di Damiano Delle Fave In risposta alla sospensione dell’apertura di musei, parchi archeologici, cinema e teatri disposta dal DPCM dell’8 marzo 2020 sul contenimento della diffusione del Coronavirus, il ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini, per permettere la fruizione delle opere d’arte anche comodamente da casa, ha chiesto a tutti gli operatori museali di aderire alla campagna #iorestoacasa. È stato chiesto di utilizzare al massimo i canali social e i siti web al fine di condividere video e immagini di opere appartenenti alle collezioni, monumenti, incisioni, manoscritti, incunaboli e documenti rari, insoliti o poco conosciuti. Allo stesso tempo il Mibact ha aperto sul proprio sito web la pagina www.beniculturali.it/laculturanonsiferma con 785 appuntamenti virtuali finora resi disponibili dai luoghi della cultura statali e da diverse istituzioni culturali nazionali, divisi nelle categorie “educazione”, “musei”, “archivi e biblioteche”, “teatro”, “musica” e “cinema”. A Bologna si è distinta la Pinacoteca Nazionale, che ogni giorno posta sui propri social (in particolare Facebook e Instagram) le proprie opere, accompagnandole con un piccolo testo, un aneddoto o una storia, che possa raccontarle e spiegarle a tutto il pubblico virtuale. Inoltre, la Pinacoteca ha messo a disposizione un’app in grado di permettere a tutti di effettuare una visita virtuale del museo. Altrettanto attivo è il MAMbo, il Museo di Arte Moderna di Bologna, che ha lanciato l’iniziativa “2 minuti di MAMbo”: un format di engagement digitale che prevede il caricamento di nuovi contenuti video girati con una tecnologia semplicissima, accessibile anche tramite smartphone, e contrassegnati dall’hashtag #smartMAMbo. Ogni giorno, dal martedì alla domenica, come nei giorni di apertura ordinari dei musei, alle ore 15, viene pubblicato un nuovo video sul canale YouTube MAMbo Channel, poi condiviso su Facebook, Instagram e Twitter. Queste “pillole d’arte” sono incentrate a rotazione su quattro tematiche: la mostra temporanea AGAINandAGAINandAGAINand, che indaga il tema del loop, della ripetizione e della ciclicità nel contemporaneo attraverso le opere di sette tra i più famosi artisti contemporanei (Ed Atkins, Luca Francesconi, Apostolos Georgiou, Ragnar Kjartansson, Susan Philipsz, Cally Spooner, Apichatpong Weerasethakul); la collezione permanente MAMbo; il Museo Morandi; e il Dipartimento educativo MAMbo, realtà tra le più importanti nel settore della mediazione e della didattica dell’arte verso tipologie differenziate di pubblici che, questa volta, si stanno misurando con una nuova modalità di approccio alle opere d’arte. In particolar modo il progetto si deve alla disponibilità dell’artista Ragnar Kjartansson e della compagnia di attori Laminarie, che ha messo a disposizione lo streaming live dell’opera Bonjour dell’artista islandese, attualmente allestita nella Sala delle Ciminiere per la mostra AGAINandAGAINandAGAINand. In questo modo il MAMbo ha organizzato una serie di appuntamenti, invitando a intervenire volta per volta un esperto diverso – tra curatori, artisti presenti nella collezione permanente e nella mostra temporanea, mediatori culturali... –, cosicché il web possa diventare un’occasione di confronto tra punti di vista diversi, a proposito delle opere del museo momentaneamente non fruibili de visu. Inoltre, sul sito www.museibologna.it, si possono consultare: percorsi tematici e cataloghi delle opere, virtual tour, dirette Facebook ed è possibile il libero scaricamento di pubblicazioni didattiche ad uso dei bambini, come spiega il direttore artistico Lorenzo Balbi. Quest’ultimo prevede inoltre, finita l’emergenza, la prosecuzione di tali attività che imporranno un decisivo cambiamento circa «il ruolo stesso del museo e la sua funzione sociale che deve trovare delle nuove modalità». Un’altra iniziativa promossa è stata il “Dantedì”, ovvero il 25 marzo, quando è stato celebrato Dante Alighieri sui social media per tutta la giornata con gli hashtag #dantedì e #ioleggoDante. Infine, va menzionata la giornata di domenica 29 marzo, quando il MIBACT, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, ha lanciato un’ulteriore challenge sui social: non soltanto i fotografi professionisti, ma chiunque, ha potuto pubblicare proprie foto realizzate all’interno di musei, parchi archeologici, archivi e biblioteche, dando preferenza a quelle prive di persone. Le immagini dei luoghi della cultura deserti sono diventate protagoniste in tutto il mondo sui social e sono divenute note come Empty Museum. Oggi più che mai diventano così drammaticamente attuali e servono a ricordarci che il patrimonio culturale, nonostante sia momentaneamente inaccessibile, è fruibile anche a distanza. Ogni immagine deve essere taggata con gli hashtag #artyouready e #emptymuseum per essere condivisa da tutti i cittadini. Bibliografia in rete
www.beniculturali.it/laculturanonsiferma http://www.mambo-bologna.org/ www.museibologna.it https://agcult.it/a/16527/2020-03-26/coronavirus-mibact-la-cultura-non-si-ferma-migliaia-di-iniziative-su-social-e-web?fbclid=IwAR03e97p7cTQ_9EZhrTKnYHfXOaVTXnyLfSn1UGOAEHF6bxtga0A61vJexk http://www.artemagazine.it/attualita/item/10951-il-mambo-di-bologna-si-visita-virtualmente-da-casa Stefano Luppi, da Il Giornale dell’Arte, aprile 2020: https://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/chiusi-ma-aperti-l-mambo-bologna-/133105.html?fbclid=IwAR1tcMl9A-21Io6eYsqWZKjzTYa9koOc0rGE_LJyPKWoC__-_pqeJPq1Nyw)
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di Francesca Colonnelli
“Il museo è straordinariamente chiuso, in ottemperanza alle disposizioni per il contenimento del rischio da contagio COVID-19 (DPCM 08.03.2020)”. Straordinario è questo messaggio che troviamo nella home page del Museo Madre di Napoli, come in tutte quelle di musei italiani e stranieri, di teatri, cinema, etc… Ma straordinari sono anche gli strumenti che dai primissimi giorni sono stati messi in campo in risposta alla chiusura degli istituti culturali per proseguire con la mission pubblica. Tutti i musei sono stati d’accordo sul fatto che alla chiusura degli spazi espositivi non dovesse assolutamente corrispondere l’interruzione del servizio, se pur rimodulato e ripensato per l’occasione. È così che dietro il grande portone giallo, anche il Madre di Napoli si è attivato con naturalezza, semplicemente cambiando ‘dimensione’ spaziale. Il Madre – Museo d’Arte Contemporanea Donnaregina – si trova nel centro storico di Napoli, sulla “via dei Musei”, a pochi metri dal Duomo, dal Museo Archeologico Nazionale e dall’Accademia di Belle Arti, lì dove si sviluppa l’antico quartiere di San Lorenzo. Il museo trae il proprio nome dall’edificio che lo ospita, il Palazzo Donnaregina, che come tutta l’area in cui sorge deve la denominazione al Monastero di S. Maria Donnaregina, fondato dagli Svevi nel XIII secolo e poi ampliato e ricostruito nel 1325 dalla Regina Maria d’Ungheria, moglie di Carlo II d’Angiò. Dopo essere stato trasformato nel corso del XIX secolo in Banco dei Pegni, e aver subito notevoli aggiunte architettoniche nel secondo dopoguerra e in seguito al terremoto dell’Irpinia, l’edificio fu definitivamente abbandonato dopo l’alluvione del 2001 che provocò gravi danni strutturali. Nel 2005 venne acquisito dalla Regione Campania con il grande progetto di farne un museo di arte contemporanea con i suoi 7200 mq tra sale espositive, biblioteca, mediateca, sala conferenze, bookshop-caffetteria. Oggi ospita opere di artisti del calibro di Anish Kapoor, Jannis Kounnellis, Jeff Koons, Mimmo Paladino, Sol LeWitt, Alighiero Boetti, Andy Warhol, Giovanni Anselmo, Emilio Isgrò, solo per citare alcuni nomi. Una prima iniziativa attuata dal Madre è stata quella di indicare ai propri visitatori alcuni percorsi virtuali tramite la piattaforma Google Art & Culture: servizio che il museo offriva già dal 2018 e che oggi è stato solo meglio pubblicizzato. Tramite il browser o l’app dedicata, si può accedere al percorso di visita virtuale che utilizza la tecnologia Street View e permette una visione orizzontale di 360° e 160° in verticale, con immagini ad alta risoluzione (7 gigapixel) che permettono di avvicinarsi all’opera d’arte fino ad apprezzarne i minimi dettagli e la consistenza materica. L’esplorazione delle sale è possibile spostandosi con il mouse o attraverso la bussola posizionata in basso a destra. Sopra la bussola troviamo il selettore di livello che ci permette di navigare attraverso i piani del museo. Un grande limite di questa esplorazione è la mancanza di informazioni approfondite circa le opere con hotspot dedicati, se non quelle che si possono leggere ingrandendo i pannelli didattici posti nelle sale. Più completo è, invece, il virtual tour accessibile esclusivamente tramite smartphone e l’app di Google Art & Culture, che necessita, però, del Google Cardboard, o di qualsiasi altro visore virtuale in commercio. Attraverso le speciali lenti e il sensore (il giroscopio) inserito nello smartphone, si crea l’illusione di essere immersi a 360° al centro delle sale. Una voce narrante ci accompagna alla scoperta della collezione site-specific che dialoga con la mostra “Pompei@Madre. Materia Archeologica” (19 novembre 2017 – 7 gennaio 2019). La mostra, organizzata dal museo Madre di Napoli in collaborazione con il Parco Archeologico di Pompei, si proponeva di indagare le possibili, molteplici relazioni fra patrimonio archeologico e ricerca artistica, attraverso il dialogo fra straordinari, e spesso inediti, reperti di provenienza pompeiana e le opere della collezione permanente del museo, trasformandolo in una vera e propria “domus contemporanea”. La sala affrescata e decorata con maioliche di Francesco Clemente è diventata il cuore della domus, “tablinum” e “triclinium”: sala di rappresentanza e spazio per ricevimenti e banchetti. La piattaforma Google Art & Culture, infine, mette a disposizione degli utenti 11 storie che raccontano la collezione e alcune delle mostre passate, e 374 elementi fotografici ad alta risoluzione delle opere della collezione site-specific con la possibilità di ingrandirle attraverso la lente di ingrandimento o il cursore in alto a sinistra. Se l’arte è musica, significativo è l’esperimento del Madre di creare una playlist su Spotify, il servizio di riproduzione digitale in streaming di musica, podcast e video, con accesso immediato a milioni di contenuti di artisti provenienti da tutto il mondo. La playlist per la quarantena si intitola “Altrove” con brani che ci fanno immaginare di essere lontani, che ci fanno viaggiare e pensare a strade da percorrere e nuovi posti da scoprire. Apripista è il singolo omonimo “Altrove” di Morgan dall’album “Canzoni dall’Appartamento”. Nell’ambito della campagna nazionale #iorestoacasa, il Madre ha invitato artisti e creativi a reinterpretare alcune parole e temi chiave che riflettono questo momento, in cui la vita di tutti è cambiata in poche ore: vicinanza/distanza, casa, isolamento, comunità, famiglia, relazioni, spazio, confine, corpo, regole, limite, contatto, mutazione, opportunità…
Ed è nata così “Madre Call”, una chiamata all’azione, “How to change the world from your living room”, un condominio di voci, linguaggi e sensibilità diverse che raccontano, però, un’esperienza che ci accomuna tutti, invitandoci a immaginare forme differenti di fruizione delle opere. Sono stati potenziati anche i social – facebook e instagram – dove oltre a “Madre Call”, arriva “Madre door-to-door”, un ricco programma digitale che porta l’arte a domicilio con appuntamenti quotidiani. “Questi sono i momenti in cui è ancora più importante non rinunciare alla bellezza e non perdere il senso di comunità – dichiara Laura Valente, Presidente della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee –impiegando le tecnologie e il web per arrivare a tutti.” Il programma prosegue secondo tre filoni principali: 1. In site… La mostra – ogni mercoledì è raccontata attraverso clip video e immagini la mostra “I sei anni di Marcello Rumma, 1965-1970” da poco inaugurata al Madre. 2. On air… La collezione – ogni fine settimana visibili online eccezionalmente, e per un periodo limitato di tempo, opere che andranno a formare una collezione dedicata al solo pubblico web. 3. Unreleased… Gli inediti – sempre nel weekend vengono presentati contenuti inediti e originali del museo che raccontano i suoi protagonisti e la sua storia. Sitografia: http://www.madrenapoli.it/ http://www.madrenapoli.it/calendario/madredoortodoor/ http://www.madrenapoli.it/calendario/madrecall/ https://www.facebook.com/museomadre/ https://www.instagram.com/museomadre/?hl=it https://open.spotify.com/user/o8ec66y60yhhm3uqielb09jz1 di Luisa Nieddu
Prendono adesso vita sul web, moltiplicandosi in modo esponenziale, le grandi mostre d’Arte che avrebbero dovuto inaugurare la nuova stagione culturale del 2020, temporaneamente sospese ma in gran parte trasferite sui social-network e sulle piattaforme digitali, in conseguenza delle eccezionali misure di contenimento della pandemia che hanno costretto alla chiusura anche i centri culturali ed espositivi. Così anche la prima grande mostra monografica dedicata al Maestro senese Taddeo di Bartolo (Siena 1362 ca.– Siena 1422) che dal 7 marzo al 7 giugno 2020[i] sarebbe stata visitabile, con le sue ben cento opere esposte, presso la Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia[ii], è esplorabile virtualmente (fig. 1), anche con la possibilità di visita guidata. I canali social della Galleria Nazionale dell’Umbria e del Polo Museale dell’Umbria (Facebook, Twitter, Instagram, Spotify, Youtube) si aprono così alla divulgazione e fruizione a distanza, rivolgendosi a un pubblico multiforme. Dopo l’appello nazionale lanciato per arginare l’ emergenza planetaria in corso, anche le altre istituzioni museali del Polo dell’Umbria, i parchi archeologici, le ville storiche, teatri e spazi di socialità del territorio, hanno aderito alla stessa operazione di “messa in rete” dei percorsi espositivi virtuali, dj set e concerti, secondo le indicazioni così esposte dal direttore del Polo Museale, Marco Pierini: “Chiudere fisicamente non significa smettere di rispondere alla nostra missione di valorizzazione e promozione : significa trovare alternative che possano quantomeno regalare momenti di piacere e di conoscenza”[iii]. Non solo la mostra monografica su Taddeo è stata resa accessibile in audio/video streaming system, così da avvicinare gli strumenti tecnologici che la contemporaneità ci mette a disposizione anche all’Arte Antica contribuendo a farla percepire, in un certo senso, come contemporanea; ma nell’ambito della campagna #laculturanonsiferma tutti i capolavori custoditi nella Galleria Nazionale di Perugia, i materiali d’archivio sono stati riversati, secondo un programma di iniziative sempre aggiornato, sulle piattaforme social che si configurano pertanto come imprescindibili supporti informativo-formativi oltreché relazionali. Gli hastagh #museichiusimuseiaperti, #arteinquarantena o #DireUmbria vuol dire sono alcuni degli identificatori che all’interno dei canali social indirizzano gli utenti interessati verso i luoghi emblematici del patrimonio monumentale della regione, quali il Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria e l’Ipogeo dei Volumni (Perugia), il Museo Archeologico Nazionale e Teatro Romano di Spoleto e l’Area Archeologica di Carsulae, il Palazzo Ducale di Gubbio, il Museo Nazionale del Ducato di Spoleto e la Rocca Albornoziana, il Tempietto di Campello sul Clitunno; il Museo Archeologico Nazionale di Orvieto e la Necropoli di Crocefisso del Tufo, o la Villa del Colle del Cardinale, il Castello Bufalini di San Giustino. Anche la Fondazione Cariperugia Arte[iv] ha sostenuto la stessa strategia di diffusione all’interno del “sistema social”, riversando in rete l’eccezionale collezione di Alessandro Marabottini (1926-2012), docente presso la stessa università, che nel 2015 era stata allestita sui due piani di palazzo Baldeschi. La raccolta, costituta da circa settecento pezzi tra dipinti, sculture, disegni, incisioni, miniature, cere, vetri, avori, porcellane ed arredi, acquistati tra il XVI e il XX secolo (fig. 2), è dunque percorribile virtualmente attraverso il sito ufficiale della Fondazione[v], per via dei suoi principali digital-media (Facebook, Twitter, Pinterest, Youtube schannel, Instagram), oppure tramite l’hastag #ArteinQuarantena. Nell’ambito dell’Arte contemporanea, presso Palazzo Lucarini Contemporary[vi] nella città di Trevi, è stata inaugurata UNDER GLASS – Uncontaminated narratives’ , un artista al giorno[vii], mostra virtuale aperta dal 14 marzo al 3 aprile (fig. 3), e messa in remoto attraverso i molteplici canali Web del Museo. Ventuno artisti dall’Italia e dall’estero, intervengono ogni giorno in diretta, alle ore 19.00, esponendo le loro riflessioni fatte “sotto vetro” sull’isolamento, il vuoto, la coercizione e l’alienazione, che contraddistingue il tempo contemporaneo ma, in particolare, questi momenti di emergenza globale. Infine la Pinacoteca di Città di Castello (secondo museo dell’Umbria dopo la Galleria Nazionale)[viii] ha partrecipato all’iniziativa #laculturanonsiferma pubblicando in rete una serie di video intitolati “Pillole d’Arte” (fig. 4): dove diversi operatori culturali sono invitati a illustrare i capolavori dei grandi Maestri del Quattro-Cinquecento del Museo, da Luca Signorelli e Cola dell'Amatrice, fino a Raffaello arrivando ai grandi artisti del Novecento, De Chirico, Carrà, De Pisis, Nuvolo/Giorgio Ascani, le cui opere sono ospitate nel padiglione moderno del museo[ix]. [i]https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2020/03/05/taddeo-di-bartolo-gigante-del-polittico [ii] https://gallerianazionaledellumbria.it/exhibition/taddeo-di-bartolo/ [iii]https://twitter.com/marcopierini5?lang=it ; https://corrieredellumbria.corr.it/news/attualita/1530861/ [iv] https://www.fondazionecariperugiaarte.it/ [v]https://www.fondazionecariperugiaarte.it/museo-virtuale/collezione-alessandro-marabottini/ [vi]https://www.palazzolucarini.it/;https://www.palazzolucarini.it/under-glass-21-uncontaminated-narratives-i-un-artista-al-giorno-visibile-dalle-ore-1900-sui-canali-web-di-palazzo-lucarini-sino-al-3-aprile-2020/ [vii]http://www.scoprendolumbria.it/it/eventi/under-glass-21-uncontaminated-narratives_228.html [viii] https://www.umbriaecultura.it/pinacoteca-citta-di-castello/ [ix]https://www.facebook.com/PoliedroCultura/;http://www.umbriaturismo.net/attivita-commerciali/poliedro-cultura/ di Ludovica Marolda Il 21 giugno del 2018 ha aperto le porte a Tokyo, nell’isola artificiale di Odaiba, il rivoluzionario e atteso museo d’arte digitale giapponese, che prende il nome di Mori Building Digital Art Museum – teamLab Borderless[1]. L’affluenza ha raggiunto livelli incredibili, totalizzando 2,3 milioni di visitatori nel primo anno d’apertura[2], e diventando, così, il museo dedicato a un solo artista più visitato al mondo. Molteplici informazioni sono contenute nella denominazione dell’imponente costruzione. Viene subito chiarita la posizione della nota compagnia di imprenditori immobiliari giapponesi, Mori Building, che si è impegnata nel finanziamento dell’edificio[3]. In secondo luogo apprendiamo che si tratta non di una mostra, né di un evento temporaneo, ma di un museo interamente dedicato all’esposizione e alla fruizione di opere d’arte realizzate con i più sofisticati mezzi tecnologici. Il collettivo artistico internazionale teamLab Borderless, fondato nel 2001 dall’ingegnere informatico Toshiyuki Inoko[4], è andato progressivamente ad allargarsi fino a coinvolgere più di 500 collaboratori, fra ingegneri, artisti, designers, architetti, programmatori, animatori e matematici. Il gruppo teamLab è, ad oggi, rappresentato dalla galleria d’arte contemporanea Pace Gallery[5] di New York. Una volta varcata la soglia dell’edificio, il visitatore è invitato ad abbandonare quasi tutti i suoi effetti personali, rendendosi libero e pronto ad immergersi completamente nell’esperienza sensoriale che lo attende. Si tratta infatti di arte immersiva, il cui linguaggio è basato sulla sinergia di immagini, suoni, spettacolo e tecnologia, quanto mai capace di avvolgere e coinvolgere tutti i sensi dello spettatore ricorrendo alla multimedialità. [1] Sito ufficiale: https://borderless.teamlab.art/ [2]https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/business_wire/news/2019-08-08_1081989251.html [3] https://www.mori.co.jp/en/company/press/release/2019/06/20190620100000003902.html [4] https://www.teamlab.art/?submit=Toshiyuki%20Inoko [5] https://www.pacegallery.com/artists/teamlab/ Bisogna prevedere che la visita esperienziale duri almeno tre ore. Tutti gli ambienti sono prevalentemente oscurati e in ogni stanza vengono proiettate innumerevoli immagini digitali in movimento, accompagnate da suoni fiabeschi. L’iconografia riprende soprattutto la tradizione estetica giapponese, legata ad elementi naturali come fiori di ciliegio e girasoli, ma anche lanterne, onde marine, carpe koi o idiomi kanji che evocano concetti legati all’esistenza. Le immagini sono suscettibili della presenza dello spettatore: si muovono, spariscono, si trasformano in base ai movimenti del visitatore. Quando egli abbandona la stanza, l’immagine digitale può scomparire o seguirlo nell’ambiente successivo. In questo caso l’elemento dell’interattività si esprime in maniera assolutamente efficace e il pubblico non può fare a meno di partecipare allo spettacolo digitalizzato. Il percorso da seguire non è univoco, ma ogni visitatore può prendere più strade, perdersi e ritrovarsi in ambienti sempre nuovi. Nel percorso è presente anche una particolarissima zona relax con bar, dove chiunque può fermarsi a bere un tè: le immagini digitalizzate prendono vita anche nella tazza di tè (Tea Ceremony), e continuano ad esistere finché il liquido presente nella tazza di ciascun partecipante non è stato completamente bevuto.
La parte finale dell’esperienza immersiva si incentra sul movimento (Athletic Forest) e piace particolarmente al pubblico dei più piccoli. Sono presenti tappeti elastici su cui saltare, pilastri su cui arrampicarsi e enormi palloni colorati con cui giocare: le immagini digitalizzate si moltiplicano anche in questo spazio, incoraggiando la partecipazione attiva di ciascun visitatore. Il fenomeno dell’arte immersiva, pur sembrando molto attuale se associato al digitale, fonda le sue radici nella creazione stessa degli ambienti spaziali (che prendono avvio con l’arte degli anni ’50 di Lucio Fontana), dove lo spettatore non è più considerato come elemento passivo, ma adatto a relazionarsi con l’oggetto artistico. Col passar del tempo e con l’evoluzione delle tecnologie, l’importanza dell’evento in sé ha acquisito una sempre maggiore rilevanza e il focus principale è diventato l’esperienza estetica della partecipazione. Secondo questa visione il lavoro del collettivo teamLab sembrerebbe rispondere perfettamente all’esigenza di fruire dell’arte digitale in modo immersivo e interattivo. Tuttavia, nel percorso di visita esperienziale all’interno del museo non è quasi mai fornita una chiara indicazione sull’effettivo progetto scientifico di teamLab. Troviamo maggiori informazioni al riguardo navigando in Internet e consultando il loro sito in continuo aggiornamento. Molto interessanti sono le interviste a Toshiyuki Inoko dove viene chiarita l’importanza del progetto: “teamLab intende esplorare la relazione tra sé ed il mondo, e nuove percezioni attraverso l’arte. Per capire il mondo intorno a loro, le persone lo dividono in entità indipendenti, con confini percepiti tra di loro. teamLab cerca di trascendere questi confini nella nostra percezione del mondo, nella relazione tra sé e il mondo, e nella continuità del tempo. Tutto esiste in una lunga, fragile, anche se miracolosa, continuità della vita, senza confini”. (intervista di Marco Aruga per Digicult).[1] Se il Mori Building Digital Art Museum vuole essere, appunto, un museo, potrebbe essere efficace informare il visitatore riguardo le idee degli artisti e, magari, i mezzi tecnologici utilizzati. Unire l’aspetto dell’intrattenimento a quello dell’informazione e dell’educazione potrebbe rappresentare la strada giusta per l’implementazione dei musei dedicati all’arte digitale nel mondo. Dal canto suo, teamLab sta continuando ad espandersi, aprendo un nuovo Digital Art Museum a Shanghai[2] e programmando una prossima apertura anche a Macao[3]. In questa prospettiva il fenomeno espansivo del collettivo artistico è da non sottovalutare, per quanto riguarda la direzione che arte, tecnologia e musei stanno prendendo e prenderanno nel corso del ventunesimo secolo. [1] http://digicult.it/it/articles/the-beauty-of-a-borderless-world-interview-with-teamlab/ [2] https://borderless.teamlab.art/shanghai/ [3] https://www.teamlab.art/it/e/macao/ La mostra di Sissi a Palazzo Bentivoglio tramite il social: per vestire il tempo che passa12/4/2020 di Lucrezia Lucchetti «In ottemperanza alle misure di contenimento del COVID-19, gli spazi di Palazzo Bentivoglio sono temporaneamente chiusi. La mostra di Sissi quindi si tramuta in un diario giornaliero che l’artista realizzerà dalla sua abitazione per vestire il tempo che passa e che potete seguire sul nostro profilo IG @palazzobentivoglio» Questo è quello che troviamo scritto nella pagina del sito dello spazio espositivo di Palazzo Bentivoglio, uno spazio molto giovane nato nel 2019, riservato a mostre contemporanee ed eventi, la cui sede si trova nei bellissimi sotterranei dell’omonimo palazzo cinquecentesco, situato nel cuore di Bologna. Gli ambienti sono ampi e hanno mantenuto la struttura cinquecentesca, con i mattoni scorticati, lasciati a vista (vedremo come questo sia in perfetta sintonia con la mostra in corso) sposandola con elementi di arredo prettamente contemporanei. Dal 21 gennaio al 19 aprile, Palazzo Bentivoglio presenta “Vestimenti”, la mostra personale dell’artista Sissi, facente già parte dei progetti per Main project di ART CITY Bologna 2020 in occasione di Arte Fiera. Sissi è un’artista giovanissima, che emerge alla fine degli anni Novanta quando ancora era una studentessa dell’Accademia delle Belle Arti. Poliedrica e luminosa, Sissi spazia dalla scultura alla video art, dalla performance alla pittura, ai disegni e alla fotografia, guidata da uno spirito infuocato e innovativo. La mostra, curata da Antonio Grulli, doveva avere luogo nelle sale del palazzo. Ciò è stato possibile solo fino al 15 marzo. Dopodiché a causa delle doverose misure restrittive imposte dalla pandemia, la mostra è stata prima visitabile su appuntamento e poi definitivamente chiusa al pubblico. Ed è qui che entra in scena la tecnologia, che ci permette di avvicinarci alle opere, senza essere in loco, di vederle anche se non siamo all’interno del museo e in un certo qual modo, secondo un diario giornaliero di opere, di partecipare alla mostra di Sissi, restando comodamente a casa. Dal 10 marzo infatti la mostra ha preso il nome di “Abitamenti” proprio per rimandare in maniera anche etimologica all’abitazione. I profili social e i siti dei musei ci garantiscono la fruizione delle opere, delle mostre e delle esperienze, permettendoci di fare in questa situazione particolare il nostro dovere di cittadini: rimanere a casa. La fase precedente della mostra, documentata sul profilo Instagram della sede, dal titolo “Vestimenti”, raccoglie un corpus di sculture-abito dell’artista, che copre circa venti anni della sua carriera e anche il significato profondo della poetica di questa artista giovanissima: il corpo. “Abitante” 2014, “Si è più nudi che vestiti” 2011, “ONme” 2015, Archivio Addosso 1995 - in progress tailleur V+G\BUD\01\09, sono tutte opere e performance in cui si comprende come la pelle dell’artista Sissi sia al contempo rivestimento ed essenza, sia esterno e corpo, plurimo e mutevole. Le creazioni, che spesso Sissi stessa indossa, assumono i colori e le forme dei nostri organi, nervi, capillari, evoca arterie e vene, che troviamo nei libri di anatomia, negli atlanti medico scientifici, mantenendo un legame curato e indissolubile con la moda e con la sartoria. «Vestiti, tessuti, materiali vengono smembrati, dissezionati, riassemblati a tutti gli effetti» scrive così Federica Fiumelli in Wall Street International Magazine, e Sissi lo fa per mettere in contatto il nostro corpo con quello che abbiamo sotto la pelle, con quello che vedremmo se ci scorticassimo, lo fa per farci comprendere che siamo al contempo contenitore e contenuto. Ma gli abiti che indossa sono e rimangono un feticcio simbolico di quello che viviamo, del tempo che scorre, della maschera che la propria personalità indossa per non denudarsi totalmente. L’abito è un delegato a cui la nostra identità affibbia l’estrinsecazione di sé, per paura, per mancanza di coraggio, per difesa. Con la performance “Abitare l’altro” l’artista ci mostra il suo laboratorio di sartoria: sceglie la stoffa, la srotola, la ripone sul cartamodello, taglia e poi cuce a macchina per quasi in un’ora. Nel frattempo ci sprona ad ascoltarci e ascoltare l’altro, a sciogliere i confini, a metterci in contatto con l’altrove e l’altrui, a capire quali reazioni il nostro soma ottiene dallo stimolo proveniente dalla relazione con l’altro. La seconda fase, “Abitamenti”, che si serve moltissimo del canale tecnologico e di rete del profilo social di Palazzo Bentivoglio, ragiona su come riuscire a comunicare lo stesso messaggio attraverso un’immagine. L’artista realizza un’opera quotidiana per vestire il tempo che passa in modo da poterlo condividere con tutti, fino al 19 aprile, giorno in cui sarebbe dovuta terminare la mostra “Vestimenti”. In questo modo la pagina nella piattaforma digitale diventa lo spazio dell’intuizione. L’artista in questo caso usa l’arte del disegno, in una maniera che, avvicinandosi alla scomposizione e disconnessione della realtà picassiana e forzando la mano sul contorno e la linea arabescata di memoria gauguiniana, ci racconta i vari modi in cui possiamo restare a casa, stando bene. Sono come una serie di skills, di consigli, analizzando noi stessi e il tempo a disposizione, senza renderlo inutile o incatenante. Al giorno 11 marzo una simpatica figura femminile tenta una posizione di yoga e sopra campeggia la scritta “Proviamo a fare quello che non facciamo mai…”. L’umano diventa un tutt’uno con la sua casa, e i pensieri escono dalla testa come se fosse fumo che esce dal camino, e la vignetta è accompagnata da “I pensieri vanno avanti e i corpi stanno a casa”. Un’altra bellissima donna dal volto alla Picasso piange lacrime di mancanza e nostalgia per qualcuno, mentre si apre in un abbraccio largo ai lati del corpo, ma consapevolmente vuoto. Il 14 marzo si fanno “Abbracci con distanza”, le persone care non possiamo averle con noi, ma possiamo pensare a loro talmente forte, da stringerle con affetto e intensità. Il 17 marzo “Srotoliamoci nelle possibilità” ci consiglia Sissi, prendiamo un mattarello o un bel rotolo di stoffa, e dispieghiamolo sul tavolo per cucinare o cucire. Il 20 marzo siamo “Vite in crisalide” in questo periodo di quarantena. Lo stadio pupale della farfalla che Sissi disegna, rieccheggia una sua opera in Vestimenti, ed è metafora di individui che si muovono tra i bozzi dei loro letti e dei loro divani, assaporando i momenti di relax. Al giorno 28 possiamo scoprire che “Stare vicino alle cose costruisce il momento”; circondiamoci di cose, libri, oggetti, scoperte e potremo edificare una serie di momenti. Il 30 marzo invece riflettiamo sul fatto che “I flussi nervosi ci fanno… navigare”, e con questo disegno in cui dei fili continui creano una matassa che parte dal cuore e si collega al cervello, Sissi scatta con l’aiuto della linea continua una fotografia del sistema nervoso, esattamente come aveva fatto per “Vestimenti” con pezzi di tessuto, ago e filo. Perché è sempre il corpo, la figura, il nostro rapporto con esso e in questa corrente situazione, la relazione che il corpo ha con la spazialità ristretta della casa, ad essere protagonista indiscusso delle opere di Sissi. La tecnologia ci permette quindi di visitare una mostra, senza poter raggiungere, per ovvie motivazioni, la sua sede espositiva. L’arte ci risulta comunque vicina, ristretta nello schermo del computer o del pc, che diventa una specie di binocolo per le cose che non possiamo toccare. Certo non sappiamo quali emozioni ci avrebbero pervaso, se fossimo stati presenti, di fronte alle opere dell’artista Sissi, ma possiamo comunque essere arricchiti, fare arte e ricevere arte attraverso le grandi innovazioni che il web, i dati mobili e le memorie interne dei nostri strumenti tecnologici ci garantiscono. di Valentina Lilla Nel corso della storia, l’arte ha sempre avuto un ruolo primario nella vita dell’uomo. In questo difficile momento che l’umanità intera sta attraversando, l’arte continua ad assumere un ruolo essenziale, in risposta alle esigenze del presente. Essa diventa un’ancora di salvataggio per la nostra mente, mentre siamo costretti a rifugiarci da un nemico comune, esterno ed invisibile; l’arte figurativa ci apre un varco verso il mondo, verso la speranza. Ma questo è possibile, oggi, grazie alla tecnologia digitale, che permette di raggiungere virtualmente le opere d’arte, nei luoghi in cui esse si conservano. Il Museo laboratorio della mente di Roma Questo articolo vuole rivolgere uno sguardo su due musei che per certi versi, dal punto di vista contenutistico, sono analoghi: il Museo laboratorio della mente di Roma e il Museo di Antropologia Criminale Cesare Lombroso di Torino. Il primo, ospitato presso l’ex ospedale psichiatrico di Santa Maria della Pietà, a Monte Mario, illustra la storia del manicomio fino a quando, con l’istituzione della legge 180, meglio conosciuta come legge Brasaglia[1], esso dovette definitivamente chiudere i battenti. La particolarità di questo museo, che utilizza diverse tipologie di comunicazione visiva e sensoriale, consiste nel richiamare l’attenzione su temi di massima importanza, ma troppo spesso trascurati dalla società. Installazioni multimediali, realizzate anche grazie al coinvolgimento di attori della compagnia teatrale Studio azzurro, propongono un percorso sensoriale ed interdisciplinare dentro le stanze del museo, lungo i corridoi, fino nelle antiche celle, coinvolgendo il visitatore, in tutti i cinque sensi, al punto da portarlo a una totale immedesimazione dentro gli ambienti dell’antico manicomio. Insieme alle istallazioni, lungo il percorso espositivo entrano in gioco diverse arti, dalla grafica fino al teatro: i manufatti esposti dentro il museo sono in gran parte disegni realizzati dagli stessi prigionieri del manicomio; essi sono messi a confronto con i disegni eseguiti dagli stessi medici e dagli psichiatri, che si servirono degli strumenti grafici nel tentativo di esplorare le profondità della psiche dei loro pazienti[2]. D’altronde , l’indicazione basagliana di “entrare fuori uscire dentro” è tuttora particolarmente adatta a esprimere il bisogno, oggi più che mai diffuso da parte di tutti noi, di varcare la porta del nostro io. Ebbene, anche il Museo laboratorio della mente di Roma per fronteggiare l’emergenza COVID-19 ha lanciato l’interessante iniziativa delle Pillole contro il virus. Si tratta di una serie di video-interventi tematici, di tre minuti ciascuno, cui partecipano scienziati, storici, antropologi, storici dell’arte, filosofi, medici ed artisti[3]; tali Pillole sono accessibili tramite il canale YouTube del Museo Laboratorio della Mente, aperto in occasione di questa nostra oscura, parentesi sociologica. Vale la pena segnalare, in particolare, l’intervento dello psichiatra Gaddomaria Grassi, presidente del centro di storia della psichiatria di Reggio Emila, che analizza un paziente di metà del secolo scorso, il pittore e scultore Antonio Ligabue, proponendo in questo modo una particolare rivisitazione del personaggio in questione[4]. Si tratta di una splendida ed interessante iniziativa, dal punto di vista didattico e scientifico. Tuttavia, nonostante il tentativo di riavvicinarsi alla società attraverso l’apertura di questo canale, il museo non ha finora proposto un’esplorazione virtuale dei suoi spazi, né ha avviato alcuna attività di comunicazione attraverso i canali social. Ciò può sorprendere, tanto più perché la carta vincente di questo museo è proprio nell’utilizzo degli strumenti tecnologici. Il cosiddetto museo virtuale, per potersi definire come tale, dovrebbe infatti condividere parte delle caratteristiche del museo tradizionale[5], non trascurando la comune mission: dovrebbe cioè essere accessibile al pubblico, se pur virtualmente, proponendo un tour virtuale che possa garantire la possibilità di esplorare gli ambienti espositivi anche attraverso lo schermo del nostro computer. [1] Legge 13 maggio 1978, n. 180 " Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori " pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 16 maggio 1978, n. 133. [2] Un tipico esempio sono i disegni e ritratti realizzati dallo psichiatra Cesare Lombroso, studiando il comportamento dei criminali. Come disse l’artista Francesco De Stena in un articolo pubblicato su Repubblica il 21 dicembre 2017, «l'impegno più grande di Lombroso è stato quello di dare umanità alla sua figura [scil. del malato], cercando di raccontare, con il disegno, le sue fragilità, ma anche la sua forza». [3] https://www.youtube.com/channel/UCJ7yMvsn3qZQRSlHDpbQwvQ [4] https://youtu.be/rsKR2tvObpY [5] ICOM : Il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società, e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali ed immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, e le comunica e specificatamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto. La definizione ICOM è stata inclusa dalla normativa italiana: il Decreto ministeriale MIBAC 23 dicembre 2014 Organizzazione e funzionamento dei musei statali all’art.1 la riprende totalmente, con una precisazione finale : promuovendone la conoscenza presso il pubblico e la comunità scientifica. Il Museo di Antopologia Criminale Cesare Lombroso
Una ben diversa risposta all’emergenza COVID-19 è stata data, fino nella riorganizzazione del proprio sito internet, dal museo di antropologia criminale Cesare Lombroso. Quest’ultimo, fondato nel 1876 a Torino dal medico e antropologo Cesare Lombroso, predispone di una pagina web aggiornata, funzionale ed esaustiva, che per di più permette al visitatore la possibilità di un tour virtuale della collezione. Andando sulla pagina iniziale, infatti, ci si presenteranno diverse alternative di visita, una volta cliccato, appunto, il pulsante visita. L’area dedicata alla visita virtuale è introdotta da un video realizzato del regista Alessandro Rocca. Segue la visualizzazione dell’intera pianta del sito. Basterà in questo caso fare un semplice click sui riferimenti numerici delle sale del museo, per accedere alla sezione corrispondente, per poi tornare successivamente alla pianta generale con un ulteriore click. È altresì disponibile un elenco delle opere esposte, corredato di immagini, didascalie e descrizioni, suddivise secondo la rispettiva collocazione nelle sale del museo. L’ultima area del sito internet è sicuramente quella che attira maggiormente l’attenzione del visitatore, cui è offerta la possibiltà di interagire con i modelli 3D direttamente sul proprio smartphone o tablet, che sia provvisto di app per la lettura del QR- code. Meritano una particolare segnalazione le nuove postazioni touch screen predisposte nella sala 6 del museo, dedicata al tema delle “Menti criminali”. Esse rendono possibile fruire digitalmente di circa cento ceramiche (orci per l’acqua), incise dai detenuti delle carceri “Le Nuove” e “La Generala” di Torino: si tratta di una postazione interattiva che permette la visione a 360 gradi di ciascun oggetto, grazie alle tecniche di 3D imaging[1]. [1] https://www.museolombroso.unito.it/visita/orci-3d/ di Veleria Gentili
L’M9Museum o Museo Multimediale del ‘900 è in polo museale dedicato alla storia del Novecento. È stato inaugurato nel 2018 dopo una lunga gestazione. Era il 2000 quando un comitato di cittadini di Mestre avanzò la proposta di recuperare un vecchio edificio scolastico abbandonato, per allestirvi un museo che ripercorresse la storia della città fin dalla sua fondazione antica, ove fossero esposti i reperti archeologici rinvenuti nel territorio. Questo progetto, così strutturato, venne dal sindaco rifiutato. La proposta fu però con forza rilanciata, grazie al sostegno che i cittadini ebbero da parte di Giorgi Sarto e dell’Assessorato alla cultura di Venezia, allorché si propose di realizzare un’esposizione intitolata Mestre ‘900, da cui si sarebbe sviluppato il progetto del “primo museo a Mestre” che illustrasse lo sviluppo storico della città, soprattutto tra gli anni Venti e Settanta del XX sec. Nel 2005 la Fondazione di Venezia (fondazione bancaria dell’ex Cassa di Risparmio di Venezia) decise di compiere un investimento oneroso per sostenere questo progetto: al prezzo di 30 milioni di euro acquistò un ampio lotto di terreno sul quale vi erano caserme dismesse, ed un isolato di 9000 m2 con vecchi edifici. Venne dunque bandito un concorso per la progettazione di M9, che fu vinto dallo studio tedesco di Matthia Sauerbruch e Louisa Hutton. I quali proposero un progetto basato sulla riqualificazione urbana integrando vecchi e nuovi edifici, costruiti secondo i principi dell’ecosostenibilità. Tra gli edifici riqualificati ed annessi al nuovo polo si impone l’ex convento benedettino di Santa Maria delle Grazie, del XVI sec. Il rivestimento esterno, in ceramica colorata, contraddistingue ed identifica a colpo d’occhio l’intera struttura sullo scenario urbano. Inaugurato il 1° dicembre 2018, nel solo primo mese di apertura ha attirato ben 12.000 visitatori. Ma qual è la caratteristica di questo museo? Il museo “prende vita” grazie alla partecipazione attiva del pubblico: l’interazione è alla base dell’esperienza che ogni visitatore fa nel museo. Ogni visitatore può infatti inventarsi di volta in volta un percorso diverso, in base ai propri interessi e curiosità, interagendo con i molteplici dispositivi multimediali. Per guidare il visitatore alla scoperta della storia dell’Italia del XX sec., sono state predisposte circa sessanta istallazioni multimediali ed interattive che includono: schermi interattivi (posti in orizzontale o verticale), approfondimenti audio-visivi, proiezioni virtuali a parete, istallazioni che ricostruiscono tappe storiche, mappe interattive, visori di realtà virtuale ed esperienze in ambienti immersivi. Questi sono poi accompagnati da fotografie e da svariati oggetti esposti, corredati da descrizioni audio e pannelli didattici. Questo tipo di allestimento immersivo e coinvolgente non riguarda solo la collezione permanente, ma anche le esposizioni temporanee, come quella attualmente in corso con il titolo “Luna City”, dedicata ai 50 anni dello sbarco dell’uomo sulla Luna. L’esposizione permanente dell’M9 è ospitata all’interno dei primi due piani dell’edificio principale. Il terzo piano è dedicato alle mostre temporanee legate al design, alle nuove tecnologie ed alle scienze. Il piano terra ospita un cinema dove è utilizzata la tecnologia 4K. Esoste poi uno spazio M- Children interamente riservato all’esperienza museale multimediale dei bambini. Occorre però osservare come durante l’emergenza COVID-19, il sito internet dell’M9Museum non proponga alcun tour virtuale, che non potrebbe in alcun modo sostituire l’esperienza immersiva del museo. Sitografia: https://www.m9museum.it/ http://www.fondazionedivenezia.org/activity/museo-m9/ https://www.artribune.com/arti-visive/2019/05/m9-mestre/ https://www.inexhibit.com/it/mymuseum/m9-museo-del-novecento-venezia-mestre/ https://www.beniculturalionline.it/location-704_M9-Museo-del-Novecento.php di Carlo Dell'Erba Nell’ambito della Biennale di Venezia del 2015, aperta al pubblico dal 9 maggio al 22 novembre, la mostra “Codice Italia” era ospitata all’interno del padiglione italiano, allestita da Giovanni Francesco Frascino, per quanto riguardava il progetto espositivo, e curata da Vincenzo Trione, docente universitario, collaboratore del “Corriere della Sera” e curatore di numerose mostre in musei italiani e stranieri. Sono stati invitati a esporre artisti diversi, accomunati dall’idea di rivolgere attraverso le loro opere e usando linguaggi diversi – pittura, scultura, disegno, fotografia, video, performance, cinema – uno sguardo sui momenti diversi della storia dell’arte italiana. Scriveva il curatore: “Pur seguendo strade differenti, gli artisti di Codice Italia vogliono reinventare i media e, insieme, frequentano in maniera problematica materiali iconografici e culturali già esistenti. Anche se in sintonia con gli esisti più audaci della ricerca artistica internazionale, si sottraggono alla dittatura del presente. Codice Italia vuole riattraversare significative regioni dell’arte italiana di oggi, facendo affiorare alcune costanti: assonanze poco manifeste, corrispondenze inattese, ripercorre rilevanti esperienze poetiche contemporanee, con l’intento di delineare i contorni di quella che, al di là di tante oscillazioni rimane l’identità italiana”. Insieme ai quindici artisti italiani, Trione ha chiamato a esporre le loro opere e a rendere omaggio al nostro Paese anche tre importanti artisti stranieri: il francese Jean-Marie Straub, il sudafricano William Kentridge e il gallese Peter Greenaway. Quest’ultimo parallelamente all’attività di regista cinematografico, iniziava sin dagli anni Novanta ad esporre soprattutto installazioni multimediali in numerose città europee. La sua arte, così come testimoniano i suoi film, è caratterizzata da un forte impatto visivo e da tematiche estreme come la sessualità e la morte: è l’arte stessa, intesa come strumento per interpretare la realtà, a diventare oggetto di riflessione alla base dei suoi lavori. Per quanto riguarda la pittura Greenaway è attratto specialmente dal Manierismo e dal Barocco, ritenendoli epoche molto affini alla nostra, in particolar modo perché in età manieristica e in età barocca non si fece altro che rielaborare spunti e motivi provenienti da età precedenti, come quella antica e quella rinascimentale. Greenaway è attratto soprattutto dalle opere di Bronzino, Veronese, Tiepolo. Il suo interesse per la storia della pittura si concretizza nel suo linguaggio cinematografico, a partire dalle singole inquadrature dei suoi film: queste sono realizzate come opere pittoriche, sia che si tratti di sceneggiature semplici e spoglie, sia che, al contrario, si tratti di scenari ridondanti e barocchi. L'obiettivo del regista non è quello di impressionare o emozionare lo spettatore con l'intreccio narrativo o con la spettacolarità dei suoi film, quanto quello di privilegiarne l'impatto visivo. Il suo desiderio è quello di far immergere chi osserva dentro il suo universo simbolico di forme, di sommergerlo con una serie infinita di dettagli e indizi, disseminati lungo tutte le sue inquadrature e facendo in modo che da ogni particolare sia possibile sempre dedurre nuove aperture e suggestioni. Greenaway, come Kentridge e Straub non fa altro che proporre una personale interpretazione del passato attraverso l’utilizzo di strumenti nuovi ed innovativi. Così a Venezia, nel 2015, Greenaway ha voluto proporre un vero e proprio viaggio attraverso la storia della pittura, dagli affreschi di Pompei ai dipinti di Morandi, passando per Leonardo, Raffaello e Michelangelo: il regista ha estratto una serie di "tasselli visivi" (libri, mani, sangue, occhi) per ricomporli inesieme mettendoli in dialogo tra loro. A proposito di questa installazione multimediale, Greenaway ha spiegato, in una sua intervista (https://www.youtube.com/watch?v=NKRTMKB2ijw) la sua idea di arte e, in particolare, il suo rapporto con l’Italia. |
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Marzo 2024
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