di Armando De Mare «Aggiornare l’infrastruttura tecnologica del Museo, aggiornare il linguaggio e la funzione dei social media attraverso uno spirito poetico e letterario, creare un archivio digitale di saperi prodotti in oltre trentacinque anni di attività del Museo, nonché trasformare il sito Internet da semplice luogo di informazione sulle attività del Museo ad archivio digitale online e spazio virtuale dell’arte digitale, vero e proprio “Museo” di opere realizzate appositamente per questa nuova dimensione artistica ed elaborate in modo da creare un rapporto inedito con la coscienza del visitatore online»[1]: questi gli ambiziosi obiettivi che si è posto il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea con l’inaugurazione di “Cosmo digitale”, la sua sede online. Il Museo, ospitato nella residenza sabauda del castello di Rivoli, si è distinto tra i più importanti musei italiani dedicati all’arte contemporanea sin dalla data della sua inaugurazione avvenuta il 18 dicembre 1984, con la mostra Ouverture, e ancora di più a partire dagli anni Novanta con la costituzione della collezione permanente. Grazie alle numerose donazioni fatte dagli artisti e dai sostenitori pubblici e privati oggi il Museo vanta le opere di numerosi artisti nazionali ed internazionali (tra cui possiamo menzionare Emilio Vedova, Giulio Paolini, Dennis Oppenheim, Helmut Newton e Nam June Paik, solo per citarne alcuni) collocate nelle sale come in un dialogo aperto con le architetture degli ambienti storici del Castello. Durante l’emergenza Covid-19 Nel dicembre del 2020, distinguendosi nel panorama italiano per una tale tipologia di progetto, nel pieno della pandemia da Covid-19, il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea con “Cosmo digitale”: venue ha creato non un sostituto, un palliativo, né un’alternativa ma un ‘complemento’ dell’esperienza museale già esistente. “Cosmo digitale” rappresenta una sede online del Museo, dove esibire operazioni artistiche, oppure condividere conferenze in streaming o documenti digitali, tutti creati ad hoc. Tale progetto, che ha visto la luce nell’ambito delle esigenze profilatesi nel periodo della pandemia, non è stato concepito dal Museo come un’esperienza temporanea. Al contrario, “Cosmo digitale” intende continuare a presentare contenuti digitali ai suoi fruitori come esperienza complementare alla visita fisica al Museo. Significative, in tale sendo, sono le parole di Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice del Castello di Rivoli, usate per descrivere “Cosmo Digitale” : «conservare, studiare ed esporre opere d’arte è un compito centrale del Museo ma da soli non sono sufficienti a perseguire gli obiettivi di un museo d’arte contemporanea del XXI secolo. Un’identità che si forma attraverso l’incontro e l’apertura esige infatti un rinnovamento ininterrotto, in sintonia con la rapida e profonda evoluzione della società. La scelta di aprire ora una sede virtuale nasce dalla nostra consapevolezza di come in un momento di emergenza sanitaria che coinvolge l’intero Paese sia oltremodo necessario rendere condivisibili iniziative e contenuti culturali che consentano di oltrepassare i limiti fisici della fruizione culturale contingentata e avvicinino il pubblico all’istituzione. Il COSMO DIGITALE non sostituisce una visita al Museo, né l’unicità dell’intenso incontro fisico ed emozionale che si può vivere soltanto negli spazi reali e con il corpo delle opere o delle performance, ma aggiunge dimensioni ed esperienze più private e screen-based».[2] “Cosmo digitale” Collegandosi al portale di “Cosmo digitale”[3], tra le più recenti opere pubblicate, è possibile visionare “Elegia al Museo come era prima” dell’artista scozzese Susan Philipsz: un’iterazione online dell’opera “Filter” (1998), installazione sonora al Laganside Buscentre, Belfast, dove ogni 15 minuti risuona attraverso il sistema di amplificazione la voce dell’artista che canta canzoni pop malinconiche con temi di desiderio e fuga quali “Who Loves the Sun” dei Velvet Underground, “Airbag” dei Radiohead, “Jesus Don't Want Me For a Sunbeam” dei The Vaselines e “As Tears Go By” dei Rolling Stones. Un altro interessante contributo è rappresentato dalle conversazioni tra Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice del Museo, con l’artista digitale Mike Winkelmann alias Beeple che si sviluppano in brevi video suddivisi in due stagioni. L’obiettivo è quello di fornire un approfondimento sulla ricerca dell’artista, di interrogarsi sulla produzione artistica distribuita solo attraverso piattaforme digitali e di riflettere sulla sua lettura nella cultura contemporanea. Infine, di grande interesse per il legame tra l’attività artistica e le tematiche della guerra è la rassegna di opere filmiche e immagini in movimento realizzate da artisti contemporanei di nazionalità ucraina intitolate “Una lettera dal fronte” e a cura dall’artista Nikita Kadan (Kiev, 1982) con Giulia Colletti, tra cui spiccano “Flag is burning” e “Second attempt” di Yaroslav Futymsky e “Where are Your Big Ears Dear Dead Grandma?” di Katya Libkind Navigando in “Cosmo digitale” appare chiaro come a partire da un’esigenza reale e apparentemente temporanea, profilatasi durante il periodo di chiusura dei musei derivato dal Covid-19, il progetto di una sede virtuale del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea sia diventato un complemento indispensabile ed articolato, destinato ad arricchire l’esperienza che del Museo si può fare in situ. [1] https://www.castellodirivoli.org/castello-rivoli-apre-cosmo-digitale/ [2] Ibidem. [3] https://www.castellodirivoli.org/mostra/cosmodigitale/ Sitografia https://www.castellodirivoli.org/castello-rivoli-apre-cosmo-digitale https://www.castellodirivoli.org https://www.castellodirivoli.org/mostra/cosmodigitale Didascalie 1. Castello di Rivoli 2. Contenuti Cosmo Digitale 3. Pagina Web Cosmo Digitale
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Nel mese di ottobre 2022 il LAT è stato finalmente riconosciuto dal Comitato di Gestione e Coordinamento del Centro di Eccellenza della Regione Lazio tra quelli facenti parte della comunità ad oggi formata da oltre 270 laboratori e 700 ricercatori. Il Laboratorio Arte e Tecnologie (LAT), istituito nel 2020 presso il Dipartimento degli Studi letterari, filosofici e di storia dell’arte dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, promuove le attività didattiche e di ricerca storico-artistica collegate a diversi progetti di innovazione tecnologica per i quali il Dipartimento si è avvalso negli ultimi anni di finanziamenti regionali e statali. Il progetto, coordinato dal prof. Carmelo Occhipinti, dalla dott.ssa Federica Bertini e dal dott. Giorgio Fornetti, è costituito da un gruppo di collaboratori accuratamente selezionato. I settori principali di ricerca sono legati all’archiviazione elettronica delle fonti della letteratura artistica e alla fruizione del patrimonio in relazione alle nuove tecnologie. Il laboratorio è dotato di un’attrezzatura hardware e software idonea allo svolgimento di progetti proposti. Il gruppo di lavoro formato da: Simonetta Baroni, Stefano Ciccone, Manuel Marino, Eliana Monaca, Olga Concetta Patroni, Maria Assunta Sorrentino. Collaborano inoltre Claudio Castelletti e Marina Manuela Cafà. Afferenti: Barbara Agosti, Walter Angelelli, Sandra Antoniazzi, Rossana Buono, Carlotta Sylos Calò, Maria Grazia D’Amelio, Stefano Gallo, Donatella Gavrilovich, Francesco Grisolia, Giuseppe Patella, Francesca Pomarici, Marco Re.
La Mission del LAT è quella di porre l’Università al centro di una rete di relazioni nazionali e internazionali al fine di favorire uno scambio e un confronto scientifico incentivando progetti di ricerca interdisciplinare. Un fondamentale contributo all’attivazione del progetto LAT è da attribuirsi alla partecipazione a progetti e Bandi pubblici dal 2015 fino ad oggi. Per diffondere le attività del LAT sono da tempo attive le Collane Arte e Tecnologie di Horti-Hesperidum, curata da Federica Bertini e Simonetta Baroni e Fonti e testi, curata da Carmelo Occhipinti. Tra gli incontri di studio si segnalano l’appuntamento annuale di “Tecnology for art and art history” che comprende i Convegni internazionali “Strumenti, strategie e tecnologie per la fruizione e la didattica dell’arte e della storia dell'arte” (tenutosi nel 2020) e “Neologismi nella critica artistica contemporanea. Nuovi media, nuove tecnologie, nuove prospettive metodologiche” (in programma per il 25 novembre 2022). Inoltre dal 2019 è stato attivato il Master MANT “Nuove tecnologie per la comunicazione, il cultural management e la didattica della storia dell’arte: per una fruizione immersiva e multisensoriale dei Beni Culturali” . In questo ambito sono stati sviluppati i progetti: “Osservatorio Mostre Arte e Tecnologia” , “Calliope Arte e Narrativa” e “Street Art in Provincia. Modelli di schedatura tattilo-sensoriale” per l’arte contemporanea. La tecnologia può aiutarci a cogliere il grande mistero dell’arte, solo se degli strumenti che essa ci offre sappiamo servirci consapevolmente, mettendoli al servizio di progetti didattici “umanistici” e ritrovando un dialogo tra scienza e umanesimo di cui sentiamo oggi un fortissimo bisogno. Lo dimostra bene, negli ultimi anni, la collaborazione tra uno storico dell’arte e un fisico, Carmelo Occhipinti e Giorgio Fornetti, all’Università di Roma “Tor Vergata”.
Il 12 agosto 2021, in occasione di Dabar Estate, organizzato dall’Arcidiocesi di Gaeta, sono state per la prima volta presentate al pubblico, in un contesto straordinariamente suggestivo come quello della Terrazza del Campanile del Duomo, le spettacolari riproduzioni 3D del ciclo decorativo della Cappella Dorata. di Rossana Buono I capolavori della Storia dell'Arte vivono in eterno non solo nella ammirazione dei fruitori delle diverse generazioni, ma anche nella reinvenzione degli artisti di epoche successive che ne traspongono su altri piani l’idea generatrice dell’opera. È il caso della Ultima Cena di Leonardo da Vinci la cui immagine è recentemente uscita dalla parete del Refettorio del Convento di S. Maria delle Grazie a Milano per riapparire nell’invaso della cupola della Basilica di S.Maria di Montesanto, detta la Chiesa degli Artisti, in piazza del Popolo a Roma, in occasione della festa del Corpus Domini il 6 giugno 2021. Miracolo della tecnica... e non solo! La visione estatica che rapisce chi è entrato nella chiesa dal 4 al 11 giugno si deve alla geniale invenzione di Armondo Linus Acosta (regista e autore) che ha creato un cortometraggio della durata di nove minuti: già presentato a Milano, nel Palazzo Reale, in concomitanza con l'esposizione dell'arazzo vaticano riproducente il Cenacolo leonardiano (8 ottobre - 17 novembre 2019), The Last Supper: the Living Tableau si rivela di una potenza ipnotica incredibile, per via dei lenti e solenni gesti dei personaggi e della drammaticità della colonna sonora dello Stabat Mater di Rossini. Nella penombra della chiesa la testa va in su per guardare la scena della Sacra Cena sullo sfondo architettonico delle tre finestre che inquadrano il paesaggio esterno, così come Leonardo lo dipinse. Gli apostoli, ripresi in controluce, sono già seduti in gruppi di tre per volta, come nel dipinto leonardesco che viene riproposto nella fedeltà di ogni dettaglio. Lentamente appare la figura di Gesù Cristo che prende posto al centro della tavola imbandita e inizia con lenta e ieratica gestualità a protendersi verso gli apostoli. Tutti i personaggi sono somiglianti, nella fisionomia e nei costumi, in maniera impressionante a quelli dipinti da Leonardo. Non sono attori professionisti ma addetti ai lavori su set cinematografici, notati dal regista per via della loro somiglianza con gli apostoli leonardiani, quindi scelti successivamente per il ruolo. Lo stesso Armondo Linus Acosta si è prestato ad impersonare l'apostolo Taddeo. Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo hanno provveduto ad animare la scena in modo originale, mettendo in opera uno stratagemma che desse una particolare postura e una resa eccezionale dei costumi ai personaggi. Si sono serviti di calchi di gesso in cui calare i corpi degli attori affinché potessero con più facilità mantenere la posizione data e annullare la percezione plastica e naturale dei corpi attoriali. Inoltre Vittorio Storaro ha dato al cortometraggio una impronta di perfezione stilistica che contraddistingue la sua maestria, tra l’altro affermando che la sua intenzione era quella di rendere la pittura viva. La proiezione vive di due momenti distinti: con i fotogrammi in “bianco-nero” durante la reale celebrazione della messa dell’officiante di turno nella sottostante zona absidale della chiesa e poi successivamente col passaggio “a colori” quando, finita la celebrazione, si raggiunge la piena oscurità in tutta la chiesa, a porte chiuse. Con lo sguardo all'insù si viene estaticamente rapiti in un mondo irreale che è alle radici della storia umana e religiosa. Non prevale esclusivamente il sentimento religioso, ma si insinua una serena e suggestiva meditazione sulla condizione umana e sui suoi valori. Parla direttamente al cuore questo living tableau, senza scadere in banali sentimentalismi. Questa opera di Acosta si differenzia nella tipologia e nella finalità dalla Ultima Cena di Peter Greeneway (2008 Milano) che con esperimenti digitali mostra sulla immagine dell’opera leonardesca una sovrapposizione di schemi grafici, giochi di luce e isolamento di particolari come le mani per una lettura critica e scientifica del dipinto. Del tutto differente dall’afflato poetico e magico del Last Supper di Acosta, che è stato proiettato già a Gerusalemme nella Basilica del Santo Sepolcro durante la scorsa Settimana Santa e poi per papa Francesco al Vaticano. In un prossimo tour mondiale l’opera di Acosta riapparirà, di volta in volta in altre sedi, in contesti ambientali imprevedibili. Patrocinio del Dicastero per la Cominicazione della Santa Sede,
Ufficio Comunicazioni Socilai del Vicariato di Roma, Ministero Beni e Attività Culturali del Comune di Roma, Fondazione Film Commission di Roma e del Lazio di Federica Bertini La mostra BANKSY A VISUAL PROTEST al Chiostro del Bramante di Roma (8 settembre 2020 - 11 aprile 2021) avrebbe dovuto aprire le porte al pubblico intorno alla prima decade di marzo 2020, se il primo lockdown non lo avesse impedito. Dopo una inusuale inaugurazione a porte chiuse, avvenuta solo successivamente, nel mese di settembre del 2020, l’esposizione ha visto nuovamente chiudere i battenti appena dopo due mesi. Così, come è successo per altri musei e luoghi del patrimonio, tra chiusure e aperture contingentate, anche il Chiostro del Bramante ha dovuto proseguire parte delle proprie attività di visita e di didattica utilizzando gli strumenti digitali, condividendo materiali, esperienze e attività con i cittadini e soprattutto con gli istituti scolastici, la comunità degli studiosi e con i docenti. Tra le iniziative proposte, particolarmente interessanti sono quelle elaborate dal Dipartimento Educativo del Chiostro, diretto da Silvia Andreozzi, che ne è responsabile dal 2019. Il lavoro di questo dipartimento, come ci ha raccontato Silvia, «è strettamente legato alla divulgazione scientifica, alla gestione dell’attività didattica» anche in funzione della «formazione degli insegnanti e degli operatori didattici», con l’obiettivo di «creare un rapporto con le istituzioni perché il rapporto è fruttuoso solo se avviene uno scambio, una condivisione». Da anni il museo, la scuola e le università hanno instaurato un dialogo aperto per raggiungere obiettivi formativi comuni e, in quest’ottica, in un momento di emergenza, anche il digitale può fare la sua parte. Ecco perché Silvia ha accettato, nel dicembre 2020, di illustrare le prospettive della didattica digitale nel museo rivolgendosi ai corsiti del Master MANT - “Nuove tecnologie per la comunicazione, il cultural management e la didattica della storia dell’arte: per una fruizione immersiva e multisensoriale dei Beni Culturali” dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, proponendo altresì di sperimentare alcune attività didattiche rivolte agli studenti della classe IV H dell’IIS Falcone e Borsellino di Zagarolo a marzo 2021[1]. Tali esperienze hanno confermato quanto sia importante rilanciare un dialogo tra museo e cittadini, anche attraverso una rimodulazione di strategie e contenuti per una proposta in ‘digitale’ che non si riduca solamente alla fruizione alternativa, ma che diventi un’opportunità aggiuntiva di formazione e di approfondimento rispetto all’esperienza che del museo si può fare nel suo spazio fisico. Il primo Lockdown Nella prima fase di emergenza le opere di Banksy non erano ancora arrivate nei magazzini del Museo. Il progetto educativo era stato già pensato in vista di un consueto percorso espositivo, che si apprestava ad essere inaugurato e che prevedeva il coinvolgimento delle scolaresche attraverso l’utilizzo di specifici supporti didattici. Cosa è successo con l’improvvisa chiusura dei musei a conseguenza del primo lockdown? Silvia racconta agli studenti di avere proposto la sperimentazione di un’offerta didattica digitale ottenendo il benestare della direzione. Si trattava del progetto “INCONTRI DIGITALI”. Infatti, è proprio Silvia a spiegare che sarebbe stato infruttuoso riconvertire le attività già previste per la mostra in presenza, poiché «la riconversione può essere ammissibile per un breve periodo, come quello di emergenza, poi occorre fare ricerca, lavorarci. La sfida è stata quella di non trasportare la didattica in digitale ma quella di riprogettare» perché, come continua Silvia, «una visita guidata progettata per la presenza non può essere trasportata in digitale». Così, nel primo periodo è stata avviata una sperimentazione fatta, in prima battuta, di lezioni live che, da settembre 2020, sono entrate a far parte a tutti gli effetti dell’offerta educativa del Chiostro, accompagnate dalla creazione di contenuti e di attività pensate nell’ottica di una continuità progettuale, in una prospettiva a lungo termine. Come la stragrande maggioranza dei musei nazionali e internazionali anche il dipartimento educativo del Chiostro ha creato dei contenuti didattici in modalità asincrona rivolgendosi in prima battuta a bambini e famiglie: dei video che potessero presentare la struttura architettonica dello storico edificio bramantesco e la sua storia. Tra le varie attività, è stato chiesto ai bambini di partecipare ad un contest elaborando progetti grafici e disegni attraverso i quali personalizzare la veste architettonica del Museo. L’obiettivo – come spiega ancora Silvia – è stato quello di «avvicinare, anche se in digitale le persone al Chiostro, inteso come un luogo propulsore di cultura, dare un input e poi ricevere una risposta attiva e partecipata». Cosa succede dopo?
Dopo questa prima fase e dopo una riprogettazione dell’offerta didattica del Chiostro, a settembre, con il lancio del progetto “CHIOSTRO A SCUOLA: dal digitale al museo” sono state previste nell’offerta educativa due distinte tipologie di progetto: uno da svolgersi ‘on-site’ (in relazione alle mostre in programma) e uno ‘on-line’, a sua volta diviso in ‘solo digitale’ e in ‘forma mista: digitale e in presenza’. La scelta di una modalità mista si proponeva di favorire, per quanto possibile, la visita in presenza, che nessuna esperienza virtuale può sostituire. Tuttavia, dobbiamo riconoscere che il digitale, nel momento in cui sono state vietate le gite scolastiche e proposte restrizioni nel settore turistico, ha offerto (e offre ancora) la possibilità di rivolgersi alle scuole del territorio e non, e la modalità mista ha dato anche l'opportunità di riproporre la visita al museo offrendo dei biglietti agevolati ai ragazzi, da utilizzare in autonomia, al di fuori dall'orario scolastico, anche con la possibilità di organizzare aperture straordinarie e di effettuare le visite in inglese, spagnolo e francese, nell'ottica di un'esperienza formativa interdisciplinare. Cos’è “Chiostro a Scuola: dal digitale al museo”? «È live, con Teams, MEET o Classroom. Ad essere proposto è un materiale multimediale fatto di video, presentazioni, animazioni e soprattutto... interazione». L’esperienza in digitale, intesa come potenziamento e non sostituzione dell’esperienza che viene vissuta nello spazio fisico del museo, stimola una riflessione sul ‘making of’, ovvero illustra tutto ciò che c’è dietro ad una mostra, partendo da quella di Banksy. «Ad essere raccontate sono le professioni del museo, come le opere arrivano nel luogo espositivo, il problema di conservazione, il piano allestimento e focus terminologici». È Silvia a raccontare il motivo di questa scelta: «gli studenti non ne sanno molto, arrivano alla fine, quando è già tutto allestito e non si rendono conto del mondo che c’è dietro. Per esempio nella visita in presenza non si sarebbe potuto fare questa lezione, perché tutto l’interesse si concentra sempre sulle opere esposte. Così, nell’affrontare varie tematiche come il backstage si può dare realmente la percezione di ciò che è in realtà il museo». In questo modo è possibile mostrare quali attività e compiti spettano agli operatori museali. Inoltre, durante le visite virtuali vengono fatte domande che non sarebbero mai state poste durante la visita guidata in presenza. C’è poi un fatto da considerare. Proprio all’inizio della pandemia, quando le opere non erano ancora giunte al Chiostro, il making of rappresentava l’unico materiale su cui il Dipartimento avrebbe potuto lavorare. Silvia infatti ha raccontato che l’argomento dell’opera di Banksy si prestava particolarmente bene a questo tipo di attività didattica. Spesso negli incontri digitali con gli studenti degli istituti secondari inferiori era possibile addirittura affrontare il discorso della riproducibilità dell’opera d’arte, introdurre il concetto e il significato di copia, e introdurre alle teorie di Walter Benjamin. Proprio durante l’incontro tenuto con il l’IIS Falcone e Borsellino di Zagarolo, nonostante solo alcuni degli studenti abbiano riferito di conoscere e di avere frequentato il Chiostro del Bramante, Silvia ha illustrato la storia dell’edificio invitando poi tutti a visitare questo luogo con una nuova e maggiore consapevolezza. Essi hanno testimoniato la loro esperienza inviando dei video, registrati con i propri smartphone, al dipartimento educativo, che verranno pubblicati nelle campagne di comunicazione del Chiostro del Bramante. Questi giovani studenti hanno mostrato molto interesse e curiosità soprattutto in riferimento al making of, hanno affermato di non conoscere, fino a loro incontro con Silvia, il lavoro di organizzazione che c’è dietro a una mostra d’arte. Ormai desiderosi di tornare a godere fisicamente dei luoghi della cultura, hanno accolto con entusiasmo l’invito a visitare le opere di Banksy insieme alle loro famiglie. Alcune considerazioni e risultati del progetto “Chiostro a Scuola: dal digitale al museo” «Con il digitale il costo delle attività si abbatte così come la distanza geografica e l’impossibilità di accedere, temporaneamente, ai musei»: Silvia ha infatti raccontato che se prima del lockdown le scuole in visita potevano considerarsi principalmente quelle romane e laziali, da settembre invece è stata riscontrata una forte richiesta anche da parte di scuole che insistono sul territorio nazionale. Il dipartimento ha lavorato principalmente con gli istituti di formazione di secondo grado e con le università. Tuttavia, è stata anche avviata una sperimentazione con la scuola elementare con cui è stata proposta una lettura animata su Banksy usando i libro di Fausto Gilberti BANKSY, che oggi rientra tra l’offerta didattica in digitale dedicata alla nuova mostra “ALL ABOUT BANKSY”. Come avviene una “Progettazione Educativa Digitale”? Nella progettazione educativa in digitale – ha concluso Silvia - «occorre conoscere il pubblico e modulare i contenuti» in maniera preventiva. Infatti se «in presenza è possibile rendersi conto se ad esempio un termine o un concetto non sono chiari guardando le espressioni degli studenti, in digitale tutto ciò è impossibile e occorre quindi valutare questi aspetti a priori». Oltre alla scelta degli strumenti digitali è di essenziale importanza valutare anche il personale, gli operatori da coinvolgere, poiché non tutti, pur essendo ‘efficaci’ in presenza possono dimostrarsi adeguati per rispondere alle attività proposte in digitale. Bibliografia https://www.chiostrodelbramante.it/post_mostra/banksy/ [1] Gli incontri sono stati coordinati dalla prof.ssa Federica Bertini, docente di “Nuove tecnologie per la fruizione delle opere d’arte e per l’accessibilità del Patrimonio Culturale” presso il master “Nuove tecnologie per la comunicazione, il cultural management e la didattica della storia dell’arte: per una fruizione immersiva e multisensoriale dei Beni Culturali” e docente di storia dell’arte. di Giusy Longo
Quante volte, dall’inizio del lockdown, ci siamo sentiti abulici e rassegnati? L’inerzia forzata, il giusto imperativo per sopperire alla corrente situazione emergenziale, si è insinuata prepotentemente nelle nostre vite, divenendo un vero abito, assieme alla tuta sportiva o al pigiama. C’è chi, alla fine, si è lasciato lusingare da un’ovattata indolenza e chi, d’altra parte, ha visto rarefarsi sempre più l’essenza di una quotidianità di interazioni, di “affetti” leonardeschi. Se si vive la vocazione per l’arte, non ci si lascia frenare, poiché l’immersione reiterata nei mirabili lasciti di pittori, scultori ed architetti educa a farsi trapassare dapprima dall’emotività, nella naturale reazione agli eventi, per cedere presto il posto alla sensibilità, il cui apporto presuppone un concorso intellettuale e attivo imprescindibile per elaborare l’emozione. Una dote preziosissima nel deflagrare di una realtà già preconizzata e in gestazione quando Walter Benjamin, nel 1936, pubblicò “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”. Difatti, sebbene ormai frutti maturi dell’hi-tech, noi studiosi di storia dell’arte tendiamo a rifiutare il più possibile, per deformazione professionale, il potere immaginifico degli schermi: non siamo avidi consumatori di pixel, ma attenti fruitori del reale. Di conseguenza, sappiamo bene che per ovviare a siffatto impasse gnoseologico, è necessario scovare l’aura nell’inevitabile “iconificio digitale”, raccordandolo al contesto e alla storia dei suoi contenuti attraverso la lettura delle fonti storiografiche, attraverso il potere evocativo della parola. Pensiamo, per esempio, a Francesco Algarotti, intellettuale, scrittore nonché influente tuttologo veneziano immerso nella Respublica literaria europea del Settecento. Forte di una icastica sagacia, corroborata dall’animo cosmopolita, Algarotti era solito cimentarsi in arditi quanto efficaci esercizi di ecfrasi, riuscendo vividamente a transustanziare i capolavori ammirati ai propri interlocutori. Emblematico, a tal proposito, è l’incontro con l’adoratissima “Madonna di San Girolamo” di Correggio, presso l’Accademia di Pittura di Parma e il commento suggestivo resone all’amico Anton Maria Zanetti, in una lettera del 1759: «Mi perdoni il divino ingegno di Raffaello, se guardando a quel dipinto, io gli ho rotto fede, e sono stato tentato di dire in secreto al Correggio: ‘tu solo mi piaci’». E proseguiva: «Spirano veramente quelle inimitabili figure, paion create non dipinte, né mai d’accanto a loro ti vorresti partire». Immaginiamo Algarotti girovagare per la cittadina emiliana, entusiasta e attento. Restiamo ammaliati assieme a lui dinanzi all’affettuoso consesso di corpi sinuosi, dai volti tumidi e sereni, intrecciati nella contemplazione assorta del Bambino. A bilanciare il vigore muscolare e l’imponenza di San Girolamo sulla sinistra vi è, al lato opposto, la Maddalena, che, a mo’ di sorella maggiore, trova ristoro nel calore delle turgide carni infantili. Desta curiosità, tra l’altro, il vispo angioletto in basso che, schermatosi discretamente dall’idillio, sembra annusare il lacrimatoio della santa. Balena l’aneddoto di Francesco Scannelli, il quale narrava come un altro celebre pittore, Guido Reni, considerasse vivi bambini i putti della Pala di San Giorgio dell’Allegri al punto da adorarli con dolcezza quasi paterna, chiedendo a coloro che fossero andati a visitarli se stessero crescendo bene: chissà se, anche durante questo periodo di clausura, quei putti sono cresciuti bene! Che sussulto dovette pervadere lo scrittore veneziano, nel riportare all’amico come l’Italia corse il rischio di rimanere per sempre orba della tavola parmense, per poco non ceduta al re di Polonia nel 1756: essa, difatti, fu commissionata ad Allegri da Briseide Colla, vedova Bergonzi, nel 1528, per la chiesa di Sant’Antonio Abate, dove rimase esposta sino al 1749. Ben presto si sparse la voce che, per ultimare la chiesa, l’Abate ne concordò segretamente la vendita con il sovrano. Fortunatamente, il misfatto fu scampato grazie ad un moto di indignazione del popolo di Parma. Sebbene poi, nel 1756, l’opera fu acquisita dal Reale Infante di Spagna Filippo di Borbone, Algarotti esalò comunque un respiro di sollievo: meglio poterla apprezzare nelle collezioni ducali, malgrado il vistoso cambio di scena, piuttosto che perderla, svilendo quel variegato museo a cielo aperto incarnato dalla penisola italica intera. Quando abbiamo smesso di interrogare i nostri avi e la tradizione? Per quale motivo abbiamo ceduto una sostanziosa porzione della curiosità per abbracciare il vuoto dell’accettazione del contingente, lasciando appassire pagine e pagine come necrologi di vite vissute e, come mai prima, mortifere? Non possiamo essere oziosi, in quanto vivi, umani. Umberto Eco controbatterebbe che la pigrizia è prerogativa del testo. Dunque, a noi spetta, come attivi incubatori delle istanze della contemporaneità, aiutarlo a funzionare, rinnovarne il significato. E perché non farlo ripartendo proprio da Benjamin, provando però a fare un passo avanti, conferendo noi l’aura all’opera d’arte, qualunque essa sia. Solo così, saremo capaci di rompere quel guscio di incomunicabilità, orpello con cui abbiamo convalidato, edulcorato e giustificato la rottura del dialogo col passato e in cui ci siamo rannicchiati, passivi, arrogandoci il privilegio di essere tanti torpidi “gattopardi” nel divenire del tempo. Solo così, abbracciando questa consapevolezza, gli umanisti potranno tornare a salvare il mondo. |
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Marzo 2024
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