ai lavori quali sono gli strumenti di indagine, dai quelli tradizionali a quelli più innovativi, che ci permettono di ricostruire un quadro di civiltà in tutti i suoi aspetti: molti dei quali aspetti, ormai, è possibile far rivivere solo attraverso l’utilizzo di sofisticati strumenti di osservazione e di misurazione, facendo affidamento anche alle competenze chimiche, fisiche o radiologiche. In tal senso la mostra si propone di guidarci per mano attraverso i reperti, insegnandoci a “guardare oltre”, al di là del visibile. Da qui, il titolo della mostra: “Archeologia invisibile”. Il tour si articola in quattro sezioni: 1) la documentazione dello scavo; 2) le analisi diagnosticheL; 3) il restauro; 4) la conservazione. La documentazione dello scavo. Lo scavo è il primo momento di conoscenza del reperto archeologico. L’archeologo è il primo che ne entra in contatto dopo milioni di anni. Non basta avere la fortuna di trovare il posto giusto in cui scavare ma bisogna avere le giuste capacità per capire come scavare. Ogni strato di terreno che si è posato sul reperto per secoli è fonte inesauribile di informazioni, ragion per cui non lasciare accurata testimonianza delle fasi di scavo potrebbe comportare la perdita di preziose informazioni circa il contesto in cui quell’oggetto è stato creato. Bisogna quindi documentare ogni strato di terreno che viene rimosso e osservare se al suo interno possano esserci altri manufatti da mettere in relazione tra loro. Questo studio scientifico prende il nome di stratigrafia. I procedimenti di ripresa fotogrammetrica che documentano tali osservazioni si prestano bene alla fruizione virtuale, così da rendere accessibile non solo agli studiosi i dati ricavati dallo scavo. Le analisi diagnostiche. Dopo avere ritrovato un oggetto in uno scavo ed aver fatto una prima analisi visiva, entrano in gioco tutte quelle indagini scientifiche che negli ultimi anni, con il progresso tecnologico, hanno visto un’evoluzione molto importante. Servendosi delle tecniche di indagine archeometriche (analisi chimiche, analisi fisiche, radiografie) si riesce a conoscere, per ogni oggetto, ciò che si cela dietro l’apparenza. Conservazione e restauro. Le analisi diagnostiche forniscono anche tutta una serie di dati scientifici utili per capire, in base allo stato di conservazione del reperto, se poterlo esporre in pubblico e seguendo quali accorgimenti. In definitiva, si tratta di una mostra che ha scommesso molto sull’utilizzo della tecnologia come strumento di conoscenza e comunicazione storica, artistica e culturale. Tutto questo è stato possibile anche grazie agli studenti del corso di laurea in Ingegneria del cinema e con la collaborazione del Politecnico di Torino, nonché di Robin Studio. Utilizzando una semplice fotocamera a 360° sono state riprese le sale espositive, le teche ed i pannelli didattici. Sono stati inseriti degli hotspot in corrispondenza delle sale, in prossimità dei reperti esposti. Attraverso di essi si può accedere alle informazioni sull’oggetto, tramite l’apertura di menu a tendina che conducono a video esterni (archiviati su youtube) che descrivono e mostrano le indagini diagnostiche. Particolarmente notevole, la possibilità di osservare un gioiello rivenuto tra i corredi di una sepoltura, riprodotto in 3D. Insieme, si può esplorare l’interno di una mummia e assistere alle operazioni di restauro di un papiro. Disponibile su youtube anche un “dietro le quinte” dell’allestimento della mostra: https://www.youtube.com/watch?v=VChiu00pv8U#action=share Sitografia:
https://museoegizio.it/esplora/mostre/archeologia-invisibile/ https://www.archeostorie.it/archeologia-invisibile-le-mummie-ai-raggi-x/ https://djedmedu.wordpress.com/2019/03/13/archeologia-invisibile-la-nuova-mostra-del-museo-egizio-di-torino-racconta-la-biografia-degli-oggetti-grazie-alla-scienza/ https://www.lastampa.it/rubriche/la-marziana/2019/05/26/news/archeologia-invisibile-1.33704669 https://www.artribune.com/mostre-evento-arte/archeologia-invisibile/ https://www.mentelocale.it/torino/articoli/78565-archeologia-invisibile-museo-egizio-torino-umanesimo-scienza-insieme-ricerca.htm http://www.torinoggi.it/2019/11/25/leggi-notizia/argomenti/eventi-11/articolo/archeologia-invisibile-prorogata-fino-al-giugno-2020-la-mostra-al-museo-egizio.html https://www.guidatorino.com/eventi-torino/archeologia-invisibile-mostra-museo-egizio-torino-2019-2020/ https://www.torinofan.it/eventi/larcheologia-invisibile-al-museo-egizio-di-torino/ di Federica Lixi In questo difficile periodo che l’umanità sta purtroppo vivendo, molte sono le iniziative che vengono proposte dai musei di tutto il mondo. Grazie ai sofisticati strumenti della tecnologia digitale, la maggior parte dei musei e siti archeologici hanno messo a disposizione le proprie collezioni direttamente sulle piattaforme online per far sì che le opere d'arte del nostro passato possano essere comunque accessibili. Il sito internet del British Museum perciò ha visto un considerevole aumento dei visitatori, attirati dalla possibilità di un'esplorazione virtuale del patrimonio. Risulta addirittura raddoppiato il numero delle visite, che ha raggiunto durante il mese di marzo i 978.548 utenti, contro i 472.890 dell'anno scorso. Il British Museum ha rivelato un dato particolarmente interessante: cioè che la maggior parte di questi visitatori online proviene dall'Italia. L’attuale direttore del British Museum, Hartwig Fischer ha dichiarato: “La cultura ci conforta in tempi di agitazione, ci unisce e ci fa capire cosa significa essere umani. Mentre il mondo è alle prese con questa crisi attuale, sono contento che così tante persone stiano arrivando al sito web e alle raccolte online del British Museum”. Il British Museum offre alcune tra le collezioni di opere e manufatti più importanti della storia dell’uomo, divise per sezioni, rese facilmente raggiungibili attraverso il sito ufficiale: la sezione dell’Africa, delle Americhe, la sezione dell’antico Egitto, del Sudan, quella dell’Antica Grecia e quella dell’Antica Roma. Ci sono poi sezioni più specifiche come, ad esempio, quella dedicata alla vasta collezione di monete e medaglie, tra le più antiche sul pianeta; per non parlare della sezione di antropologia e di quella dedicata alla esplorazione del mondo in età illuminista, nel diciottesimo secolo. I preziosi oggetti di ogni sezione sono distribuite all'interno delle sale virtuali, numerate e catalogate. La loro fruizione è possibile attraverso appositi tour virtuali, che sono segnalati sul sito ufficiale del museo; ma è altresì possibile esplorare il British Museum attraverso la modalità Street View. Il museo londinese e Google hanno infatti stretto un accordo già nel 2007 per rendere gli spazi percorribili online attraverso una visualizzazione degli ambienti ad altissima definizione (HD), senza muoversi dal divano di casa. Ciò è stato reso possibile grazie al Google Cultural Institute (GCI) che ha utilizzato la mappatura interna del museo per creare una versione virtuale del museo: il tour copre ben nove piani, comprendendo ottantacinque delle sue sale permanenti.Entrando nel museo virtuale vi troverete nel Great Court sotto l’imponente soffitto di vetro, da dove è possibile scegliere il proprio percorso di visita, mediante un apposito avata La mostra include informazioni dettagliate, ma soprattutto immagini ad alta risoluzione di oltre 4.500 oggetti conservati all’interno del museo. Mediante l'opzione "Museum of the World", l'utente può visualizzare i manufatti non solo in ordine cronologico, ma pure secondo collegamenti che permettano di illustrare i rapporti e gli scambi tra culture, civiltà e luoghi diversi. Uno dei più grandi privilegi della visita virtuale è che il museo vi appare completamente deserto: ognuno di noi è l'unico osservatore. Per consentire una tale esperienza, le telecamere di Google hanno dovuto percorrere gli spazi espositivi dell'intero museo, al di fuori degli orari di apertura, utilizzando una grande fotocamera trolley guidata. Il precedente direttore del British Museum, Neil MacGregor, aveva al riguardo dichiarato: «Oggi il mondo è cambiato, il modo di accedere alle informazioni è stato rivoluzionato dalla tecnologia digitale - questo ci permette di dare una nuova realtà all’ideale di illuminismo su cui è stato fondato il museo». «È ora possibile rendere la nostra collezione accessibile, esplorabile e divertente non solo per chi la visita fisicamente, ma a chiunque abbia un computer o un dispositivo mobile”. Oltre al tour virtuale, occorre segnalare un grandissimo numero di video che circolano in rete. Basta aprire il più comune sito di ricerca video degli ultimi anni (YouTube) per avere accesso a video stupefacenti, magistralmente eseguiti, alcuni dei quali, tra i più interessanti, permettono addirittura di interagire con l'immagine, ruotandone l'angolatura di ripresa in tempo reale. Il Visual Artist Paul Maclean con la sua GoPro, ha girato un bellissimo video del British Museum e delle sue collezioni, intitolato “A 360° tour of the British Museum”, che presenta un’innovativa peculiarità: permette cioè di cliccare, in alto a sinistra, per poter ruotare la prospettiva dell’osservatore di 360° all’interno del museo, durante la riproduzione del video! Sitografia:
https://www.youtube.com/watch?v=-rl0aGAbkTM https://metro.co.uk/2020/03/20/british-museum-may-closed-can-virtually-explore-venue-comfort-home-12432145/ https://www.lastampa.it/cultura/2015/11/13/news/il-british-museum-arriva-su-google-street-view-1.35207255 https://www.youtube.com/watch?v=bQIYn9heYx0 https://www.youtube.com/watch?v=Z8wl84-AW_8 http://www.pegmantour.it/2015/11/16/il-british-museum-arriva-su-google- street-view/ di Manuel Mohaddere Nel 2016 la Biennale di Venezia, in un progetto realizzato in collaborazione con il Victoria & Albert Museum, intitolato ‘A World of Fragile Parts’ curato da Brendan Cormier, ha affrontato il tema della riproduzione digitale delle opere d’arte e di tutte le questioni che la tecnologia apre rispetto alle nuove modalità di fruizione, di osservazione, di interpretazione. D’altronde la produzione di copie si sta rivelando in molti casi come un mezzo per ridurre i rischi che l’esposizione pubblica di un’opera comporta. I musei in tal senso hanno una lunga tradizione nella produzione di copie, proprio a partire dal Victoria & Albert Museum di Londra che nel 1867 lanciò una prima campagna internazionale per promuovere la riproduzione di calchi di gesso, fotografie ed elettroformature di opere d'arte. Da allora le copie hanno acquisito una nuova funzione: quella di documentare lo stato di conservazione di un’opera d’arte oltre a quella di preservarla ai rischi dell’esposizione pubblica. Ne è un esempio il busto di Nefertiti la cui sofisticatissima riproduzione digitale ha destato molto clamore a livello internazionle. Si tratta di un capolavoro dell’arte egizia, riportato alla luce un secolo fa in Egitto, appunto, e trasferito in Germania. Le autorità egiziane ne hanno richiesto la restituzione fin dalla sua presentazione a Berlino al pubblico nel 1924. Oggi esiste una dettagliata scansione tridimensionale del busto, al Neues Museum, che però non è stata ancora resa disponibile al pubblico. In risposta a ciò gli artisti Nora Al Badri e Nikolai Nelles hanno inscenato un furto d'arte ‘etico’, che hanno chiamato #NefertitiHack, che è consistito nello scansionare segretamente il busto usando un controller Kinect per Xbox. Il file digitale del busto è stato caricato in rete e reso di dominio pubblico sotto forma di file torrent. Gli artisti hanno esposto così l'esatta copia 3d del busto in Egitto per la prima volta. Dal febbraio 2010 è proibito scattare foto, una misura cautelativa per proteggere i pigmenti colorati, rovinati dai troppi flash. La scultura è comunque da tempo una delle opere dell'Antico Egitto più imitate, non di rado per scopi commerciali illeciti. Grazie ai dati diffusi online dai due artisti è ora possibile realizzare una riproduzione della testa regale precisa al centesimo di millimetro. Nel giro di 24 ore dalla pubblicazione ci sarebbero stati più di 1000 downoload del torrent originale e una copia sarebbe stata realizzata anche dall'Università Americana del Cairo. Secondo Al-Badri e Nelles le nuove frontiere tecnologiche offrono ai musei l'opportunità di restituire ai legittimi proprietari e alla loro identità storica milioni di reperti archeologici, che possono essere sostituiti da rappresentazioni digitali (sfruttando ad esempio le potenzialità della realtà virtuale) o duplicati con la stampa 3D. Partendo dalla mappatura, la paleo-artista Elisabeth Daynes ha ricostruito poi il volto in 3D della regina: un processo meticoloso che ha richiesto circa 500 ore di lavoro. Infine, i designer dell'atelier Dior hanno completato il lavoro progettando per Nefertiti gioielli fatti a mano, partendo delle illustrazioni geroglifiche che la ritraggono. Il risultato è stupefacente, ma non sono mancate le polemiche: l'imaging 3D infatti ha riprodotto perfettamente la struttura facciale della mummia, ma non l'incarnato e il colore degli occhi, affidati all'interpretazione dell'artista. Alcuni hanno così criticato la scelta di riprodurre Nefertiti con la pelle così chiara. Nonostante le critiche, la straordinaria scultura fornisce una rappresentazione accurata del suo aspetto andando ad aggiungere un altro tassello nella storia delle dinastie egiziane. Nefertiti è ricordata come una delle donne più belle della storia, ha governato durante uno dei periodi più prosperi del mondo antico. Ma come molte delle figure femminili più importanti della storia, la sua eredità è stata oscurata. La regina egizia ha governato a fianco del marito Akhenaton dal 1351 a.C al 1334 a.C. Il suo nome significa “la bella è arrivata” ed esso si riferisce alla funzione divina della regina, che è vista come l’incarnazione di una dea lontana, ritornata per poter donare il suo amore al Faraone. Durante il loro regno, i due coniugi cercarono di imporre una religione di stampo enoteistico, la quale prevedeva la superiorità del dio Aton nei confronti di tutti gli altri dei. Il busto originale di pietra calcarea non riporta alcuna iscrizione in geroglifici. Ha potuto tuttavia essere identificato come il ritratto di Nefertiti sulla base della caratteristica corona, che Ludwig Borchardt definiva "parrucca", in analogia con altre raffigurazioni. La scultura appartiene al periodo del re Akhenaton, perciò alla diciottesima dinastia (Nuovo Regno). Nell'ambito del periodo di Amarna, la creazione dell'opera, sulla base delle sue caratteristiche formali, è attribuita alla cosiddetta "tarda fase di Amarna", che coincide con gli ultimi anni del regno di Akhenaton. di Camilla De Acutis Nel settembre del 1940, un giovane di nome Marcel Ravidat scoprì una cavità nella collina di Lascaux. Quattro giorni dopo, accompagnato da alcuni amici, si addentrava nella grotta, e così si scoprirono le famosissime pitture rupestri. Maurice Thaon, professore del Collège de France ed esperto d’arte parietale, eseguì i primi disegni e schizzi delle pareti affrescate. Gli affreschi della grotta, realizzati con colori naturali applicati con le dita, datano a 17 mila anni fa e riproducono complessivamente 600 animali, di cui 355 cavalli, un centinaio di bovini tra bisonti e i vitelli uri, 90 cervidi, 35 stambecchi, alcuni felini, un orso e una renna. La grotta di Lascaux fu aperta al pubblico nel 1948; fin dai primi anni, essa attirò un grandissimo numero di visitatori. Tuttavia, a causa del grande afflusso, l’anidride carbonica emessa dagli stessi visitatori cominciò a danneggiare le pareti rupestri. Dunque, per salvaguardare e preservarne le pitture, André Malraux, allora Ministro della Cultura, ne decise la chiusura il 18 aprile del 1963. La grotta di Lascaux, denominata la “Cappella Sistina della preistoria”, fu riconosciuta Patrimonio Unesco nel 1979. In seguito alla chiusura nacque l’idea di realizzare una riproduzione identica all’originale ad un centinaio di metri dalla vera, e così, nel 1983, Lascaux II venne aperta al pubblico e fu la prima riproduzione al mondo di una grotta. Lascaux II. Fu dunque realizzata dal Centro internazionale dell'arte parietale una riproduzione di quasi tutta la grotta di Lascaux dove sono riproposti il 90% dei dipinti originali e le due gallerie più celebri del sito: la “Sala dei Tori” e il “Diverticolo Assiale”. Questa replica venne costruita sulla stessa collina della grotta originale, a pochi metri di distanza. Fin dalla sua apertura, Lascaux II ha ricevuto più di 10 milioni di visitatori. Lascaux III. Poiché Lascaux II riproduce solamente due delle gallerie della grotta originale, nel 2012 si decise di riprodurre altre cinque parti della grotta che da allora vengono esposte in occasione di mostre itineranti, presso i musei di tutto il mondo. La prima tappa fu a Bordeaux nell’ottobre del 2012. Nel marzo del 2013 fu la volta del Museo di Storia Naturale di Chicago. Quindi: Montréal, Bruxelles, Parigi, Genova, Corea del sud, Tokyo, Fukuoka. Si dice che la mostra itinerante non ritornerà in Francia prima del 2020. Lascaux IV. Il progetto Lascaux IV è consistito nel realizzare un'immensa replica di 900 metri quadri della grotta conosciuta come la “Sistina della Preistoria”, che fu aperta al pubblico il 10 dicembre del 2017. Si tratta di un museo che raccoglie i visitatori in un'esperienza formativa ed espone le pitture rupestri di Lascaux. L'architettura è stata concepita come una rivisitazione contemporanea della grotta e ed è stata realizzata da Snøhetta e SRA, insieme alla scenografa Casson Mann e un team di archeologi. Il percorso di visita dura circa due ore e mezza, e si viene accompagnati da un mediatore che all’arrivo consegna dei tablet interattivi: si giunge al Belvedere dove il pubblico, attraverso un particolare procedimento immersivo, prima viene proiettato, per così dire, nel paesaggio di Lascaux di 20 000 anni fa. Viene poi mostrato lo stesso paesaggio com'era nel 1940, anno in cui fu scoperta la grotta; quindi i visitatori entrano nella grotta dove è stata persino ricreata la stessa atmosfera umida della grotta originale, insieme al buio e ai suoni ovattati. La riproduzione dei dipinti è stata curata da “Perigord Facsimile Studio”, da “Artistic Concrete Atelier” e, infine, Dal laboratorio specializzato di Madrid, “Factum Arte”, diretto da Adam Lowe. Nel Teatro dell'Arte Parietale, grazie a due schermi giganti e degli occhiali 3D, si osserva un film diviso in tre atti in cui viene esplorata la grotta nei minimi dettagli e vengono confrontate le pitture rupestri con i capolavori dell'arte parietale. Sitografia:
di Carlo Dell'Erba Nell’ambito della Biennale di Venezia del 2015, aperta al pubblico dal 9 maggio al 22 novembre, la mostra “Codice Italia” era ospitata all’interno del padiglione italiano, allestita da Giovanni Francesco Frascino, per quanto riguardava il progetto espositivo, e curata da Vincenzo Trione, docente universitario, collaboratore del “Corriere della Sera” e curatore di numerose mostre in musei italiani e stranieri. Sono stati invitati a esporre artisti diversi, accomunati dall’idea di rivolgere attraverso le loro opere e usando linguaggi diversi – pittura, scultura, disegno, fotografia, video, performance, cinema – uno sguardo sui momenti diversi della storia dell’arte italiana. Scriveva il curatore: “Pur seguendo strade differenti, gli artisti di Codice Italia vogliono reinventare i media e, insieme, frequentano in maniera problematica materiali iconografici e culturali già esistenti. Anche se in sintonia con gli esisti più audaci della ricerca artistica internazionale, si sottraggono alla dittatura del presente. Codice Italia vuole riattraversare significative regioni dell’arte italiana di oggi, facendo affiorare alcune costanti: assonanze poco manifeste, corrispondenze inattese, ripercorre rilevanti esperienze poetiche contemporanee, con l’intento di delineare i contorni di quella che, al di là di tante oscillazioni rimane l’identità italiana”. Insieme ai quindici artisti italiani, Trione ha chiamato a esporre le loro opere e a rendere omaggio al nostro Paese anche tre importanti artisti stranieri: il francese Jean-Marie Straub, il sudafricano William Kentridge e il gallese Peter Greenaway. Quest’ultimo parallelamente all’attività di regista cinematografico, iniziava sin dagli anni Novanta ad esporre soprattutto installazioni multimediali in numerose città europee. La sua arte, così come testimoniano i suoi film, è caratterizzata da un forte impatto visivo e da tematiche estreme come la sessualità e la morte: è l’arte stessa, intesa come strumento per interpretare la realtà, a diventare oggetto di riflessione alla base dei suoi lavori. Per quanto riguarda la pittura Greenaway è attratto specialmente dal Manierismo e dal Barocco, ritenendoli epoche molto affini alla nostra, in particolar modo perché in età manieristica e in età barocca non si fece altro che rielaborare spunti e motivi provenienti da età precedenti, come quella antica e quella rinascimentale. Greenaway è attratto soprattutto dalle opere di Bronzino, Veronese, Tiepolo. Il suo interesse per la storia della pittura si concretizza nel suo linguaggio cinematografico, a partire dalle singole inquadrature dei suoi film: queste sono realizzate come opere pittoriche, sia che si tratti di sceneggiature semplici e spoglie, sia che, al contrario, si tratti di scenari ridondanti e barocchi. L'obiettivo del regista non è quello di impressionare o emozionare lo spettatore con l'intreccio narrativo o con la spettacolarità dei suoi film, quanto quello di privilegiarne l'impatto visivo. Il suo desiderio è quello di far immergere chi osserva dentro il suo universo simbolico di forme, di sommergerlo con una serie infinita di dettagli e indizi, disseminati lungo tutte le sue inquadrature e facendo in modo che da ogni particolare sia possibile sempre dedurre nuove aperture e suggestioni. Greenaway, come Kentridge e Straub non fa altro che proporre una personale interpretazione del passato attraverso l’utilizzo di strumenti nuovi ed innovativi. Così a Venezia, nel 2015, Greenaway ha voluto proporre un vero e proprio viaggio attraverso la storia della pittura, dagli affreschi di Pompei ai dipinti di Morandi, passando per Leonardo, Raffaello e Michelangelo: il regista ha estratto una serie di "tasselli visivi" (libri, mani, sangue, occhi) per ricomporli inesieme mettendoli in dialogo tra loro. A proposito di questa installazione multimediale, Greenaway ha spiegato, in una sua intervista (https://www.youtube.com/watch?v=NKRTMKB2ijw) la sua idea di arte e, in particolare, il suo rapporto con l’Italia. |
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Marzo 2024
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