di Carlo Dell'Erba Nell’ambito della Biennale di Venezia del 2015, aperta al pubblico dal 9 maggio al 22 novembre, la mostra “Codice Italia” era ospitata all’interno del padiglione italiano, allestita da Giovanni Francesco Frascino, per quanto riguardava il progetto espositivo, e curata da Vincenzo Trione, docente universitario, collaboratore del “Corriere della Sera” e curatore di numerose mostre in musei italiani e stranieri. Sono stati invitati a esporre artisti diversi, accomunati dall’idea di rivolgere attraverso le loro opere e usando linguaggi diversi – pittura, scultura, disegno, fotografia, video, performance, cinema – uno sguardo sui momenti diversi della storia dell’arte italiana. Scriveva il curatore: “Pur seguendo strade differenti, gli artisti di Codice Italia vogliono reinventare i media e, insieme, frequentano in maniera problematica materiali iconografici e culturali già esistenti. Anche se in sintonia con gli esisti più audaci della ricerca artistica internazionale, si sottraggono alla dittatura del presente. Codice Italia vuole riattraversare significative regioni dell’arte italiana di oggi, facendo affiorare alcune costanti: assonanze poco manifeste, corrispondenze inattese, ripercorre rilevanti esperienze poetiche contemporanee, con l’intento di delineare i contorni di quella che, al di là di tante oscillazioni rimane l’identità italiana”. Insieme ai quindici artisti italiani, Trione ha chiamato a esporre le loro opere e a rendere omaggio al nostro Paese anche tre importanti artisti stranieri: il francese Jean-Marie Straub, il sudafricano William Kentridge e il gallese Peter Greenaway. Quest’ultimo parallelamente all’attività di regista cinematografico, iniziava sin dagli anni Novanta ad esporre soprattutto installazioni multimediali in numerose città europee. La sua arte, così come testimoniano i suoi film, è caratterizzata da un forte impatto visivo e da tematiche estreme come la sessualità e la morte: è l’arte stessa, intesa come strumento per interpretare la realtà, a diventare oggetto di riflessione alla base dei suoi lavori. Per quanto riguarda la pittura Greenaway è attratto specialmente dal Manierismo e dal Barocco, ritenendoli epoche molto affini alla nostra, in particolar modo perché in età manieristica e in età barocca non si fece altro che rielaborare spunti e motivi provenienti da età precedenti, come quella antica e quella rinascimentale. Greenaway è attratto soprattutto dalle opere di Bronzino, Veronese, Tiepolo. Il suo interesse per la storia della pittura si concretizza nel suo linguaggio cinematografico, a partire dalle singole inquadrature dei suoi film: queste sono realizzate come opere pittoriche, sia che si tratti di sceneggiature semplici e spoglie, sia che, al contrario, si tratti di scenari ridondanti e barocchi. L'obiettivo del regista non è quello di impressionare o emozionare lo spettatore con l'intreccio narrativo o con la spettacolarità dei suoi film, quanto quello di privilegiarne l'impatto visivo. Il suo desiderio è quello di far immergere chi osserva dentro il suo universo simbolico di forme, di sommergerlo con una serie infinita di dettagli e indizi, disseminati lungo tutte le sue inquadrature e facendo in modo che da ogni particolare sia possibile sempre dedurre nuove aperture e suggestioni. Greenaway, come Kentridge e Straub non fa altro che proporre una personale interpretazione del passato attraverso l’utilizzo di strumenti nuovi ed innovativi. Così a Venezia, nel 2015, Greenaway ha voluto proporre un vero e proprio viaggio attraverso la storia della pittura, dagli affreschi di Pompei ai dipinti di Morandi, passando per Leonardo, Raffaello e Michelangelo: il regista ha estratto una serie di "tasselli visivi" (libri, mani, sangue, occhi) per ricomporli inesieme mettendoli in dialogo tra loro. A proposito di questa installazione multimediale, Greenaway ha spiegato, in una sua intervista (https://www.youtube.com/watch?v=NKRTMKB2ijw) la sua idea di arte e, in particolare, il suo rapporto con l’Italia.
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Marzo 2024
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