di Carmelo Occhipinti Gli scienziati, chimici, fisici, informatici, ingegneri, biologi stanno mettendo a disposizione degli umanisti strumenti di indagine tecnologica sempre più avanzati che, nei confronti del settore dei beni culturali, spalancano prospettive straordinariamente vaste e seducenti, talvolta davvero stupefacenti!
Perciò sempre più necessarie diventano le occasioni di incontro e di dialogo, come quella che all’università di Roma “Tor Vergata” si è svolta, il 29 maggio 2020, sul tema de «Le Scienze e il Museo: Archeologia, Ingegneria, Chimica in un approccio interdisciplinare per fruire i Beni Culturali nello spazio Museo che li conserva», a cura di Federica Bertini (Dipartimento di Studi Letterari, filosofici e di storia dell’arte) e Federica Valentini (Dipartimento di Scienze e tecnologie chimiche), nell’ambito del master post-universitario da me coordinato in «Nuove tecnologie per la comunicazione, il cultural management e la didattica della storia dell’arte». Simili preziosissime occasioni di confronto serviranno a far capire a tutti noi – scienziati e umanisti – per quale via possa essere costruito il mondo di domani. Ma anche per interrogarci sul ruolo che dovrà avere l’umanista nella società del futuro, che sarà sempre di più dominata dall’innovazione tecnologica, dagli algoritmi, dall’intelligenza artificiale, dal marketing: a cosa serviranno gli archeologi e gli storici dell’arte quando a occuparsi di beni culturali, di reperti antichi, di monumenti artistici e di testi letterari saranno sempre di più gli scienziati, chimici, fisici, informatici, ingegneri e biologi, e quando a scrivere la storia dell’umanità saranno i genetisti piuttosto che i letterati? Ebbene, occasioni come quella del 29 maggio scorso aiuteranno gli umanisti a porsi alcuni nuovi interrogativi imparando ad ascoltare gli scienziati – certo! –, ma anche facendo loro sentire la propria voce. Rivolgendosi agli scienziati, gli umanisti impareranno a dar loro una direzione, affinché tanti progetti tecnologici innovativi, così stupefacenti e ammirevoli, vengano davvero messi al servizio della ricerca umanistica anziché ‘disumanizzarsi’, diciamo così, fino a perdere di vista quel valore irrinunciabile su cui dovrebbe trovare fondamento qualsivoglia progetto di società del futuro: il valore propriamente umanistico – appunto – della centralità dell’uomo rispetto al moderno panorama globalizzato e multimediale che, purtroppo, appare invece sempre più segnato dalla emarginazione dell’individuo, dove persino il principio di autodeterminazione individuale viene mortificato dalle logiche preminenti dell’innovazione dei sistemi produttivi e di mercato. Cerco di spiegarmi. Lo storico dell’arte avrà il dovere di avvertire gli scienziati che l’abitudine alla fruizione digitale del patrimonio artistico proveniente dal passato sta producendo una mostruosa perdita di senso storico specialmente tra i più giovani, compromettendone gravemente le facoltà sensoriali, inibendo le capacità di percezione ‘aptica’, irrigidendo le facoltà di giudizio, rendendo tutti noi, alla fine, sempre più indisponibili verso modi di vedere e linguaggi diversi, ovvero verso punti di vista storicamente condizionati e distanti da noi. Una così grande fiducia, da parte di tutti noi, nella comunicazione digitale rischia altresì di compromettere la nostra capacità di pensare e – paradossalmente! – di comunicare, cioè di confrontarci tra di noi, di servirci delle parole stesse di cui la nostra lingua è immensamente ricca per esprimerci, anche quando proviamo a riferirci alle stesse opere d’arte – quelle vere! – non appena le vediamo, per parlarne, per dire cosa esse ci comunicano… Una tale fiducia negli strumenti di indagine innovativa del patrimonio artistico rischia dunque di inibire la nostra capacità di rapportarci – direttamente e ‘immediatamente’ – ai capolavori dell’arte e della letteratura provenienti dal nostro passato, rispetto ai quali i giovani di oggi si sentono sempre più smarriti e disorientati, ove non vengano loro stessi supportati dai dispositivi tecnologici della memoria virtuale, oppure dagli strumenti della visione artificiale che permettano loro di ‘vedere’, appunto, al di là di quello che i nostri occhi – limitatamente umani – sono capaci di vedere. Finiamo così per convincerci che i nostri nudi e poveri occhi non vedano più niente, che non sappiano giudicare alcunché senza l’aiuto delle più sofisticate apparecchiature tecnologiche, dato che grazie ad esse riusciamo a vedere tutto e meglio. In tal senso la fiducia così sfrenata che negli ultimi anni abbiamo nutrito nei confronti del progresso e dell’innovazione tecnologica ha prodotto un terrificante degrado umano, culturale, sociale. Ebbene lo storico dell’arte avrà il dovere di ricordare a tutti, non solo agli scienziati, che per ‘vedere’ meglio le opere d’arte, per valorizzare davvero il patrimonio storico-artistico in seno alla moderna società multimediale e globalizzata, dovremmo tutti noi rieducarci alla visione: ma rieducarci alla visione non significa affidarci ancora di più ai supporti tecnologici, a questi sofisticatissimi strumenti che permettono di potenziare la nostra vista facendoci scrutare, in direzione di ciò che è immensamente piccolo, al di là della superficie visibile, dentro la infinita profondità della materia. Significa, piuttosto, imparare a chiudere i nostri occhi, per poter vedere meglio, dentro di noi, il mondo che ci circonda, il nostro stesso passato che vive nel presente, senza il quale noi non ci saremmo, né saremmo come siamo: e, dunque, per poter vedere le opere d’arte con tutto noi stessi. Rieducarci alla visione significa imparare a recuperare il valore del nostro sguardo interiore, limitato e storicamente condizionato, perché solo dopo avere ritrovato noi stessi impareremo a capire gli altri, a comprendere i linguaggi e i modi di vedere più diversi nonché, alla fine, a dare il giusto valore anche ai potentissimi strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione. Solo così non rischieremo di diventare noi stessi strumento della tecnologia, sacrificando la nostra stessa 'umanità' alle logiche produttive che sono profondamente disumane, selvaggiamente antiumanistiche! Rieducarci alla visione significa renderci conto che il nostro sguardo è e sarà sempre più potente di quello della macchina, proprio perché più ‘limitato’. E che la nostra fragilità ci rende di gran lunga più forti della macchina, perché nella nostra limitatezza appunto, nella nostra vulnerabilità, nella nostra inclinazione all’errore noi siamo infiniti. Rieducarci alla visione significa riscoprire proprio la nostra infinita, immensa profondità di esseri umani. Significa ritrovare la nostra dignità. Significa recuperare una nostra memoria storica, minacciata da questa sconfinata fiducia nel futuro e nella rivoluzione tecnologica che, azzerando il passato, ci conduce nientemeno che a ritenere l’uomo stesso, ormai, come obsoleto, superato, antico. Significa recuperare quello sguardo che sulle opere d’arte, lungo le epoche del passato, hanno saputo rivolgere gli uomini che ci hanno preceduti, capaci talvolta di vedere molto meglio di noi, dato che che i sofisticatissimi strumenti tecnologici di cui disponiamo impoveriscono paradossalmente la nostra capacità di ‘vedere’, mortificando il nostro stesso senso di libertà. Imparare a guardare le opere d’arte con gli occhi, per esempio, di Leonardo da Vinci, di Giorgio Vasari, di Johann Joachim Winckelmann significa capire quanto ci siamo oggi impoveriti. Quanto la nostra umanità si sia ridotta, grazie a questa meravigliosa rivoluzione digitale! Ma attenzione: a proposito dei beni culturali e del patrimonio artistico, non ci sarà progetto tecnologico che possa davvero definirsi come ‘innovativo’, ove non si trovino attivamente coinvolti degli umanisti. Bisogna, insomma, che gli umanisti tornino a reggere il timone per evitare il baratro inesorabile nel quale la rivoluzione tecnologica sta facendoci precipitare.
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di Valeria Ferranti (di CliccArte) Avreste mai pensato che anche le opere d'arte potessero andare dal dottore? No, non intendo la fase del restauro, perché si sa che (ormai già da qualche anno) le moderne tecnologie corrono in soccorso dei manufatti più malmessi, su cui il tempo e l'incuria hanno lasciato tracce indelebili. Intendo, proprio, andare dal medico di base o da uno specialista, per farsi fare qualche controllino, insomma, una sorta di check-up completo: ebbene, da un po' di tempo è possibile anche questo. Un noto anatomopatologo di Palermo, Vito Franco, si è cimentato in un'impresa bizzarra quanto complessa: appassionato d'arte, ha provato a trattare i soggetti delle tele dipinte come veri e propri pazienti in carne ed ossa, andando alla ricerca della patologia "nascosta" anche quando questa non è il soggetto dichiarato dell'opera. Un esercizio di osservazione critica dell'immagine che è risultato un ottimo metodo per incrementare l'attitudine dei giovani medici a guardare, più che vedere, ciò che si trovano davanti. Un recente studio ha dimostrato in effetti come gli studenti delle accademie di Belle Arti o di discipline artistiche abbiano sviluppato in modo preponderante rispetto ai loro coetanei un occhio "clinico" che diventa poi critico, grazie ai costanti esercizi di osservazione e descrizione minuziosa di quadri, statue o architetture; dunque, una loro iniziale presenza accanto ai colleghi medici, sarebbe auspicabile proprio per allenare questi ultimi ad un utilizzo più consapevole dei dati visivi, a prestare maggiore attenzione alla valutazione del contesto sociale da cui proviene il paziente, a stabilire un'empatia maggiore con lo stesso. E tutto questo grazie alla storia dell'arte, oggi considerata un mondo distante dalla medicina, ma da secoli sua fedele ancella: non possiamo dimenticare gli studi anatomici di pittori del calibro di Pollaiolo, Leonardo, Raffaello, i grovigli di corpi morti del Gericault, la ben nota "Lezione di anatomia del dottor Nicolaes Tulpo" di Rembrandt o i disegni dei veri e propri anatomisti, come Andrea Vesalio. Per anni l'arte è stata l'occhio vigile della scienza medica e può continuare ad esserlo tuttora: l'osservazione attenta attiva in modo istintivo meccanismi di ragionamento logico che possono fare la differenza quando ci sono solo pochi secondi a disposizione per salvare una vita umana. Allo stesso modo, la scienza medica decifra e dà ragione di esistere a dettagli apparentemente insignificanti, attribuiti magari alla fantasia del pittore; si chiama Iconodiagnostica ed è la disciplina che applica la diagnosi medica allo studio delle opere d'arte, per rintracciare eventuali segni di patologie o stati morbosi nel soggetto raffigurato. Questa pratica nasce nel 1983 grazie ad un'intuizione dalla psichiatra di Harvard Anneliese Pontius, intenta a studiare le statue ritrovate sulle isole dell'arcipelago di Cook, che dimostrò perciò la presenza della Sindrome di Crouzon tra gli abitanti della zona. È così che la Gioconda di Leonardo deve rivedere tutta la sua dieta, perchè risulta affetta da ipercolesterlomia e ipertrigliceridemia: lo si deduce dalla presenza di uno xantelasma (rigonfiamento) nell'angolo interno dell'occhio sinistro e da un lipoma (accumulo di grasso sottocutaneo) sulla mano destra in primo piano. Lo studio sulla Gioconda del Prado a Madrid, attribuita ad un allievo del Da Vinci, ha evidenziato inoltre la presenza, stavolta sulla mano destra della donna, di un livido lasciato probabilmente da uno dei numerosi salassi subiti dalla modella: il dettaglio è compatibile con la biografia di Bianca Sforza, ipotesi che fa propendere gli esperti nell'identificarla come il soggetto della tela. E che dire della vecchia ritratta dal Caravaggio nella Crocifissione di sant'Andrea con quello che si dice "gozzo tiroideo", cioè il segno tangibile che i contadini medievali facessero uso di acqua piovana, attinta da cisterne e dunque povera di iodio? Raffaella Biancucci, con i suoi colleghi dell'Università di Torino, ha pubblicato su "The Lancet Oncology" una ricerca che dimostra come nella "Fornarina" di Raffaello, ne "La notte" del Ghirlandaio, trasposizione pittorica della scultura di Michelangelo per la tomba di Giuliano de' Medici nella Sagrestia Nuova a Firenze, ci siano rappresentazioni inconsapevoli del tumore femminile alla mammella; oltre a questi, potremmo fare altri numerosissimi esempi. Ecco dunque come arte e medicina non ci appaiono più così distanti e mi auspico che, almeno in un futuro prossimo, potranno tornare ad essere le sorelle di una volta. di Lucrezia Lucchetti Ascoltando una video-lezione del master dell’università di Tor Vergata del Professor Occhipinti riguardo la didattica innovativa della Storia dell’Arte, oltre alla miriade di nozioni e informazioni utilissime che mi venivano trasmesse, sono rimasta colpita particolarmente da un concetto: a partire dalle lectio di San Tommaso e Alberto Magno, fino a risalire alla riforma dell’istruzione di Alcuino di York, in età carolingia, per poi arrivare, molto dopo, all’apprendimento del mestiere nelle botteghe degli artisti, ovunque in queste diverse ambientazioni l’impetuosa volontà di imparare non avrebbe potuto prescindere da un senso di rispetto verso precetti che venivano insegnati. L’allievo ai tempi nutriva dentro di sé, e riservava verso il proprio docens, un timore reverenziale, lieve e sincero, un senso di umiltà e di soggezione, ma anche di ammirazione verso il proprio maestro. I discenti di San Tommaso nutrivano profondissima ammirazione nei suoi confronti, così come lo stesso San Tommaso verso Alberto Magno, suo maestro; nella bottega di Baccio Bandinelli tutti pendevano dalle labbra dello scultore fiorentino che – come ci mostra il prof. Occhipinti – spiegava il rapporto luce-ombra attraverso l’osservazione di una statuetta; nelle Accademie che sarebbero diventate pubbliche non si sarebbe mai messa in discussione l’autorevolezza del magister, impegnato a tenere le sue lezioni di fronte agli allievi. Oggi le metodologie per l’insegnamento sono cambiate e insieme a loro si è esaurito, fino a non trovarlo più, quel timore reverenziale nei confronti del docente.
Ma procediamo per gradi. Innanzitutto per capire i pro e i contro della didattica digitale dobbiamo dirci che la classica lezione frontale, che San Tommaso e tanti altri conducevano accompagnandosi con i gesti, rischia di apparire ai nostri giorni – oggi che esistono nuovi canali di trasmissione, diversi da quelli tradizionali – obsoleta, noiosa, poco attrattiva e anche poco utile per gli studenti. Questo è anche conseguenza della ricerca di sempre nuove metodologie per l’apprendimento attivo, quali il cooperative learning, il role playing, la ricerca-azione, le tecniche di discussione, il metodo dei casi e così via, che fanno parte oggi della maggior parte dei curricula scolastici. Ma si parla oggi addirittura di ribaltare la scuola, servendosi in particolar modo della tecnica cosiddetta flipped classroom. Maurizio Maglione se ne fa promotore da diversi anni. Il docente spiega attraverso una videolezione che i ragazzi dovranno ascoltare a casa, con la possibilità di stoppare e rivedere il contributo tutte le volte necessarie, cosicché la mattina dopo, a scuola, possano svolgersi i compiti a riguardo. La lezione viene elaborata, viene metabolizzata e il lavoro che andava fatto a casa si svolge in classe, magari anche in gruppo. Il professore non sta seduto in cattedra mentre gira i pollici, ma gira tra i banchi, controlla, coinvolge, aiuta. Da sempre la trasmissione del sapere è avvenuta, oltre che sui libri, attraverso la modalità dell’insegnamento frontale. La fiducia nell’innovazione implica un discredito verso la tradizione, ma anche verso i valori dell’umanesimo ritenuti ormai superati: ne deriva il crescente discredito nei confronti del professore che, parlando dall’alto della sua cattedra, non dice altro che dei bla bla bla, insensati e pedanti. Al di là dell’incontro tra Storia dell’Arte e tecnologia – che negli ultimi anni ha aperto nuove ed in inimmaginabili prospettive – la didattica delle discipline storico-artistiche, come in generale accade in tutti gli ambiti dell’insegnamento, soffre della crescente sfiducia dei giovani e delle loro famiglie nei confronti delle istituzioni scolastiche. Oggi sembra che si voglia far passare l’idea che i ragazzi siano in grado di fare tutto da soli, che non abbiano bisogno dei loro insegnanti, dei maestri. Quell’atteggiamento di rispetto e di deferenza, ma soprattutto di fiducia, che una volta era dovuto verso la figura dell’insegnante oggi tende a scomparire del tutto: accade anzi che i genitori, invece di comprendere e appoggiare il ruolo dei docenti, difendono a spada tratta i figli e i loro comportamenti, anche se abominevoli e condannabili. Si finisce così per pensare alla scuola come ad un luogo dominato da schemi e regole che imprigionano i ragazzi, privandoli della possibilità di esprimersi liberamente: il che è un paradosso, dato che la scuola dovrebbe invece essere il luogo in cui i ragazzi debbano imparare a essere liberi. Si crede che non si abbia più bisogno dei maestri, che bastino i pc, i tablet e internet, e che così si possa imparare in autonomia. D’altronde, negli ultimi anni l’insegnamento della Storia dell’Arte è sempre più marginale: c’è chi vuole addirittura abolirlo nei licei perché ritenuto inutile. E pensare che Adolfo Venturi con l’inserimento della disciplina storico-artistica nell’istruzione liceale e con il riconoscimento di una dignità universitaria alla Storia dell’Arte, aveva creato a parer suo e di coloro che ne abbracciarono il progetto, un punto di non ritorno. Intervista a Monica Di Gregorio di Federica Bertini In questo periodo se ne è parlato molto. Molteplici sono state le iniziative che i grandi musei hanno messo in atto per continuare a comunicare con il loro pubblico attraverso i social network e il Web: dalle “Passeggiate al museo” del direttore del Museo Egizio di Torino, alle tante proposte delle Gallerie degli Uffizi, tra cui il progetto Uffizi Decameron, o ancora della Pinacoteca di Brera con #MyBrera[1]. Non dobbiamo però dimenticare che l’Italia «vanta 4.908 tra musei, aree archeologiche, monumenti e ecomusei aperti al pubblico». Si tratta di un patrimonio diffuso su tutto il territorio; infatti «in un comune italiano su tre (2.311) è presente almeno una struttura a carattere museale. Ce ne è una ogni 50 Kmq e una ogni 6 mila abitanti»[2]. In altre parole, oltre ai poli di maggiore attrazione esistono luoghi ed istituzioni di interesse culturale che operano nei medi e piccoli comuni italiani, alcuni dei quali sono inseriti in sistemi di gestione comune. È il caso del Sistema Museale Territoriale del Castelli Romani e Prenestini[3], noto anche come Museum Grand Tour: si tratta – come ci racconta Monica Di Gregorio, coordinatrice del comitato scientifico del Sistema e direttrice del Museo Civico di Olevano Romano e del Museo Civico di Palazzo Doria Pamphilij a Valmontone – di «una rete che unisce oltre 20 servizi culturali tra Musei e siti archeologici, in un’area molto ampia e diversificata, sia dal punto di vista culturale che geomorfologico». Quella del Sistema Museale rappresenta una testimonianza utile a comprendere le difficoltà che le istituzioni culturali del territorio, anche quelle più piccole, hanno dovuto affrontare in questi mesi e quali soluzioni esse hanno potuto mettere in gioco. Monica Di Gregorio ci ha tenuto più volte a sottolineare un aspetto importante: i singoli rappresentanti delle realtà che fanno parte del Museum Grand Tour hanno affrontato in maniera congiunta la “Fase 1” e allo stesso modo si stanno preparando alla “Fase 2”. Uno dei vantaggi – continua la coordinatrice – di lavorare in una rete museale è quello di poter affrontare in maniera collegiale i problemi che accomunano i musei e i siti che ne fanno parte, adottando soluzioni di “rete”, pur rispettando la libera iniziativa di ciascuno di essi. Non possiamo negare che il Covid-19 ha determinato un’accelerazione nell’adozione di strategie e strumentazioni digitali nel campo della cultura. Anche il Sistema Museale, che aveva già iniziato a guardare in questa direzione aggiudicandosi alcuni finanziamenti regionali, ha approfittato del lockdown per iniziare il rifacimento del sito web e per riprogettare il proprio piano di comunicazione – anche attraverso i canali social – in previsione dei cambiamenti che continueranno ad investirlo nei prossimi mesi. Tra le diverse iniziative messe in atto durante la “Fase 1”, Monica Di Gregorio ha ricordato la rubrica #museichecurano dove le realtà museali del Sistema hanno condiviso, attraverso le proprie pagine Facebook e quella ufficiale del Museum Grand Tour[4], dei video promozionali, alcuni dei quali realizzati nel 2015 e altri appositamente creati per l’occasione sotto il nome di “Eccellenze in pillole”. Ad essere rese liberamente accessibili sono state poi le edizioni digitali di alcuni progetti editoriali. Non sono mancate le attività dedicate ai più piccoli, soprattutto in relazione all’impegno del Museo del Giocattolo di Zagarolo che ha proposto alcune attività laboratoriali creative, letture d’autore, e le iniziative chiamate “Pillole di museo” e #GiochiArteLetteratura, attraverso le quali sono stati descritti alcuni dei pezzi più importanti della collezione attraverso racconti che ripercorrono la storia e la letteratura. Insomma i musei del Sistema hanno tenuto vivo il rapporto con il loro pubblico, hanno fatto le loro promesse in vista della riapertura. Tuttavia, all’alba della “fase 2” le criticità si sono fatte sentire. Anche in questo caso il Sistema ha stabilito un tavolo di confronto mettendo in evidenza la necessità di fronteggiare l’esigenza del distanziamento sociale negli ambienti esigui che caratterizzano molte delle realtà museali in esso coinvolte. Da qui la decisione di concentrare le aperture nel weekend e di contingentare il numero dei visitatori attraverso specifici sistemi di prenotazioni. C’è però da sottolineare un vantaggio che è legato al territorio in cui opera il Museum Grand Tour. Come ci tiene a riferire Monica Di Gregorio, è possibile allargare l’offerta culturale estendendola verso una valorizzazione dei percorsi all’aperto, sia nel centro storico che nei suggestivi luoghi naturalistici della rete museale. D’altronde, per secoli gli splendidi paesaggi di questo territorio, colmi di storia e di rovine, memorie di un passato ricco di fascino e di storia, furono scelti, a partire dal Cinquecento, come meta privilegiata da artisti, letterati e uomini di cultura durante il loro viaggi in Italia. Un esempio di “ri-progettazione” quello, appunto, del Museum Grand Tour, dove – prendendo in prestito le parole dello storico dell’arte Edagrd Wind (1900-1970) – «il passato non viene distrutto dal presente, ma sopravvive in esso come forza latente». Intervista a Monica Di Gregorio, coordinatrice del comitato scientifico del Sistema Museale Territoriale dei Castelli Romani e Prenestini, direttrice del Museo Civico di Olevano Romano e del Museo Civico di Palazzo Doria Pamphilij a Valmontone. Potresti spiegarci come è composto e di cosa si occupa il Sistema Museale Territoriale dei Castelli Romani e Prenestini? Il Sistema Museale Territoriale dei Castelli Romani e Prenestini, anche detto MuseumGrandTour, è una rete che unisce oltre 20 servizi culturali tra musei e siti archeologici, in un’area molto ampia e diversificata sia dal punto di vista culturale che geomorfologico. Il Sistema fu istituito nel 2003 su iniziativa della Comunità Montana dei Castelli Romani e Prenestini e nel corso degli anni si è gradualmente esteso, fino a rappresentare, oggi, una delle realtà più importanti ed operative del territorio regionale. Con le loro collezioni ricche di testimonianze e di manufatti di grande pregio, i musei del Sistema esprimono la storia del territorio in un arco cronologico che inizia con le ere geologiche ed attraversa le tappe dell’evoluzione dell’uomo: le diverse tipologie museali (archeologica, storico-artistica, demoetnoantropologica, scientifica) propongono al visitatore un’offerta molto eterogenea, in cui l’approccio alla conoscenza del patrimonio culturale è mediato da apparati e attività didattiche multidisciplinari, da percorsi guidati e strumenti tecnologici in grado di attrarre l’interesse di un pubblico diversificato ed esigente. Cosa accomuna i musei che fanno parte di questo Sistema? Il filo conduttore tematico che lega i musei – anche molto distanti tra loro e tipologicamente differenti – è il fenomeno culturale del Grand Tour. A partire dalla fine del Cinquecento, la bellezza ed il fascino del territorio del Sistema resero questi luoghi tappa privilegiata dei percorsi di letterati, artisti, collezionisti e giovani aristocratici europei che intraprendevano il viaggio in Italia allo scopo di perfezionare la loro formazione intellettuale, così profondamente radicata nell’antico. La “fase 1” è giunta al termine. In questi mesi i musei hanno dovuto ripensare il loro modo di comunicare attraverso il Web e i social network, producendo nuovi contenuti o utilizzando risorse già in loro possesso. Prima del Covid-19 quali erano i vostri progetti? Era già in previsione una riprogettazione del museo virtuale? Ovviamente sì. Fermo restando la libera iniziativa che ciascun museo intraprende in tal senso dotandosi di dispositivi tecnologici e di canali di comunicazione dedicati ed adeguati alle proprie specificità, il Sistema ha partecipato nel 2018 al bando del DTC (Distretto Tecnologico per le tecnologie applicate ai beni e alle attività Culturali) aggiudicandosi un finanziamento di circa 80mila euro per la stesura del progetto esecutivo denominato “Visioni di paesaggio tra arte scienza e letteratura”. Peculiarità del bando è l’applicazione delle moderne tecnologie alla fruizione dei luoghi della cultura. All’interno degli obiettivi strategici e delle azioni che prevediamo di realizzare, vi è intanto la creazione di un portale dell’intero territorio inteso in senso di Distretto turistico del Castelli romani e Monti Prenestini, all’interno del quale i musei del Sistema avranno uno spazio di assoluto rilievo. Proprio in questo periodo di lockdown, abbiamo avviato il rifacimento del sito ufficiale della rete (www.museumgrandtour.org), che già da tempo necessitava di un’operazione di “restyling”. In un’ottica di sperimentazione del ventaglio di opportunità offerte dall’innovazione tecnologica, nel 2017, nell’ambito di un progetto finanziato dalla Regione Lazio, il Sistema si è dotato di un FabLab acquistando strumentazione di base (programmi, pc e stampanti 3D) necessaria a realizzare oggetti delle nostre collezioni da file digitali. A tal fine abbiamo innanzitutto formato i nostri operatori museali con un corso ad hoc e, successivamente, creato un team tra quelli più motivati che ha realizzato diverse azioni dimostrative sul territorio. Purtroppo l’attività del FabLab al momento è ferma per due motivi: innanzitutto la veloce obsolescenza a cui queste strumentazioni sono destinate. La tecnologia progredisce a ritmi vertiginosi e gli apparati vengono superati da modelli più efficienti ed avanzati in tempi molto veloci. Seconda ragione: la precarietà del lavoro che purtroppo caratterizza il mondo degli operatori culturali assegnati ai nostri musei, ha penalizzato la continuità e quindi la loro disponibilità a proseguire nelle attività. Quali sono le soluzioni che il Sistema Museale, grazie all’aiuto dei singoli musei, ha potuto mettere in atto per continuare a far sentire la propria presenza, anche se digitale, sul territorio? Uno dei vantaggi di far parte di un Sistema Museale è quello di poter affrontare in maniera collegiale i problemi che ci accomunano. Le difficoltà vengono condivise e analizzate all’interno di un dibattito spesso vivace e comunque sempre costruttivo. All’indomani del lockdown, a tutti noi direttori del comitato scientifico, è sembrato naturale e doveroso reagire a questo momento adottando soluzioni “di rete”. Per garantire una continuità – seppur virtuale – con il nostro pubblico, abbiamo immediatamente elaborato un piano di comunicazione con un calendario abbastanza serrato di iniziative destinate alla pagina Facebook ed in parte al sito. Abbiamo dato vita quindi ad una rubrica denominata #museichecurano, in cui sono stati pubblicati tutti i video promozionali del Sistema e dei singoli musei prodotti in una campagna del 2015. I musei che disponevano di ulteriori propri filmati, li hanno condivisi a loro volta sulla pagina del Museumgandtour. La proiezione dei filmati si è alternata alla condivisione di pagine pubblicate da ICOM e MiBact. Contemporaneamente abbiamo promosso alcune pubblicazioni del Sistema in digitale. È il caso del volume Aqua, edito dal Sistema lo scorso ottobre e relativo agli atti di un convengo svoltosi nel 2013 a Gallicano nel Lazio. La pagina Facebook ha lanciato un intervento diverso di giorno in giorno, preceduto da una breve introduzione del curatore della pubblicazione (Massimiliano Valenti), rimandando poi al sito del Sistema da dove era possibile scaricare il file digitale del saggio. C’è stata anche l’occasione di presentare la nuova Guida di Lanuvio, data alle stampe proprio in questi giorni e curata dal direttore del Museo Civico Lanuvino, Luca Attenni. Nell’ambito della rubrica #museichecurano, il 22 aprile abbiamo dato il via ad una serie di nuovi mini-filmati denominati “Eccellenze in pillole”. Grazie alla nostra addetta alla comunicazione, Simona Soprano, è stato possibile montare audio ed immagini forniti dai direttori di ciascun museo, che hanno selezionato un argomento di particolare interesse relativo alla loro collezione e lo hanno condiviso con la rete. La rubrica è tuttora in pieno svolgimento. Ogni museo, sui propri canali social, ha poi promosso iniziative individuali. Tra i musei più attivi sotto questo profilo, mi fa piacere segnalare ad esempio le azioni intraprese dal Museo del Giocattolo di Zagarolo che, per sua natura e tipologia di utenti, ha ideato giochi e letture molto divertenti ed indirizzate ad un pubblico giovanissimo. Ci prepariamo tutti alla “fase 2”. Quali criticità state riscontrando pensando alla riapertura, sia a livello di spazi che a livello di personale? Quali sono le soluzioni e le strategie che avevate pensato di attuare per permettere ai visitatori di tornare nei vostri musei in sicurezza? Il problema è molto complesso. Anche in questo caso, fare rete è stato sicuramente di grande aiuto a ciascuno di noi, quantomeno in termini di confronto. Stando alle direttive del MiBact, risulta quasi impossibile ipotizzare la riapertura delle nostre strutture per il 18 maggio: le misure e i dispositivi di sicurezza previsti per il personale ed i visitatori sono ovviamente necessari ma al tempo stesso difficili da applicare. Innanzitutto il rispetto del distanziamento sociale: molti dei nostri musei sono allestiti in ambienti piccoli, che permetterebbero l’accesso a gruppi composti da non più di cinque persone. La modalità di ingresso dovrebbe poi essere regolata da un sistema di prenotazioni che permetta una agevole gestione dei flussi. Per fronteggiare in parte questo problema, come Sistema abbiamo deciso di acquistare – per ciascun museo aderente – circa venti audio guide con cuffiette monouso. I visitatori in tal modo possono seguire la visita guidata rispettando le distanze. Tali strumenti possono tornare utili nella prospettiva di una diffusione del turismo di prossimità: la particolare situazione creata dal Covid-19 ci induce a pensare che i flussi turistici subiranno cambiamenti significativi. I musei del Sistema cercheranno quindi, andando tra l’altro incontro alla bella stagione, di estendere – laddove possibile – la visita verso percorsi all’aperto, magari all’interno del centro storico delle proprie città. In questo caso le audio guide rappresenteranno un utile strumento. Quali altri problemi dovrete fronteggiare al momento della riapertura? Un altro problema che i nostri musei dovranno affrontare è quello della sanificazione e del mantenimento di determinati standard di igiene. Oltre a fornire al personale i necessari dispositivi come guanti e mascherina, i comuni (enti gestori della gran parte dei nostri musei) dovranno garantire una igienizzazione costante dei locali e dei servizi igienici a disposizione del pubblico. Alla luce di queste considerazioni, quali sono state le decisioni che avete deciso di attuare? In quest’ottica e con queste misure, che giustamente vanno rispettate, molti dei nostri musei hanno programmato – per ora – una riapertura soltanto nei weekend. Dato il momento, non prevediamo infatti grandi affluenze di pubblico durante la settimana. In ultimo voglio segnalare che la Regione Lazio ha approvato da pochissimo il nuovo piano annuale dei servizi culturali (musei, archivi e biblioteche) prevedendo voci di costo destinate a nuove modalità di fruizione e di accesso in tempi di emergenza epidemiologica. Sono già stati pubblicati un paio di bandi che favoriscono, tra le altre cose, «il miglioramento delle condizioni di fruizione fisica e intellettuale del patrimonio anche attraverso lo sviluppo di modelli e strumenti di comunicazione e fruizione ispirati alle più recenti tecnologie digitali». [1] Per una breve analisi si rimanda a https://osservatorio-arte-tecnologia.weebly.com/reviews/il-museo-durante-e-dopo-la-pandemiasoluzioni-attuali-e-prospettive-future-per-il-museo-virtuale-on-line-e-in-situ . [2] Si veda L’Italia dei Musei, pubblicato il 28 dicembre 2019 on line https://www.istat.it/it/files/2019/12/LItalia-dei-musei_2018.pdf [3] http://www.museumgrandtour.org [4] https://www.facebook.com/museumgrandtour/ di Cetty Barbagallo Anche le Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma di Palazzo Barberini e Palazzo Corsini hanno deciso di aderire alla campagna #iorestoacasa, non solo proseguendo tutta una serie di iniziative già avviate da tempo, ma anche creandone di nuove, conservando così attiva la mission del museo. Il calendario settimanale è predisposto con i seguenti appuntamenti: Ogni lunedì, su Instagram, con l’hashtag #vistidavoi e #conivostriocchi vengono pubblicate sulla pagina social del Museo (Instagram: @BarberiniCorsini), le foto più belle che i visitatori hanno scattato e condiviso sui loro profili utilizzando l’hashtag #palazzobarberini e #galleriacorsini. Tutti i martedì con la rubrica il #Settecentoilluminato vengono illustrati gli appartamenti settecenteschi di Cornelia Costanza Barberini, la distribuzione degli spazi, dagli ambienti di rappresentanza a quelli più intimi, le sue decorazioni e alcuni aneddoti che riguardano la famiglia. Il martedì, a partire dal 21 aprile, si è aggiunto un nuovo appuntamento, #FictionBarberini, in occasione del quale il Palazzo viene raccontato dal punto di vista di scrittori, sceneggiatori e registi che nelle loro opere ne hanno tratto ispirazione. Palazzo Barberini non solo ha fatto da sfondo a diversi film, ma i suoi ambienti monumentali, i giardini, gli affreschi e la collezione dei dipinti sono stati soggetto di diverse trame letterarie. Il mercoledì è il turno dell’#ABCBarberiniCorsini, dedicato all’alfabeto delle due sedi del museo, 21 parole chiave che, attraverso un gioco di lettere, ripercorrono la storia, ma anche l’attualità delle Gallerie. Partiti dalla «A…come api», quelle scolpite e dipinte nello stemma della famiglia siamo giunti alla lettera «Z…come zoom», con cui, in modo simbolico, si sono voluti indicare tutti quegli strumenti che, in questo momento, e più di prima, riescono ad avvicinare ciò che è lontano. Il sabato, come di consueto già da tre anni, con la rubrica #lacollezione, vengono illustratele opere esposte sia a Palazzo Barberini che alla Galleria Corsini. Inoltre sono attualmente in corso due esposizioni temporanee: Orazio Borgianni. Un genio inquieto nella Roma di Caravaggio, a cura di Gianni Papi, presso Palazzo Barberini, e Rembrandt alla Galleria Corsini: l’Autoritratto come san Paolo, a cura di Alessandro Cosma, presso la Galleria Corsini.
Naturalmente - in ottemperanza del DPCM dell’8 marzo 2020, che all’art.2 sancisce la chiusura su tutto il territorio nazionale dei musei e degli altri istituti e luoghi di cultura per il contenimento del contagio del Covid-19 - il Museo ha ritenuto opportuno far fruire al pubblico queste due esposizioni temporanee con modalità alternative a quelle tradizionali. Ogni giovedì e venerdì sui canali social, oltre ad essere postate storie, curiosità e backstage, verranno presentati dei brevi video dei curatori delle mostre. L’iniziativa è stata denominata #lepilloledelcuratore e si tratta, per l’appunto, di focus dei curatori, della durata di un paio di minuti, nei quali raccontano le esposizioni «in pillole». Ad aprire la serie, il 19 marzo, è stata la Direttrice, Flaminia Gennari Sartori, introducendo la mostra presso la Galleria Corsini. Giovedì 26 marzo Alessandro Cosma, curatore della mostra, ha descritto l’Autoritratto come San Paolo di Rembrandt, opera principale, concessa in prestito dal Rijksmuseum di Amsterdam, attorno alla quale ruota tutta la mostra. Flaminia Gennari Sartori, venerdì 27 marzo, ha introdotto la mostra di Orazio Borgianni. Il 3 aprile, Gianni Papi ha spiegato uno dei capolavori di Borgianni esposto in mostra: Cristo fra i dottori. Alessandro Cosma, giovedì 9 aprile, ha raccontato come l’autoritratto di Rembrandt venisseutilizzato dalla famiglia Corsini, nel 1799, per pagare le tasse imposte dal governo francese. Il dipinto passato poi nelle mani dei principali mercanti inglesi attivi a Roma, finì nel 1807 a Londra. Venerdì 17 aprile, Papi ha descritto l’autoritratto di Borgianni, concesso in prestito dall’Accademia Nazionale di San Luca, dipinto nel quale l’artista, in un momento drammatico della fase finale della sua vita, si ritrasse mostrandosi senza filtri nel suo stato di malattia e di depressione. La ricca collezione di stampe e disegni di Rembrandt raccolta dalla famiglia Corsini viene illustrata da Alessandro Cosma, giovedì 23 aprile. Il curatore si sofferma in particolare su due incisioni: I tre alberi, del 1643, opera ricca di tantissimi particolari, tra i quali ricorda la coppia di amanti nascosti tra i cespugli e la famosissima Stampa dei cento fiorini, così chiamata per il prezzo molto alto assegnatogli dallo stesso artista e che la rese tra le più ricercate dai collezionisti di ogni epoca. Per tutta la durata delle mostre i curatori si alterneranno - giovedì Alessandro Cosma e venerdì Gianni Papi - permettendo al pubblico, attraverso questi brevi filmati, di entrare nel vivo delle due esposizioni. Facebook: @BarberiniCorsini Twitter: @BarberiniCorsin Instagram: @BarberiniCorsini di Dayan Gabancho Siamo ormai entrati nel futuro della comunicazione storico-artistica. La pandemia e la conseguente reclusione sono state le difficoltà che hanno fornito terreno fertile per la fioritura di nuove idee, possibilità, vie di comunicazione e fruizione. I musei italiani hanno fatto di necessità virtù, promuovendo svariate iniziative che sono state apprezzate dal grande pubblico, anche tramite i social. A tal merito, è necessario ricordare come la tecnologia moderna abbia fatto irruzione nelle nostre vite, grazie alla ormai estesissima diffusione di strumenti ormai indispensabili come gli smartphone e la connessione veloce. Contemporaneamente si offrono alla nostra fruizione l’immenso patrimonio virtuale che è stato archiviato negli ultimi anni: foto, video, scansioni laser e fotogrammetriche delle opere più o meno famose che sono conservate nei musei. La diretta: come i social possono rinnovare la fruizione dell’arte Il sito internet del Museo del Prado di Madrid offre un’impostazione abbastanza simile a quella di tantissimi altri musei di tutto il mondo, incentrata sulla collezione di fotografie ad alta risoluzione dei più grandi capolavori del museo. Alcune sostanziali novità, in risposta alla sempre più forte esigenza di interattività, si trovano nella sezione Aprende (‘impara’), dove si scoprono giochi per bambini e brevi presentazioni relative ad alcuni capolavori conservati nel museo. Fino nella pagina iniziale, si trovano segnalati video, presentazioni e confronti ogni giorno sempre nuovi, a cura dei responsabili del museo. I contenuti rimandano alle pagine social media del Prado, dove sono archiviati e agevolmente fruibili i video che compongono un vero e proprio mosaico di contenuti che ogni giorni si arricchisce di nuove aggiunte. Una sala, un’opera, un’esposizione oppure un artista sono al centro della quotidiana diretta del Prado online. Si tratta di una ripresa video, di una decina di minuti, dove un esperto interagisce con centinaia di persone in tempo reale, connesse anche solo con un telefonino sul quale viene inquadrata un’opera del museo, un Rubens come un Velázquez. L’impressione che ne riceve l’utente, è quasi quella di dialogare con un amico che ci videochiamasse direttamente dal museo, per rispondere alle nostre curiosità. Il dialogo e l’apprendimento partecipativo a distanza
L’appuntamento quotidiano riscuote grande successo. Gli argomenti sono numerosissimi: il restauro dell’Annunciazione del Beato Angelico, il Giardino delle Delizie di Bosch, i cui dettagli vengono illustrati da un esperto di botanica, la grande Lavanda dei Piedi del Veronese, presentata dal direttore Falomir... Il successo di pubblico (locale e internazionale) riscosso dall’iniziativa si deve alle potenzialità della piattaforma di comunicazione social utilizzata, dove ogni video trasmesso in diretta consente agli utenti di interagire e di postare commenti in tempo reale. Inoltre, ogni utente può richiedere una visione ravvicinata dei dettagli di ogni dipinto, rivolgendosi direttamente all’esperto che risponde a tutte le domande. Insomma, la modalità comunicativa si avvicina molto al dialogo. Ognuno può intervenire e dire la sua! In tal senso, le intenzioni di divulgazione del Prado sono state d’esempio per gli altri musei negli ultimi dieci anni, fin da quando la collaborazione con Google Earth rese possibile l’offerta delle prime passeggiate virtuali intorno ai quadri riprodotto ad altissima risoluzione. Sitografia http://www.artemagazine.it/attualita/item/11045-coronavirus-eike-schmidt-occasione-per-ripensare-il-rapporto-tra-musei-e-turismo https://www.eluniversal.com.mx/cultura/aumenta-numero-de-visitas-virtuales-al-museo-del-prado https://www.finestresullarte.info/1262n_vogliamo-davvero-tornare-a-prima-della-chiusura-coronavirus-intervista-eike-schmidt.php https://www.firenzetoday.it/cronaca/museo-arte-uffizi-direttore-eike-schmidt-coronavirus.html https://www.museodelprado.es https://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/tecnologia/google-world/museo-prado/museo-prado.html di Federica Bertini La giornata di studi “Le Scienze e il Museo: Archeologia, Ingegneria, Chimica in un approccio interdisciplinare per fruire i Beni Culturali nello spazio Museo che li conserva” prevista per il giorno 29 maggio, dalle ore 10,00 alle ore 16,00, sulla piattaforma di Microsoft Teams, è una delle tante attività che rientrano nell’ambito master MANT del Dipartimento di Studi Letterari, filosofici e di storia dell’arte dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”. L’obiettivo del Master “Nuove tecnologie per la comunicazione, il cultural management e la didattica della storia dell’arte: per una fruizione immersiva e multisensoriale dei Beni Culturali” è infatti quello di fornire ai giovani studiosi del Patrimonio culturale quelle competenze trasversali professionalizzanti secondo un approccio interdisciplinare che si esprime attraverso le collaborazioni che sono state avviate con esperti e studiosi di diverso settore. Nel panorama attuale, dove a destare particolare interesse sono le questioni relative alla riapertura dei musei e alle modalità con cui si potrà tornare a visitare questi spazi espositivi, l’incontro di studio intende offrire un approfondimento sulle questioni relative al Museo come luogo di fruizione e conservazione, attraverso l’analisi di processi di gestione e di innovazione, questi ultimi legati all’impiego di nanotecnologie e nanomateriali. L’incontro, organizzato da Federica Bertini, storica dell’arte e ricercatrice sui temi dell’arte e della tecnologia, e da Federica Valentini, docente presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche, sotto la responsabilità scientifica di Carmelo Occhipinti, coordinatore del master MANT, vede il coinvolgimento di studiosi di diversi settore. Dopo i saluti inziali di Valeria Conte, Direttore del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche, Università di Roma Tor Vergata, e di Emore Paoli, Direttore del Dipartimento di Studi Letterari, filosofici e di storia dell’arte dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, seguirà una breve presentazione degli obiettivi della giornata da parte dei curatori. Nella sessione mattutina è previsto l’intervento di Cristiana Barandoni, Archeologa, Università di Firenze; Research fellow Indiana University, il cui intervento sarà dedicato alla descrizione della realtà “Museo” come luogo di conservazione e gestione (Management) dei Beni Culturali. Per conservare e gestire le opere d’arte, e per favorirne una adeguata fruizione, il Museo si apre ad una nuova concezione del suo spazio, inteso come laboratorio sperimentale ed itinerante, pronto a dialogare con numerosi attori multi-disciplinari. A seguire Maurizio Talamo, Ingegnere elettronico e docente presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, che affronterà il problema della protezione del patrimonio artistico in aree urbane distribuite attraverso l’identificazione di traiettorie di rischio e la gestione delle stesse. In particolare sarà presentata un’architettura che comprende un modello di intelligenza artificiale ed un risk management pensati per la protezione di vasti territori attraverso l’interazione con una rete specifica di sensori. Nella sessione pomeridiana Ivo Allegrini, esperto CNR e General Manager Envint Srl, illustrerà la chimica-fisica dei processi di formazione e rimozione (dalle/verso le superfici) di inquinanti ambientali (sia gassosi che particolato solido). Questo aspetto è di fondamentale importanza per conoscere come lo stato di qualità dell’aria ed il micro clima indoor, influiscano in maniera significativa sullo stato di salute e di conservazione dei Beni Culturali stessi. A chiudere la giornata è l’intervento di Federica Valentini, professore Aggregato al Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche, dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, che affronterà il tema dell’innovazione basata sulle nanotecnologie al servizio del Museo. In particolare le Nanotecnologie verranno presentate sia in termini di nanomateriali innovativi per il restauro e la conservazione (delle opere conservate nel Museo), sia in termini di nano-dispositivi, istallati in situ (perché portatili e dunque di dimensioni ridotte), capaci di offrire interessanti informazioni sullo stato di conservazione dello spazio museo, all’interfase tra la superficie del bene culturale e l’ambiente che lo contiene. Come partecipare: 1. Per accedere a Microsoft Teams iscriversi alla piattaforma https://www.office.com/ . 2. Dopo la registrazione scrivere a [email protected]; [email protected] indicando l’email e il nominativo con cui è stata effettuata la registrazione in Office. 3. Dopo avere ricevuto la conferma dell’avvenuto inserimento come ospiti della classe di Teams da parte degli organizzatori, sarà possibile partecipare all’evento attraverso questo link https://teams.microsoft.com/l/channel/19%3aece70424ba714880ad7834796af4897d%40thread.tacv2/Generale?groupId=89964cbf-3b0e-4538-9f38-2eb7c524de26&tenantId=24c5be2a-d764-40c5-9975-82d08ae47d0e Contatti [email protected] [email protected] di Eliana Monaca Sulla Rocher, ovvero sulla Rocca, il punto più alto del Principato di Monaco, si trovano insieme all’ottocentesca Cattedrale sorta sulle fondamenta della chiesa duecentesca dedicata a Saint Nicolas, il Palais Princier, ovvero il Palazzo del Principe, residenza dal Duecento della famiglia regnante Grimaldi e il Musée Océanographique (il Museo Oceanografico), mentre nel quartiere Monte-Carlo, tra la spiaggia del Larvotto e il famoso Tunnel del circuito del Gran Premio di Formula 1, si trova il Grimaldi Forum costruito nel 2000. Caravaggio e il Seicento al Grimaldi Forum Il Grimaldi Forum è un centro congressi che, grazie ai suoi grandi spazi, è in grado di programmare esposizioni ed eventi anche in contemporanea, come nel caso delle esposizioni temporanee che hanno luogo nel periodo estivo, quando il Principato accoglie tutti i suoi visitatori (non monegaschi) per le vacanze estive[1]. Lo scorso anno si è tenuta per esempio la bellissima mostra su Salvador Dalì, dal titolo Dalì, une histoire de la peinture(06 luglio – 08 settembre 2019), curata dal direttore dei Musei Dalì, Montse Aguer, e supportata dalla Fundacion Gala-Salvador Dalì, per celebrare il trentesimo anniversario della morte dell’artista, raccogliendo larghissimi consensi[2]. Quest’anno erano in programma ben due esposizioni: la prima per festeggiare i vent’anni del Grimaldi Forum, Monaco et l’automobile, de 1893 a nos jours (11 luglio – 06 settembre 2020), al momento annullata[3], la seconda Le Caravage – le pouvoir de la lumière nell’Espace Diaghilev (17 luglio – 06 settembre 2020) rinviata a data da destinarsi[4]. La mostra Le Caravage – le pouvoir de la lumière è stata organizzata dalla società monegasca Gaudio Group, con un comitato scientifico di tutto rispetto presieduto da Mina Gregori (allieva di Roberto Longhi, presidente della Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi, direttrice della rivista Paragone, membro dell’Accademia dei Lincei e della Legion d’onore, professoressa emerita di Storia dell’Arte Moderna presso l’Università di Firenze), insieme a Roberta Lapucci (storica dell’arte e direttrice del dipartimento di restauro della SACI – Studio Arts College International School of Florence), Susan Grundy (consulente d’arte), Ubaldo Sedano (direttore del dipartimento di restauro del Thyssen-Bornemisza Museum di Madrid), Keith Sciberras (professore di storia dell’arte presso l’Università di Malta) e un comitato d’onore composto da Alessandro Cecchi (direttore del museo Casa Buonarroti), Cristina Acidini Luchinat (già soprintendente della città di Firenze, direttrice dell’Opificio delle Pietre Dure e attualmente presidente dell’Accademia delle Arti del Disegno), Antonio Paolucci (storico dell’arte e curatore, già soprintendente del Polo Museale Fiorentino, direttore dei Musei Vaticani e ministro per i beni culturali e ambientali), padre Marius Zerafa (padre domenicano storico dell’arte, già direttore dei Musei di Malta) e Vittorio Sgarbi (politico e storico dell’arte)[5]. Il tema che l’esposizione si pone di mettere in evidenza, come suggerito dal titolo, è quello della luce, in considerazione della sua enorme importanza, non soltanto simbolica, nelle opere del Merisi[6]. La luce nel Seicento Sappiamo dalle fonti coeve a Caravaggio come questa sua mancanza di «lume» non fosse molto apprezzata. Tra i primi a scrivere su Caravaggio e sul suo colorire «assai di negro»[7], spiccava Giulio Mancini (1559-1630) che, nelle sue Considerazioni – composte tra il 1617 e il 1628, ma pubblicate solo tra il 1956 e il 1957 da Adriana Marucchi – ricordava come l’ambientazione delle opere di Caravaggio pareva essere quella di una stanza con una sola «fenestra con le pariete colorite di negro, che così, havendo i chiari e l’ombre molto chiare e molto oscure, vengono a dar rilievo alla pittura», nonostante le figure risultassero però prive «di moto e d’affetti, di gratia»[8]. Non poteva mancare poi il ricordo dell’astioso rivale Giovanni Baglione (1573-1643) che nelle sue Vite del 1642 scrisse che il Merisi «con la sua virtù si aveva presso i professori qualche invidia acquistata», e che Federico Zuccari, avendo visto la cappella Contarelli «mentre io [scil. Baglione stesso] era presente, disse: “Che rumore è questo?” E guardando il tutto diligentemente, soggiunse: “Io non ci vedo altro, che il pensiero di Giorgione nella tavola del Santo, quando Cristo il chiamò all’apostolato”; e sogghignando, e maravigliandosi di tanto rumore, voltò le spalle, e andossene con Dio»[9]. Di poco successiva è la critica mossa da parte del medico e intendente d’arte Francesco Scannelli (1616-1663), che nel suo Microcosmo della pittura del 1657, rimproverava al Merisi come l’oscurità della Cappella Contarelli impedisse la completa fruizione anche delle altre opere come la Vocazione di San Matteo, da lui reputata come «una delle più pastose, rilevate e naturali operazioni, che venga a dimostrare l’artificio della pittura per immitazione di mera verità»[10] e il San Matteo e l’angelo del 1602[11]. Ancora Scannelli ricordava nel suo Microcosmo di aver visto nella collezione del Granduca di Toscana una tela «che fa vedere quando un ceretano cava ad un contadino un dente, e se questo quadro fosse di buona conservazione, come si ritrova in buona parte oscuro e rovinato, saria una delle più degne operazioni che avesse dipinto», ovvero il Cavadenti del 1608 alla Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze[12]. Come raccontato da Scannelli nel suo Microcosmo, l’amico pittore Guercino conosciuto a Bologna in giovane età, aveva avuto modo di spiegargli il motivo dietro al quale «sufficienti e famosi maestri» come lo stesso Guercino, Guido Reni, Rubens, Albani e Pietro da Cortona, avessero cambiato la loro maniera e «poscia nel tempo del maggior grido inclinato il proprio modo di operare alla maggior chiarezza»[13]. Guercino, che era uno di quei seguaci di Annibale Carracci che si era lasciato travolgere dall’ambizione di imitare la maniera scura di Caravaggio, per le affinità comuni tra il naturalismo carraccesco e quello caravaggesco[14], aveva infatti raccontato a Scannelli che «aveva sentito più volte dolersi coloro che possedevano i dipinti della propria sua prima maniera, per ascondere (come essi dicono) gli occhi, bocca ed altre membra nella soverchia oscurità, e per ciò non avere stimato compite alcune parti», e così «per sodisfare a tutto potere alla maggior parte, massime quelli che col danaro richiedevano l’opera, aveva [scil. Guercino] con modo più chiaro manifestato il dipinto»[15]. Come non ricordare poi le parole di Giovan Pietro Bellori (1613-1696) che nelle sue Vite del 1672 riportava il pensiero dei «vecchi pittori assuefatti alla pratica» che avevano notato come i giovani pittori, «presi dalla novità», celebrassero Caravaggio «come unico imitatore della Natura, e come miracoli mirando l’opere sue lo seguivano a gara, spogliando modelli, ed alzando lumi; e senza più attendere studio, e ad insegnamenti, ciascuno trovava facilmente in piazza, e per via il maestro, o gli esempi nel copiare il naturale»[16]. Nonostante ancora i «vecchi pittori» continuassero a «sgridare il Caravaggio, e la sua maniera, divulgando ch’egli non sapeva uscir fuori dalle cantine, e che povero d’invenzione, e di disegno, senza decoro e senz’arte, coloriva tutte le figure ad un lume, e sopra un piano senza degradarle», non erano stati in grado di rallentare «il volo alla sua fama»[17]. Bellori, che aveva apprezzato la fase giovanile di Caravaggio, in cui l’influenza di Giorgione visto a Venezia, lo aveva portato a realizzare le prime opere «dolci, schiette, e senza quelle ombre, ch’egli usò poi»[18], credeva infatti che l’oscurità delle tenebre nei quadri di Caravaggio, annullasse la «storia», ovvero ogni plausibile riferimento agli scenari dell’azione, resi così «antistorici e innaturali»[19]. Ma Caravaggio «facevasi ogni giorno più noto per lo colorito, ch’egli andava introducendo, non come prima dolce, e con poche tine, ma tutto risentito di oscuri gagliardi, servendosi assai del nero per dar rilievo alli corpi», allontanandosi così dalla gradevolezza di Giorgione[20]. Il Principato ai ripari dal Covid-19
Il Covid-19 ha ovviamente scosso la realtà del piccolo Principato, colpendolo nel cuore dell’amministrazione e del Regno: il 19 marzo le principali agenzie di stampa battevano infatti la notizia della positività del principe Alberto II di Monaco al Coronavirus[21]. Il lockdown imposto però qualche giorno precedente alla notizia[22] ha portato il Grimaldi Forum a chiudere le porte ai visitatori e a rinviare l’allestimento della mostra Le Caravage - le pouvoir de la lumière ad una data da destinarsi (anche se probabilmente avrà luogo nell’estate del 2021), aggiornando la propria agenda a partire dal mese di giugno 2020. È infatti notizia del 28 aprile che anche il Principato è entrato nella “Fase 2” dal 4 maggio. Per comprendere il motivo della chiusura – anche virtuale – da parte della direzione del Grimaldi Forum è doveroso ricordare come il turismo del Principato si concentri tra i mesi di maggio e settembre e sia costituito principalmente da italiani (provenienti dalla Lombardia e dal Piemonte), da arabi e sporadicamente da russi, che vi trascorrono poi anche le vacanze estive. I croceristi provenienti dalle grandi e numerose navi che affollano il Port Hercule vengono generalmente portati dai pullman provati alla Rocca, dove possono visitare la Cattedrale, il Palais Princier e il Museo Oceanografico. Probabilmente questa differenza di utenza ha fatto sì che un museo strutturato come il Museo Oceanografico stia continuando le sue attività anche in questo periodo di emergenza sanitaria attraverso i suoi canali social e in particolare sulla pagina Facebook “Musée océanographique de Monaco”, mentre il Grimaldi Forum in qualità di centro congressi abbia scelto di chiudere e rinviare le iniziative alla “Fase 2”. Bibliografia Argan 1968 = Giulio Carlo Argan, Storia dell’arte italiana, III, Sansoni, Firenze 1968. Baglione 1642 = Giovanni Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetta dal pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a’tempi di Papa Urbano Ottavo nel 1642, Andrea Fei, Roma 1642. Barocchi 2002 = Paola Barocchi, Collezionismo mediceo e storia artistica: Da Cosimo I a Cosimo II. 1540-1621, I, Tomi I-II, Spes, Firenze 2002. Bellori 1672 = Giovan Pietro Bellori, Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, Mascardi, Roma 1672. Borea 1970 = Evelina Borea, Caravaggio e caravaggeschi nelle Gallerie di Firenze, Sansoni, Firenze 1970. Cinotti 1983 = Mia Cinotti, Michelangelo Merisi detto Caravaggio: tutte le opere, Poligrafiche Bolis, Bergamo 1983. Gregori 1991 = Mina Gregori, Michelangelo Merisi da Caravaggio. Come nascono i capolavori, Electa, Milano 1991. Gregori 2005 = Mina Gregori, Tre “cartelle” per tre mostre caravaggesche, in «Paragone, Arte», anno 56, n. 669, serie terza, fasc. 64, novembre 2005, pp. 3-24. Gregori 2010 = Mina Gregori, scheda Cavadenti, in Caravaggio e caravaggeschi a Firenze, a cura di G. Papi, Sillabe, Livorno 2010. Guttuso 1967 = Renato Guttuso, L’opera complete del Caravaggio, Classici dell’arte, Rizzoli, Milano 1967. Longhi 1968 = Roberto Longhi, Caravaggio, Ed. Riuniti, Roma 1968. Marangoni 1922 = Matteo Marangoni, Il Caravaggio, Battistelli, Firenze 1922. Marini 2005 = Maurizio Marini, Caravaggio “Pictor praestantissimus”, Newton & Compton, Roma 2005. Occhipinti 2018 = Carmelo Occhipinti, Introduzione alle Vite de’ pittori, scultori e architetti di Giovan Battista Passeri (1772), a cura di M. Carnevali ed E. Pica, Collana Fonti e Testi di “Horti Hesperidum”, 18, UniversItalia, Roma 2018, pp. 5-107. Scannelli [1657] 2015 = Francesco Scannelli, Il Microcosmo della pittura 1657, a cura di E. Monaca con una introduzione di C. Occhipinti, Collana Fonti e Testi di “Horti Hesperidum”, 5, UniversItalia, Roma 2015. Sitografia:
[1] Dal tour virtuale accessibile dal sito https://www.grimaldiforum.com/en/visite-virtuelle si evince la grandezza degli spazi, soprattutto dell’Espace Ravel dove in genere ha luogo una delle esposizioni estive. [2] https://www.montecarlonews.it/2019/05/12/notizie/argomenti/eventi-2/articolo/dali-une-histoire-de-la-peinture-e-la-grande-mostra-dellestate-2019-a-monaco.html e https://www.grimaldiforum.com/fr/agenda-manifestations-monaco/dali-une-histoire-de-la-peinture. [3] https://www.grimaldiforum.com/fr/agenda-manifestations-monaco/exposition---monaco-et-l-automobile-de-1893-a-nos-jours. [4]https://www.grimaldiforum.com/fr/agenda-manifestations-monaco/exposition-michelangelo-merisi-le-caravage. [5] https://it.caravaggioexhibition.com/exhibition. [6] https://it.caravaggioexhibition.com/exhibition. [7]Mancini 1956-1957, pp. 139-148 in https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=2&ved=2ahUKEwii_4PSoJjpAhVT6qYKHaqkDI4QFjABegQIBxAB&url=https%3A%2F%2Flettere.aulaweb.unige.it%2Fmod%2Fresource%2Fview.php%3Fid%3D3181&usg=AOvVaw25A4IfgMhXU47Vo0y3QDaR. [8] Mancini 1956-1957, pp. 108-109 in https://it.wikiquote.org/wiki/Giulio_Mancini. [9] Baglione 1642, p. 137. [10] Scannelli [1657] 2015, p. 268. Come si legge in Marangoni 1922, p. 29, la Vocazione di San Matteo rappresentava «il primo germe – ed è lode altissima – di tanta della pittura spagnola e rembrandtiana». Per uno studio sull’opera si rinvia a Guttuso 1967, pp. 94-95, n. 42; Cinotti 1983, pp. 528-530, n. 61A e a Marini 2005, pp. 441-442, n. 36. [11] Scannelli [1657] 2015, p. 268. Per il San Matteo e l’angelo si vedano Guttuso 1967, p. 95, n. 44, Cinotti 1983, pp. 412-416, n. 4 e Marini 2005, pp. 466-467, n. 53. Per una trattazione generale sulla cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi rinvia ad Argan 1968, III, pp. 275-277 e a Longhi 1968, pp. 23-26. [12] Scannelli [1657] 2015, p. 269. La critica moderna era, però, divisa sul riconoscimento di questa opera a Caravaggio, in quanto non vi sono citazioni da parte di nessun altro biografo all’infuori di Scannelli e di una lettera inviata da Modena da Tommaso Guidoni a Giovan Carlo de’ Medici datata 5 novembre 1649, nella quale si chiedeva di poter scambiare i quadri di Raffaello, rappresentante una «Madonna (…) in tondo», la «Santa Caterina» di Leonardo, il «Cavadenti» di Caravaggio, l’«Ecce Homo» di Cigoli e il «San Giuliano» di Bronzino. Da un resoconto presso il Giornaletto di galleriadel 1652, però, notiamo che la tela non era stata trasferita da Firenze, in quanto una nota a margine lo definiva come «ruinato». La lettera è riportata per intero in Barocchi 2002, I, pp. 135-136, nota 497, lettera da Modena di Tommaso Guidoni a Giovan Carlo de’ Medici del 5 novembre 1649 e menzionata in Gregori 2005, p. 14. Sulla controversa attribuzione si rinvia a Borea 1970, pp. III, 12-13; Gregori 1991, pp. 328, 332; Gregori, 2005, pp. 15-16; Marini 2005, pp. 573-574; Gregori, 2010, p. 122. [13] Scannelli [1657] 2015, p. 193. [14] Occhipinti 2018, p. 72. [15] Scannelli [1657] 2015, p. 193. [16] Bellori 1672, p. 205. [17] Bellori 1672, p. 205. [18] Bellori 1672, p. 202. Il passo è commentato in Occhipinti 2018, p. 53. [19] Occhipinti 2018, p. 51, n. 125. [20] Bellori 1672, p. 204. [21]https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2020/03/19/positivo-principe-alberto-ii-di-monaco_fceb7897-adc4-4cfd-a464-97f0f1899c26.html. [22]https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2020/03/14/coronavirus-a-montecarlo-chiuso-casino_0258c66b-11b7-4ae8-9355-bfe9dd79c1fb.html. |
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