di Manuel Mohaddere Nel 2016 la Biennale di Venezia, in un progetto realizzato in collaborazione con il Victoria & Albert Museum, intitolato ‘A World of Fragile Parts’ curato da Brendan Cormier, ha affrontato il tema della riproduzione digitale delle opere d’arte e di tutte le questioni che la tecnologia apre rispetto alle nuove modalità di fruizione, di osservazione, di interpretazione. D’altronde la produzione di copie si sta rivelando in molti casi come un mezzo per ridurre i rischi che l’esposizione pubblica di un’opera comporta. I musei in tal senso hanno una lunga tradizione nella produzione di copie, proprio a partire dal Victoria & Albert Museum di Londra che nel 1867 lanciò una prima campagna internazionale per promuovere la riproduzione di calchi di gesso, fotografie ed elettroformature di opere d'arte. Da allora le copie hanno acquisito una nuova funzione: quella di documentare lo stato di conservazione di un’opera d’arte oltre a quella di preservarla ai rischi dell’esposizione pubblica. Ne è un esempio il busto di Nefertiti la cui sofisticatissima riproduzione digitale ha destato molto clamore a livello internazionle. Si tratta di un capolavoro dell’arte egizia, riportato alla luce un secolo fa in Egitto, appunto, e trasferito in Germania. Le autorità egiziane ne hanno richiesto la restituzione fin dalla sua presentazione a Berlino al pubblico nel 1924. Oggi esiste una dettagliata scansione tridimensionale del busto, al Neues Museum, che però non è stata ancora resa disponibile al pubblico. In risposta a ciò gli artisti Nora Al Badri e Nikolai Nelles hanno inscenato un furto d'arte ‘etico’, che hanno chiamato #NefertitiHack, che è consistito nello scansionare segretamente il busto usando un controller Kinect per Xbox. Il file digitale del busto è stato caricato in rete e reso di dominio pubblico sotto forma di file torrent. Gli artisti hanno esposto così l'esatta copia 3d del busto in Egitto per la prima volta. Dal febbraio 2010 è proibito scattare foto, una misura cautelativa per proteggere i pigmenti colorati, rovinati dai troppi flash. La scultura è comunque da tempo una delle opere dell'Antico Egitto più imitate, non di rado per scopi commerciali illeciti. Grazie ai dati diffusi online dai due artisti è ora possibile realizzare una riproduzione della testa regale precisa al centesimo di millimetro. Nel giro di 24 ore dalla pubblicazione ci sarebbero stati più di 1000 downoload del torrent originale e una copia sarebbe stata realizzata anche dall'Università Americana del Cairo. Secondo Al-Badri e Nelles le nuove frontiere tecnologiche offrono ai musei l'opportunità di restituire ai legittimi proprietari e alla loro identità storica milioni di reperti archeologici, che possono essere sostituiti da rappresentazioni digitali (sfruttando ad esempio le potenzialità della realtà virtuale) o duplicati con la stampa 3D. Partendo dalla mappatura, la paleo-artista Elisabeth Daynes ha ricostruito poi il volto in 3D della regina: un processo meticoloso che ha richiesto circa 500 ore di lavoro. Infine, i designer dell'atelier Dior hanno completato il lavoro progettando per Nefertiti gioielli fatti a mano, partendo delle illustrazioni geroglifiche che la ritraggono. Il risultato è stupefacente, ma non sono mancate le polemiche: l'imaging 3D infatti ha riprodotto perfettamente la struttura facciale della mummia, ma non l'incarnato e il colore degli occhi, affidati all'interpretazione dell'artista. Alcuni hanno così criticato la scelta di riprodurre Nefertiti con la pelle così chiara. Nonostante le critiche, la straordinaria scultura fornisce una rappresentazione accurata del suo aspetto andando ad aggiungere un altro tassello nella storia delle dinastie egiziane. Nefertiti è ricordata come una delle donne più belle della storia, ha governato durante uno dei periodi più prosperi del mondo antico. Ma come molte delle figure femminili più importanti della storia, la sua eredità è stata oscurata. La regina egizia ha governato a fianco del marito Akhenaton dal 1351 a.C al 1334 a.C. Il suo nome significa “la bella è arrivata” ed esso si riferisce alla funzione divina della regina, che è vista come l’incarnazione di una dea lontana, ritornata per poter donare il suo amore al Faraone. Durante il loro regno, i due coniugi cercarono di imporre una religione di stampo enoteistico, la quale prevedeva la superiorità del dio Aton nei confronti di tutti gli altri dei. Il busto originale di pietra calcarea non riporta alcuna iscrizione in geroglifici. Ha potuto tuttavia essere identificato come il ritratto di Nefertiti sulla base della caratteristica corona, che Ludwig Borchardt definiva "parrucca", in analogia con altre raffigurazioni. La scultura appartiene al periodo del re Akhenaton, perciò alla diciottesima dinastia (Nuovo Regno). Nell'ambito del periodo di Amarna, la creazione dell'opera, sulla base delle sue caratteristiche formali, è attribuita alla cosiddetta "tarda fase di Amarna", che coincide con gli ultimi anni del regno di Akhenaton.
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Marzo 2024
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