di Alessandra Perna
La Biennale di Architettura di Venezia del 2016 (28 maggio - 27 novembre) ha ospitato una memorabile esposizione, intitolata “A world of fragile parts”, curata da Brendan Cormier e realizzata in collaborazione col Victoria and Albert Museum di Londra (che conserva, com'è noto, le riproduzioni in gesso, realizzate nel XIX secolo, di numerosi capolavori della storia dell'arte, dall'antichità fino all'eà rinascimentale. La mostra presentava alcune riproduzioni moderne di opere d'arte del passato realizzate attraverso le più sofisticate tecnologie odierne, allo scopo di sollecitare una riflessione sull'utilizzo degli strumenti tecnologici in funzione della preservazione, della valorizzazione, della conoscenza e della fruizione dei fragili capolavori artistici di ogni epoca. Lo stesso curatore scriveva: “la crescente accessibilità alla scannerizzazione e stampa in 3D non potrebbe essere più tempestiva, data la minaccia sempre più incombente di distruzione e danneggiamento del patrimonio materiale globale”. Sempre Cormier si poneva diversi interrogativi: “Con l’emergere di nuove tecniche di scansione e di produzione, è nato un nuovo impegno a preservare attraverso le copie. Questo porta con sé una serie di domande difficili: Cosa possiamo copiare e come? Che differenza c’è fra una brutta copia e una che mantiene il valore nel tempo? Qual è il rapporto fra copia e originale in una società che privilegia l’autenticità? E come sarà possibile coordinare efficacemente un tale impegno su scala davvero mondiale e inclusiva?" Nel corso del XX secolo le copie non hanno goduto di buona considerazione. Walter Benjamin, del resto, pensava che la riproduzione (fotografica) di un’opera d’arte, per quanto fedele, perdesse l'"aura" e rischiasse, per di più, di farla perdere all'originale che, una volta riprodotto, cessava di essere unico. Oggi sembra che sia in atto un vero e proprio capovolgimento di giudizio nei confronti delle copie. A Venezia nel 2016 era presente anche la Factum Arte che, in collaborazione con Giberto Arrivabene Valenti Gonzaga, presentava una "Paolina Borghese" del tutto inedita. Si trattava di tre copie realizzate rispettivamente in cera, in vetro ed in silicone, tutte a scala ridotta rispetto all’originale. Secondo Mario Guderzo: ”Non sono copie e non sono repliche 1:1, ma si tratta di 'interpretazioni' affidate a materiali non canonicamente canoviani e comunque in linea col nostro tempo.” Le repliche colorate della Paolina sono realizzate attraverso una scansione diretta, fatta con scanner 3D all’avanguardia, del marmo custodito alla Galleria Borghese. Proprio qui, nel 2013 si sono incontrati Arrivabene e lo stesso Adam Lowe, fondatore della Factum Art, per realizzare la scansione e discutere del progetto delle “tre Paoline”. Nasceva così un’opera d'arte del tutto nuova, che destava, come abbiamo visto nelle parole di Cormier, una moltitudine di interrogativi a cui è difficile dare una risposta. Martin Roth, direttore di V&A affermava che “le repliche sono un fenomeno del nostro tempo e stanno rapidamente trasformando l’attitudine verso l’autenticità. Complementare alla conservazione ‘tradizionale’, è evidente il valore attribuito alla cultura di creare, conservare e proteggere accurati archivi di oggetti che un giorno potrebbero non esistere più o non essere più disponibili. Tuttavia, le abilità tecniche a nostra disposizione sollevano questioni difficili”. Link e crediti: https://www.bassanonet.it/news/26802-paolina_la_divina.html https://vimeo.com/64163475 http://www.ansa.it/lifestyle/notizie/incartellone/arte/2016/11/06/dai-calchi-al-3d-una-copia-salvera-larte-ferita_d23061d9-e031-4980-b64b-6729692be205.html http://www.platform-ad.com/it/world-of-fragile-parts-special-project-of-biennale-architettura-2016/ http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2016-09-10/paolina--calcata-e-moltiplicata--145401.shtml?uuid=ADUNi08&refresh_ce=1 http://www.macoitalia.eu/trasporto-pannelli-rassegna/ .
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